(foto Ansa)
botta e risposta
Urso rassicura. Ma dal Veneto: “Lo stop a Industria 5.0 colpo durissimo”
In Parlamento il ministro delle Imprese e del Made in Italy dice: "Con il ministro Giorgetti siamo impegnati ad assicurare la proroga del piano al prossimo biennio". Ma le aziende del nord non si fidano. Boscaini (Confindustria Veneto): "Ci troviamo in un limbo burocratico inaccettabile"
Ha voluto mandare un messaggio di rassicurazione, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, rispondendo a un question time alla Camera. Ma è sempre più palese che al nord, a partire dal suo Veneto, le imprese sono in rivolta. L’oggetto del contendere è la fine delle risorse per i piani Transizione 5.0 e Transizione 4.0 (ex Industria 4.0). Uno smacco per centinaia di industriali che avevano pianificato investimenti, e che da ore sono piombati nel panico. Almeno da quando il Mimit ha reso noto che le risorse sono finite. “Lo stop improvviso ai fondi di Industria 5.0 rappresenta un colpo durissimo per le nostre imprese, che avevano programmato investimenti strategici fidandosi degli impegni assunti dalla Pubblica amministrazione. Parliamo di aziende che hanno già avviato progetti, firmato ordini e versato acconti, nella convinzione di poter contare sugli incentivi promessi entro il 31 dicembre. Ora si trovano in un limbo burocratico inaccettabile”, dice al Foglio il presidente di Confindustria Veneto Raffaele Boscaini. “Come imprenditori abituati a programmare con regole certe, non possiamo accettare che pratiche in fase di perfezionamento vengano bloccate da un giorno all’altro. Questo mina profondamente la fiducia delle imprese verso le istituzioni e rende impossibile quella pianificazione strategica necessaria per rimanere competitivi”, aggiunge il capo degli industriali veneti. Ieri Urso alla Camera, a proposito di Transizione 5.0, ha detto di essere “convinto che saremo in condizione di trovare risorse aggiuntive per poter soddisfare tutti, affinché nessuna impresa resti indietro. Fortunatamente noi eravamo consapevoli, a differenza di altri, del valore di Transizione 5.0 per cui abbiamo deciso di destinare 4 miliardi di euro, disponibili nel 2026 per le imprese che presenteranno progetti nell’ambito del piano. In questo caso, essendo risorse nazionali e non del Pnrr, possiamo liberarci dai vincoli del green deal, destinandole anche alle imprese energivore, e dagli altri vincoli burocratici che la Commissione ci ha posto, essendo le risorse originali provenienti dal Pnrr”. Per questo, ha voluto rassicurare ancora Urso, “siamo impegnati con il ministro Giorgetti ad assicurarne la proroga anche nel successivo biennio così da consentire alle imprese di programmare gli investimenti in un periodo più esteso”. Eppure nel mondo confindustriale prima di giudicare le intenzioni, si aspettano di vedere fatti concreti. “Confidiamo che questa promessa venga mantenuta e come sistema terremo alta la guardia su questi temi per tutelare le nostre associate”, spiega ancora il presidente degli industriali veneti Boscaini. “Il Veneto rappresenta il 15 per cento per cento dei fondi Industria 5.0: sono centinaia le pratiche che rischiano di saltare, con conseguenze importanti sulla transizione tecnologica delle nostre imprese.”
Fatto sta che per Urso la giornata di ieri doveva servire a fare chiarezza anche su altre due partite in cui è impegnato il governo: il futuro di Iveco e quello dell’ex Ilva. “Il governo garantirà il rispetto dell’interesse nazionale, vigilando affinché l’operazione si sviluppi nel pieno rispetto dei vincoli fissati”, ha detto il ministro in audizione in commissione Attività produttive alla Camera, parlando dello scorporo di Iveco tra Tata Motors e Leonardo, cioè tra uso civile e difesa. Un intervento duramente contestato dalle opposizioni: “Il ministro si è contraddetto quando gli ho chiesto del futuro dello stabilimento di Piacenza, che andrà a Leonardo. Ha detto che Leonardo non ha strutture a uso civile, ma non è vero: guardate al caso di Genova e non solo. E’ una confusione preoccupante che non lascia presagire nulla di buono”, racconta al Foglio il deputato del Pd Alberto Pandolfo, che ha assistito all’audizione. Ma anche sulla situazione dell’ex Ilva Urso ha fornito risposte molto attendiste. “Abbiamo informato i sindacati dello status dei negoziati, con tre player stranieri, e degli interventi che l’azienda farà in questa fase transitoria fino a febbraio per garantire la continuità produttiva e la sicurezza dei lavoratori e quindi anche certamente per riattivare un secondo” forno, ha specificato. Puntando il dito contro “la pesante eredità di Mittal, certificata in oltre 4 miliardi di danni”. E sottolineando: “Vogliamo una veloce decarbonizzazione come ci è stata chiesta dagli enti locali. Ma dobbiamo tenere conto delle condizioni reali. C’è un solo altoforno in funzione, perché il secondo è sotto sequestro probatorio della magistratura”. Un nuovo incontro con i sindacati è stato convocato per il 18 novembre.