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Il racconto

Meloni, la berlingueriana: austerità, Bagnoli, femminismo, banche. La spallata a sinistra: "No a ricette tardo comuniste"

Carmelo Caruso

Si prende anche i temi della sinistra di Enrico Berlinguer: il rigore sui compensi, sui conti, la legge sul femminicidio. A Napoli attacca De Luca: "Fa il gioco delle tre carte. Ma si sa, io sono stronza"

La parsimonia è passata a destra. Meloni berlingueriana? Meloni si sta prendendo i temi della vecchia sinistra: il femminismo, Bagnoli, le banche, il risparmio e l’austerità.  C’è profumo di Berlinguer. Meloni ripete sempre che “la mia stagione non sarà mai la stagione dell’agio e del privilegio, alla remunerazione deve corrispondere una serietà e un rigore”. I parlamentari di maggioranza hanno depositato 1.600 emendamenti per modificare la manovra ed è la prova, come dice Francesco Boccia, capogruppo del Pd, “che la manovra non piace neanche a loro”. Significa che Meloni sta scontentando i parlamentari, come scontenta Salvini sulle armi, l’’Ucraina. A Napoli, al comizio a sostegno di Edmondo Cirielli, “un mio amico”, Meloni dice: “La sicurezza non è un vezzo borghese. La patrimoniale, le ricette tardo comuniste, non passeranno”. La sinistra è il suo Das Kapital. 

 


 L’austerità è tornata lessico familiare. Giorgetti ogni volta che i ministri chiedono più risorse parla di traiettoria europea da rispettare e loda “l’austerità” che è anche estetica. Meloni si accoda e dice in Campania: “Abbiamo chiesto un corposo contributo a banche e assicurazioni. E anche questo racconta di una stagione molto diversa rispetto a quando i soldi venivano presi dalle tasse dei lavoratori e regalati alle banche”. Della vicenda che riguarda l’Authority della Privacy, al di là degli incontri e pedinamenti, FdI nota ora: “L’aspetto più doloroso di questa vicenda riguarda le spese allegre, la macelleria di pregio scelta dai membri. E’ insopportabile l’idea che si possano usare risorse pubbliche con questa discrezionalità”. Per la stessa ragione, Meloni ha lasciato trapelare, sette giorni fa, la sua irritazione per le delibere del Cnel. E’ il denaro il lato debole della destra, il suo “non si passa”.

 

A inizio legislatura, quando alla Camera, si stava per aumentare la dote dei gruppi, Meloni ha subito detto: no. Durante il Covid, Meloni impose ai parlamentari di FdI di restituire l’indennità con la motivazione: “Come tutti, anche noi dobbiamo dare un segno”. Meloni guadagna da premier meno dei senatori e ha sempre pensato che “l’uso del denaro pubblico dà la misura del rigore della persona”. La sua durezza sulla rottamazione che chiede la Lega, ancora, non è solo, e tanto, per motivi economici, di saldo, ma “per il principio”. Non ha mai celato di apprezzare l’esempio di Berlinguer tanto da visitare, in compagnia di Ugo Sposetti, la mostra dedicata al segretario. La destra è affascinata da queste figure di sinistra che hanno interpretato il mandato con “pulizia”, vissuto in ristrettezze. Arianna Meloni, questa estate, si è presentata a Casa Pertini, in via della Stamperia per visitare le stanze dell’ex presidente. Alla premier non piace l’ostentazione, è aspra con i parlamentari che “pensano di aver vinto la lotteria grazie a un seggio”. Sono argomenti cari alla sinistra come lo è il femminismo. Il 25 novembre arriva alla Camera il reato di femminicidio e Meloni ha spostato il suo partito, si è appropriata, in velocità, di un tema che ha diviso alla sinistra. E’ un paradosso ma  il Pd, prima dell’accordo Meloni-Schlein, ha tenuto sul reato una posizione dialettica. La senatrice dem, Cecilia d’Elia, vicepresidente della Commissione Femminicidio, in Aula aveva dichiarato: “Il femminicidio è l’esito estremo di una cultura patriarcale di possesso e controllo, una cultura che disprezza la libertà e l’autodeterminazione delle donne. È un fenomeno strutturale e, in quanto tale, chiede politiche globali”. Per D’Elia il reato non era sufficiente se non accompagnato da “strumenti concreti per cambiare modelli culturali ancora maschilisti e obsoleti”. Per Meloni è invece un tema per allargare, ancora, la sua base. Salvini, ancora una volta, si sposta  più a destra della destra. Usa come il carillon la frase “migranti, fuori dalle palle”; mastica caramelle orbaniane: “Mai adozioni gay nel mio paese. Obiettivo è zero campi rom” e loda la diga di Campo Lattaro, che costruirà (“la più grande diga del Mediterraneo”, insieme al Ponte sullo Stretto, “Corte dei Conti permettendo”). E’ una destra, quella di Salvini, che la destra di Meloni non ama. Meloni non ama Vannacci che per FdI “sta dando la spinta in Puglia e Campania, regioni a lui più congeniali rispetto alla Toscana”. In Campania, Tajani ricorda Berlusconi e dice: “Molti amici di centro sono rimasti senza padre e padrone”. Meloni parla invece di Bagnoli, simbolo della sinistra: “Sono fiera di poter dire, a testa alta, di aver mantenuto gli impegni, a partire dalla bonifica di Bagnoli. Con Caivano abbiamo dimostrato che non esistono sono territori che non si possono recuperare. Non lasceremo i bambini nelle mani della camorra”. Impossibile è la parola che usano i vigliacchi”. Attacca Vincenzo De Luca: “Fa il genio, il gioco delle tre carte. Non dice cosa accade nelle altre classi delle prestazioni sanitarie, lui non ve lo dice, ma si sa che sono un po’ stronza”. Anche la riforma della giustizia, che Meloni definisce “necessaria e che non punisce i magistrati”, è sposata dagli ex miglioristi del Pci. Berlinguer sta per essere annesso dal governo. La bella sinistra? A loro!

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio