Ansa

l'editoriale del direttore

Il vero complotto che minaccia Meloni

Claudio Cerasa

Le parole del consigliere di Mattarella sono un campanello d’allarme più per il Pd che per FdI. Schlein è stata una divina provvidenza per la premier e ora il centrosinistra cerca alternative creative. Tutti gli indizi, con un disegno

Lo scossone, dunque, non era uno scossone, e la parola che sarebbe stata usata da Francesco Saverio Garofani durante la famosa cena dei romanisti, e che secondo il partito di Giorgia Meloni sarebbe stata la spia evidente di un possibile complotto contro il governo auspicato da un consigliere di Sergio Mattarella, semplicemente non è mai stata pronunciata dal diretto interessato. L’equivoco nasce dal fatto che a utilizzare la parola scossone è il direttore della Verità, Maurizio Belpietro che, con un virgolettato, sintetizza in modo brutale il contenuto delle frasi di Garofani, queste sì mai smentite: “Speriamo che cambi qualcosa prima delle prossime elezioni, io credo nella Provvidenza, basterebbe una grande lista civica nazionale”. Il caso Garofani, dunque, esiste, esiste eccome, ma ciò che alla fine resterà delle frasi del consigliere di Sergio Mattarella è, oltre all’auspicio non esattamente super partes di un consigliere del capo dello stato di veder nascere un’alternativa più concreta di quella di oggi per poter avere un’alternanza al governo, la bocciatura totale dell’attuale centrosinistra, per come è composto, per come è ideato, per come è guidato. Garofani, evidentemente, ex deputato del Pd, ex direttore del Popolo, uomo vicino a Dario Franceschini, nell’occasione in cui è stato ascoltato parlava più da uomo di sinistra che da uomo del Quirinale. E se c’è qualcuno che forse dovrebbe chiedere conto dello scossone evocato da Garofani nelle conversazioni malignamente carpite a cena quel qualcuno, più che il partito guidato da Giorgia Meloni, dovrebbe essere il partito guidato da Elly Schlein. A pensare che al centrosinistra serva un intervento divino, un miracolo, una svolta, una scossa, uno scossone non è solo il consigliere del capo dello stato ma è un pezzo importante del mondo del centrosinistra che, a prescindere da quel che sarà il risultato delle prossime regionali, da mesi si muove per capire se vi sia o no un modo per innescare una scintilla a sinistra.

 

La ricerca di uno scossone, oggi, passa da piccoli dettagli, piccoli segnali, piccoli indizi, che vale la pena mettere insieme per provare a capire da dove nasca la volontà, non solo di Garofani, di cercare un’alternativa all’alternativa di oggi. Nel Pd, lo sappiamo, a considerare non all’altezza del ruolo da candidato premier Elly Schlein è un pezzo consistente del corpaccione democratico, e il fatto che le correnti del Pd si siano rimesse in moto è la traccia concreta di una volontà esplicita a prepararsi a rimescolare le carte, ed è anche un pezzo consistente della vecchia guardia del Pd, da Romano Prodi a Paolo Gentiloni, ed entrambi osservano con attenzione la possibilità che emerga, al fianco del Pd, un soggetto in grado di replicare le esperienze del passato della Margherita o del vecchio Asinello. Le manovre, o se volete le manovrine, hanno segni diversi, spinte diverse, profili diversi, ma hanno tutte un unico obiettivo: offrire al centrosinistra un’altra gamba per andare più veloce e, al contempo, usare le gambette del futuro per inserire nelle discussioni sul prossimo candidato premier qualche punto interrogativo in più sulla possibilità concreta che sia davvero Elly Schlein a guidare la coalizione. Ernesto Maria Ruffini, ex direttore dell’Agenzia delle entrate, viene visto con simpatia non solo da Garofani ma anche da Romano Prodi e da Dario Franceschini, meno da Matteo Renzi, che sogna di fare della sua casa riformista il vero condominio all’interno del quale far convergere le esperienze dei centrini che guardano a sinistra.

 

Dario Franceschini, pur essendo tuttora il padre protettore con la sua corrente di Elly Schlein, osserva però con interesse estremo la vivacità del sindaco di Genova, Silvia Salis, che ha un’ambizione esplicita, sfrenata e trasparente, che è quella di essere lei, tra due anni, il candidato premier del centrosinistra. Osservare con interesse questa prospettiva, per Franceschini, e non solo per lui, significa considerare questa opzione come quella al momento preferibile, in uno schema in cui Schlein dovrebbe continuare a fare il leader del Pd mentre Salis potrebbe essere l’equivalente di ciò che fu Francesco Rutelli nel 2001. E in questa logica i movimenti più interessanti, anche se ancora confusi, timidi, a tratti rinunciatari, sono quelli che si intravedono nelle conversazioni che scorrono sulle chat dei sindaci per così dire civici (“Basterebbe una grande lista civica nazionale”) non legati cioè direttamente a un partito, più in prima linea nei ragionamenti legati alla creazione di gambe centriste. Due sindaci su tutti, oltre ovviamente a Salis: Beppe Sala, sindaco di Milano, supportato in questo da un attivissimo Franco Gabrielli, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ex capo della Polizia, e Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli. Nel primo caso, Sala, che finalmente può respirare dopo l’assedio andato a vuoto della procura di Milano, che nell’inchiesta sull’urbanistica ha girato a vuoto attorno al sindaco, è ancora intenzionato a promuovere un movimento civico il prossimo anno, subito dopo le Olimpiadi. Nel secondo caso, nel caso di Manfredi, le ambizioni, anche se inconfessabili, o forse sì, sono diverse, sono più alte, e il sindaco di Napoli, nonché presidente dell’Anci, sogna di poter essere, in caso di rivolta nel Pd verso Schlein, il vero federatore, il nuovo Prodi (come giustamente ha notato ieri Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore, il problema del centrosinistra, tra gli altri, non è avere i voti, o almeno non è solo quello, ma è riuscire a sommarli, evitando che l’unione di partiti in eterna lotta tra loro procuri una fuga di elettori). Lo scossone, che non è uno scossone, non è dunque quello che starebbe orchestrando qualcuno al Quirinale contro Meloni ma è quello che, pur non essendo uno scossone, sta cercando, non si sa con quali risultati, di orchestrare un pezzo importante del centrosinistra, che non a caso, da settimane, si ritrova sempre più compatto nel non considerare, quando sarà, la strada delle primarie di coalizione come una strada obbligata, per arrivare alla scelta del candidato premier (è questa la posizione sia di Silvia Salis, of course, sia di Giuseppe Conte, che nel frattempo nelle ultime settimane, intravedendo anche lui uno spazio al centro, si è rimesso la pochette, provando a fare l’estremista moderato, tanti auguri).

 

In questo quadro fatto di manovre e manovrine, scossoni e spintarelle, equilibri e trame, il dato politico forse più significativo è quello che riguarda il fronte politico più preoccupato dal tentativo, a sinistra, di favorire una Divina Provvidenza in grado di trovare un’alternativa a Schlein. Quel fronte, neanche a dirlo, è lo stesso che ha mostrato una certa angoscia per le parole di Garofani, comprensibile, ma a guardar bene l’angoscia per il poco ridicolo complotto anti Schlein è infinitamente superiore all’angoscia per un ridicolo complotto anti Meloni. Parliamo, naturalmente, del centrodestra, in particolare di Fratelli d’Italia, partito all’interno del quale si considera il profilo dell’attuale leader del Pd imprescindibile per il centrodestra del futuro. Ragionamento elementare: più Schlein guiderà il centrosinistra e più per il centrodestra vi sarà la possibilità di avere una Divina Provvidenza in grado di garantire lunga vita all’attuale coalizione di governo. La preoccupazione di Meloni per il possibile complotto anti Schlein può avere un ricasco politico preciso nel momento in cui si proverà a mettere a terra la prossima legge elettorale, che i leader della maggioranza considerano, testualmente, con un virgolettato a prova di smentita, “cosa fatta”. La prossima legge elettorale, nelle intenzioni del centrodestra, prevede l’eliminazione dei collegi uninominali, l’introduzione di un premio di coalizione per l’alleanza che arriva al 40 o al 42 per cento e l’indicazione del candidato premier. Quest’ultimo punto, per Meloni era importante non solo dal punto di vista simbolico, se lavori a una riforma costituzionale per il premierato non puoi non lavorare a una riforma che non indichi il nome del candidato premier, ma anche per dare la possibilità a Elly Schlein di avere gli strumenti giusti, ovvero le primarie, per essere incoronata leader del centrosinistra prima delle elezioni. La possibilità però che l’indicazione del candidato premier debba avvenire prima delle elezioni potrebbe spingere il centrosinistra verso una direzione diversa e verso una convergenza su un profilo diverso da Schlein. La Divina Provvidenza evocata da un consigliere di Mattarella per trovare un’alternativa a Meloni è comprensibile che preoccupi il primo partito d’Italia. Ma la Divina Provvidenza evocata da un pezzo importante del centrosinistra per cercare alternative a Schlein, nell’attesa che preoccupi anche Schlein, preoccupa certamente Meloni più di mille complotti farlocchi del Quirinale. Il vero scossone che può mettere la destra in difficoltà, nel futuro, è quello contro Schlein, non quello contro Meloni.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.