Il racconto

Meloni e la "pace" con Mattarella: "Dispiaciuta". L'incontro e la freddezza di La Russa con FdI. Gli spettri elettorali

Carmelo Caruso

La presidente del Consiglio sale al Colle, ma le scuse diventano "chiarimento". Mattarella ferito la ascolta. Il presidente del Senato ritiene un errore l'attacco al capo dello Stato. Mail, duelli fra quotidiani. La paura di perdere la maggioranza 

Tolkien lo avrebbe chiamato “Il golpe degli anelli”. Una democrazia si ferma per due giorni, a causa di una email firmata da un tale Mario Rossi, Mattarella è costretto a difendere il suo consigliere, Francesco Saverio Garofani, dall’accusa di tramare contro Meloni. Alle 13.45 Meloni si dirige al Colle per incontrare il presidente e “chiarire” (attenzione, a Chigi usano la parola “chiarire”) che non c’è nessuno attacco. E’ un colloquio di 35 minuti. Meloni, usa il “lei”, e si dice “dispiaciuta che sia stata equivocata la polemica con Garofani”,  Per Palazzo Chigi “finisce qui”, per il Quirinale anche. Dalle parti di Meloni gira questa frase: “Il male va estirpato prima che cresca”.


I Garofani sono Rossi. In almeno due redazioni di Milano, Verità e Il Giornale, viene recapitata una email firmata da un tale Mario Rossi, il dominio dell’utente è “[email protected]” e contiene il retroscena su Garofani. La Verità decide di pubblicare il testo della email. Il Giornale, non lo fa ma, il giorno dopo, avvisa che l’articolo che genera lo scontro istituzionale  Meloni-Mattarella, il più aspro in tre anni di governo, è nato da un “testo spedito il giorno prima a vari giornali da un tal Mario Rossi”. Si lascia intendere che lo ha ricevuto anche il Giornale. E’ una contesa anche fra i quotidiani di destra. Nella email ci sono virgolettati di Garofani che, va precisato, non smentisce ma conferma i suoi giudizi. Dice Garofani che “in quell’area non c’è nessuno adeguato” (si riferisce alla sinistra) e “speriamo che cambi qualcosa prima delle prossime elezioni, io credo nella provvidenza”. Sono parole in cui si riconosce ma a dirla tutta, più che una pericolosa “trama” contro Meloni, sembra una bocciatura severa contro Elly Schlein. La smentita a Garofani dovrebbe chiederla la segretaria del Pd. Dopo la polemica lanciata da Galeazzo Bignami, la copertura di Fazzolari, la domanda è: perché la destra cavalca un retroscena? La risposta di  FdI: “Il male va estirpato prima che cresca”. Sono passati tre anni di governo e Meloni teme che possa accadere quello che è accaduto a Berlusconi nel 2008. La spaventano eventuali scissioni nella maggioranza, i tentativi di fermare le riforme, teme l’effetto del referendum sulla giustizia. Ha il problema dell’Ucraina a cui non riesce a dare, per ragioni finanziarie e politiche (la posizione della Lega) tutto l’aiuto che vorrebbe. Per il Pd c’è un’altra ragione: desidera cambiare la legge elettorale e Schlein, al contrario di quello che si dice, potrebbe essere tentata. Alla Camera, la segretaria dem è felice perché si è votata una legge bipartisan con Meloni e spiega: “L’ho voluta io e lei, io e lei”. Ma c’è il Quirinale. Quando Meloni arriva al Colle trova Mattarella ancora “stupefatto”. Dicono che il presidente sia rimasto ferito. Si parla di manipolazione, della “mancata filologia delle parole di Garofani”, consigliere che Mattarella ha nominato al Consiglio supremo di Difesa, ruolo mai ricoperto da un civile, ma sempre da un militare, a conferma del rapporto di fiducia fra presidente e collaboratore.  Anche Ignazio La Russa, che ha sempre usato la sua carica da presidente del Senato in libertà, al punto da intervenire sull’indagine di Milano, ritiene un errore l’attacco a Mattarella. Al Colle si domandano anche come è stato carpito l’audio. Crosetto tace ma è un altro protagonista. Da sempre è antico amico di Mattarella, al fianco dell’Ucraina, rispettato anche dal Pd che lo eleggerebbe tranquillamente anche al Colle. La notizia dell’incontro Meloni-Mattarella viene veicolata da Palazzo Chigi. E’ un incontro breve affidato alle note, l’ultimo rifugio in questo “Golpe degli anelli”. Per Meloni si “ribadisce la sintonia istituzionale tra Palazzo Chigi e Quirinale, mai venuta meno fin dall’insediamento di questo governo e della quale nessuno ha mai dubitato”. Si continua con “rammarico per le parole politicamente inopportune” di Garofani, si aggiunge (usando la stessa formula del Colle, “maggioranza relativa”) che la richiesta di smentita di Bignami non è un “attacco al Quirinale”. Per Meloni è “Garofani a dover chiarire, per chiudere immediatamente la questione” ma in ogni caso “è intenzione del presidente del Consiglio, con la sua visita, rimarcare che non esiste nessun scontro”. Non si vuole usare la parola “scuse”. Per Palazzo Chigi è “chiarimento”, per il Colle è come se le scuse ci siano state. Non è vero che è finita. Ancora. Il Pd comincia a domandarsi chi ha spedito la e-mail, se esistono audio (come lascia intendere il vicedirettore della Verità). E’ a metà tra il fantasy e il Sudamerica. Marco Furfaro, il Pajetta di Elly Schlein, annuisce che è un’operazione sottilissima: “E’ come se Palazzo Chigi avesse detto: marciateci sopra”. Da chi viene la e-mail chi si cela dietro a quel dominio? Cosa ne pensano a Mosca di questo “Golpe degli anelli”? Aleggiano ipotesi di dimissioni di Garofani che al Colle respingono con stizza. Le chiede il Fatto Quotidiano. Si sta avvelenando l’aria. Si domandano gli amici di Mattarella: Garofani parlava in libertà, ma sicuri che altrettanti consiglieri di Meloni non parlino in libertà su Mattarella? Dal fantasy si passa velocemente al sospetto, alla “Le vite degli altri”. Per FdI con una nota “la questione è chiusa”. Il governo Meloni vuole approvare il premierato e ha bisogno di almeno 201 voti alla Camera. Dispone tranquillamente di 230 voti ma cosa succede se qualcuno si sfila? Tre anni di Meloni si spiegano grazie alla strepitosa capacità di mobilitare una comunità: noi contro tutti, noi contro le trame. “Il male va estirpato prima che cresca”. Anche il pensiero che qualcuno possa fare male.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio