Michele Boldrin (foto LaPresse)
intervista
Il risveglio del cavallo pazzo liberale. Due chiacchiere con Michele Boldrin
Alla testa del movimento Drin Drin e del nuovo partito Ora!, L'economista ci riprova con la politica. Punta al 2027 con “il coraggio dell’ovvio” e una squadra di trenta-quarantenni
Lo avevamo lasciato da qualche parte della storia politica della Seconda Repubblica, l’economista Michele Boldrin, nato a Padova ma (da decenni) docente negli Stati Uniti, spirito libero ma anche un po’ cavallo pazzo del pensiero liberale e antikeynesiano. Ne avevamo perso le tracce dopo le elezioni del 2013, in cui si era lanciato nell’agone con la lista “Fare per fermare il declino”, da un’idea originaria sua, di Sandro Brusco ed Andrea Moro, poi integrata dalla partecipazione attiva di Alessandro De Nicola, Oscar Giannino e Luigi Zingales. Non finì bene, tanto che oggi, interpellato in videochiamata, Boldrin sospira sorridendo da oltreoceano come fosse dall’oltretomba: “Avevo rimosso”. E insomma, “Fare” non ottenne alcun seggio ma Boldrin è tornato, a quasi settant’anni, alla testa della neonata formazione politica “Ora!”, formazione che soltanto per sintesi si può definire di impostazione liberale (per Boldrin, come si vedrà, la parola non spiega il tutto, anzi), ma senza voler “fare carriera in proprio”, dice raccontando di pensare al sé stesso del futuro come a un professore in pensione nel ranch che ha comprato nel New Mexico (“voglio andare a cavallo e guardare i tramonti; la mia libreria andrà lì e io la seguirò”).
Nel frattempo lui c’è “per dare una mano”, dice, dopo essere stato eletto segretario di “Ora!” nel mese di ottobre, al termine di un processo costituente online e dal vivo. Orizzonte temporale: le elezioni del 2027, quando “Ora!” – nuovo nome dopo quello di servizio e di impatto di “Drin drin” (che ha fatto conoscere il movimento al pubblico sul web) – si presenterà alle elezioni, dopo un anno e mezzo in cui si intende procedere a grandi passi, fuori dalla rete, nelle piazze, per spiegare agli elettori, specie se finora astenuti, che cosa significhi avere “il coraggio dell’ovvio” su pensioni, scuola, tasse, immigrazione, crescita e sicurezza. Non appena compare sulla piattaforma Zoom, invenzione di un suo amico di stanza a Stanford, l’ipertecnologico Boldrin non resiste a consigliare il ricorso ad altre piattaforme più efficienti, risvegliando nel cronista la memoria di quando, in quel 2013 di campagna elettorale, veniva descritto dai compagni di partito sempre in videochiamata, persino dalle amate cordate sulle Alpi venete, ché l’economista, figlio di operaio e nipote di contadino, non ha mai dimenticato la bellezza delle sue montagne.
Visto dall’oggi, con i capelli corti e la camicia perfettamente stirata, si stenta a riconoscere il Bodrin di ieri (orecchino al lobo sinistro a parte), e cioè l’economista venuto dall’America che girava per gli studi televisivi con aria scapigliata e giacca stazzonata, seduto senza mai sembrare accomodato al cospetto di questo o quell’interlocutore, spesso considerato “raccontaballe”. Ne fecero le spese, tra gli altri, Roberto Castelli – forse per Nemesi incontrato, seppure online, durante lo scorso weekend – Gianluigi Paragone, Roberto Cota, Stefano Fassina e l’economista equa e solidale Loretta Napoleoni, per non dire dell’arcinemico Giulio Tremonti, attaccato, con tutto il collettivo NoisefromAmerika, in un libro scritto da Boldrin con Aldo Rustichini, Alberto Bisin, Sandro Brusco, Andrea Moro e Giulio Zanella, sotto il titolo eloquente di “Tremonti, istruzioni per il disuso”, (ed. L’Ancora del Mediterraneo).
Acqua passata? Chissà, fatto sta che oggi il nuovo Boldrin non smentisce sé stesso quando parla del “mundillo” (il professore ha insegnato anche in Spagna) di sedicenti liberali che “ogni volta si accodano come mosche cocchiere a qualche leader politico”, sedicenti liberali che lo hanno avvicinato, in questi mesi, consigliandogli di fare un partito “liberale puro”, ricavandone in cambio un “no” molto sonoro. E insomma, la sveglia di “Ora!” è suonata con una sorta di meccanismo di reclutamento dal basso e online presso la società civile – alla maniera grillina d’antan, si direbbe, senza che Boldrin si offenda, perché diversa è la materia umana di riferimento: maggioranza di trenta-quarantenni laureati, tra cui molti ricercatori; maggioranza di uomini digitalizzati, con uno zoccolo duro bolognese anche per via della provenienza del co-fondatore e presidente di “Ora!” Alberto Forchielli e con potenzialità espansive nel nord-est. Il partito si autodefinisce “pragmatico e coraggioso” e si propone di raggiungere “i milioni di italiani che credono sia ancora possibile costruire un futuro di crescita per il nostro paese”. Aderenti, finora, circa 14.500. E dunque, sveglia per fare che cosa? Primo: per sollevarsi “da un’inerzia drammatica”. Secondo: “Per far ripartire la crescita attraverso l’innovazione, affrontando il palese cumulo di storture che da decenni favoriscono pochi e penalizzano troppi”. Boldrin parla proprio di “casta”, consapevole di essere tacciabile di grillizzazione nel lessico, ma tant’è. Diversa è la sostanza. Ora! vuole essere “partito di proposta, non di protesta” (non a caso piace in area post radicale, da Più Europa in giù, con il giovane Matteo Hallissey come interlocutore assiduo) e vuole “agire con pragmatismo per la crescita del paese, con persone impegnate a fare politica di servizio e non di mestiere”. Ed ecco che, nel gruppo di guida emerso nel corso dell’estate dopo una chiusa di tre giorni ad Abano Terme (“non ci potevamo permettere località più prestigiose”, scherza Boldrin), figurano medici ed esperti di gestione ospedaliera, avvocati, economisti, conoscitori del mercato dell’arte, ricercatori di ogni materia, studiosi di biotecnologia. “Il coraggio dell’ovvio”, dice Boldrin, significa “dire le cose che tutti sanno e nessuno dice, agire ora e spiegare che si starà peggio sul breve termine per stare meglio tra cinque o dieci anni. Basta guardare ad altri paesi che l’hanno fatto e dove oggi si vive molto meglio che in Italia”. In concreto, Ora! propone “azioni trasformative”, come “la riduzione del carico fiscale sul lavoro per stimolare l’impresa e liberare risorse, il superamento delle politiche di sviluppo economico basate sui sussidi; l’implementazione di politiche migratorie per contrastare il declino demografico e integrate nel mercato del lavoro; una riforma dell’istruzione come effettivo strumento di mobilità sociale, con incentivi di merito per gli insegnanti; l’inserimento del nucleare nel mix energetico nazionale, nel rispetto dell’ambiente”. Il coraggio bisogna darselo, dice Boldrin, anche per dire “che a fare tutte queste cose ci vuole tempo e determinazione”.
Ai tempi di “Fare”, sul sito di Boldrin campeggiava l’aforisma di Wittgenstein “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. Non ha cambiato idea oggi, l’economista, già professore alla Washington University in St. Louis, nelle principali università americane e all’Università Carlos III di Madrid e già – molti anni prima – ragazzo cresciuto tra i campi sotto un enorme cappello di paglia (la foto esiste), poi studente al liceo Giordano Bruno di Mestre, con parenti democristiani e breve esperienza nel Pci (“il tempo di capire che sbagliavano tutto, dirglielo e andarsene”, racconta, pur rimpiangendo, dei partiti di un tempo, “la capacità di farsi vera comunità”). A inizio anni Ottanta, Boldrin si è trasferito negli Stati Uniti, tra la Pennsylvania e il Minnesota, studiando, cenando nei diners e osservando da lontano l’Italia senza mai perderla di vista. E’ quel Boldrin che, a un certo punto, si è messo, con i colleghi di “Fare”, una volta tornato momentaneamente in Italia, persino a organizzare flashmob (da alternare alla tavolate con gli amici di sempre), finendo sotto la Rai con un camion carico di vecchi elettrodomestici, a manifestare contro “l’ipocrisia del canone”, e nel contempo discutendo su Facebook di complicate questioni attorno al concetto di “ordoliberismo”.
Ma com’è nato il movimento “DrinDrin”? “La sollecitazione c’era da un pezzo”, dice Boldrin, che sette anni fa si è trovato a fare una battuta a “Breaking Italy”, lo show online di Alessandro Masala, in arte “Shy”. “Stavamo parlando di giovani cervelli in fuga, di declino, di assenza di un referente politico. Allora ho detto, a mo’ di boutade: ‘Fatevelo, il partito’. Non se lo sono fatto, ma la domanda è rimasta. E così, circa un anno e mezzo fa, parlandone con Alberto Forchielli, ed essendoci resi conto che esiste un vuoto di presenza presso la società civile che non ne può più di vedere questi gruppi chiusi che si autoriproducono come il Politburo, ho detto: beh, se ci arrivano diecimila mail di sostegno lo facciamo, il movimento. Ne sono arrivata dodicimila, ed eccoci qui.
Certo è che il centro politico (e dintorni) è al momento un po’ affollato, tra Azione di Carlo Calenda, i LibDem di Luigi Marattin e le formazioni riformiste nel centrosinistra, da Più Europa a Italia viva ai comitati di Ernesto Maria Ruffini ai nuovi civici, con Alessadro Onorato, Gaetano Manfredi e Silvia Salis. “Il campo è affollato da sempre, se è per questo”, dice Boldrin, “d’altronde la società italiana è frazionata per antica tradizione, siamo sempre alla ‘serva Italia’ di Dante Alighieri. So che la tendenza è vederci come ennesimo elemento al centro, ma non è detto che Ora! lo sia. L’area chiamata centro si definisce oggi in negativo: ci sono quelli che non riescono ad accettare la realtà di questa sorta di Ventennio aggiornato di Giorgia Meloni e del suo codazzo o quelli che non reggono la versione modello Mamdani-Ocasio-Cortez del Pd di Elly Schlein e di quel che resta del M5s fondato un tempo da Grillo”. Boldrin però si dice contento per il fatto di vedere che, “dopo l’apparizione di Drin Drin, almeno Carlo Calenda su alcune cose ha cambiato posizione, vedi la Palestina, e faccia cose simili alle nostre, andando nei campus. Ma faccio fatica a piazzarci al centro: per esempio sul tema ‘law and order’ potremmo essere classificati di destra: né a me né a Forchielli piace la maniera in cui si gestisce la microcrimilanalità: la polizia deve essere formata in modo da poter presidiare”. In che senso? “Due settimane fa ero a Barcellona. Beh, le aree più complicate, dove i poliziotti girano a decine, non vengono percepite come ‘zona rossa’. Ho visto poliziotte a piedi avvicinarsi all’ubriacone di turno e dissuaderlo dal compiere atti osceni o violenti: rivestiti, gli dicevano, sorreggendolo”. Opera di deterrenza? “Di certo le sceneggiate tipo strade sicure sono l’opposto: i poveri soldati lì a fare le belle statuine, su. Ero a Roma, tempo fa, in un b&b proprio davanti alla sede del Pd, e c’era questa camionetta che ostruiva il passaggio con due poveri militari dotati di mega mitragliatori scarichi e intenti ad allontanare i gabbiani dai sacchetti della spazzatura. Il nostro punto di vista insomma è questo: l’Italia ha deciso di restare indietro rispetto al resto del mondo? Noi invece ci proponiamo di unire chi vuole andare avanti”. Vaste programme. In politica estera siete invece percepiti più di sinistra, parlate di “imperialismi”. “Anche in questo caso, niente etichette”, dice Boldrin: “Sia io sia Forchielli abbiamo preso una posizione durissima sull’Ucraina dal giorno uno, parlando di no fly zone dal giorno uno. E sul medio oriente siamo allineati alla posizione del mondo liberal-democratico internazionale: non si discute l’esistenza di Israele, ma di dove deve arrivare il diritto di Israele a occupare, trattando la popolazione residente o semiresidente come se si trattasse di bestie. Se tratti le persone come bestie, poi diventano bestie, vedi Hamas. Non mi sento certo un pro Pal con la kefiah, non lo sono mai stato, ma da buon liberale so che gli esseri umani sono eterogenei, non sta a me decidere quali siano i buoni e quali i cattivi, fermo restando che a tutti si deve il rispetto minimo dovuto a un essere umano”.
Primi passi verso il “coraggio dell’ovvio”? “Dobbiamo indicare”, dice Boldrin, “le cose che il paese deve fare. Per esempio: riformare una scuola tardomedievale e fascistoide che discrimina socialmente e fa danno a chi viene dalle classi meno abbienti, senza preparare alla vita moderna. La scuola italiana, oggi, va bene solo per persone molto brave. Ma perché non si ha coraggio di dirlo e di agire? Perché la corporazione degli insegnanti è dominata da chi lavora male e perché nelle famiglie è diffusa la mentalità del ‘basta che prenda un diploma’. Idem con le pensioni: è dal 1996 che lo scrivo, lavorandoci poi con Elsa Fornero prima che diventasse ministro: non è vero che si vogliono affamare quelli che hanno pensioni minime; è vero che le pensioni vanno limate, è vero che dobbiamo riequilibrare la situazione in favore dei lavoratori under 40 che in Italia guadagnano troppo poco anche per sostenere indirettamente il sistema pensionistico. Risultato: spesso fuggono verso altri paesi. Si farebbe del bene anche ai pensionati: se hai settant’anni e l’aspettativa di viverne altri quindici, poniti il problema. Per non dire di chi ne ha sessanta”. Chiediamo a Boldrin, nei fatti, come sta lavorando Ora!. “Il movimento Drin Drin è stato un incubatore”, dice: “Abbiamo diviso le persone in gruppi tematici chiedendo di elaborare proposte che, a volte, presentavano qualche tratto d’ingenuità, ma è normale: sono persone che non hanno mai fatto politica. Quindi abbiamo affinato queste tesi sottoponendole a un gruppo di esperti”. Intanto si è arrivati alla designazione degli organi dirigenti nazionali e locali, anche in altri paesi europei, dove gli iscritti sono circa tremila, con una “cellula” molto attiva ad Amsterdam.
Ma, andando verso le elezioni del 2027, non risulterà naturale unirsi ad altre realtà al centro? “A patto che i meccanismi identitari non paralizzino il processo: vogliono chiamarsi tutti liberali, niente di più antiliberale”, dice Boldrin. Calenda si è gemellato con i LibDem di Marattin. “A parte che non si è capito se si sia gemellato davvero, per aggregare basta volerlo. Io dico: parliamoci, ma trattandoci da pari. Patti chiari, amicizia lunga. Il mio auspicio è che si faccia squadra”. Boldrin ha incontrato anche il sindaco di Milano Beppe Sala e da ora in poi sarà sempre più presente. Fino a che punto? “Sabato e domenica scorsa eravamo in duecento piazze, con tre-quattromila militanti, per parlare con le persone e diffondere le nostre idee, ma io come dicevo ho settant’anni, la mia carriera l’ho fatta e quello che mi preme è far emergere una squadra di persone competenti che pensino a come aggiustare quelle due o tre cose che potrebbero permettere all’Italia di ricominciare a correre. Certo non sarò io il candidato premier, ecco”. Il New Mexico lo aspetta, ma intanto…