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L'estremismo genera mostri

Cara sinistra, liberati dai dogmi woke e pro Pal

La violenza dell'estremismo ideologico sulla pelle di una donna, di sinistra, che da sempre si batte per i diritti

Paola Concia

Censura, violenza, gogna, emarginazione: la tensione moralistica esasperata nelle battaglie per le minoranze e per la Palestina non tollera il dissenso, soprattutto se proviene dalla stessa parte politica. Diario di una ribellione

È arrivato il momento per me, di fare il punto su quello che sta accadendo nella sinistra mondiale in questi anni. Troppe cose mi hanno sconcertata. Lo sconcerto mi ha portata a interrogarmi. Ho letto analisi di filosofi e filosofe, studiosi di paesi diversi, a sottolineare che il dibattito nel mondo è aperto: da Yascha Mounk, ebreo tedesco che vive in America, e il suo memorabile “La trappola identitaria,”, alla francese Caroline Fourest che ha scritto “Generazione offesa. Dalla polizia della cultura alla polizia del pensiero”, fino all’americana Susan Neiman che vive in Germania e ha pubblicato “La sinistra non è woke. Un antimanifesto”. Vorrei che questo mio racconto fosse un elemento di riflessione comune, il frutto di tutto quello che ho osservato, vissuto e letto. Cominciamo col dire che molto della cultura della sinistra progressista attuale parte dall’America, come tutti sappiamo. Parte dall’America molti anni fa, poi si espande in Inghilterra e raggiunge anche l’Europa. Ma è interessante e importante riuscire a capire che cosa è accaduto, riuscire a comprendere le dinamiche che si sono sviluppate, le politiche che sono state messe in atto e agite.

   

Mi faccio aiutare da Mounk e la sua “trappola identitaria”. Un libro che è una vera bibbia per capire la trappola in cui la sinistra progressista – prima americana, poi mondiale – è caduta. Questo libro racconta come si siano sviluppate negli anni le politiche woke: woke in origine significava “svegliati”, “stai attento ai tuoi diritti”, “mantieni viva la rivendicazione dei tuoi diritti”; ma col tempo è diventato estremismo woke.

     

Yascha Mounk attraversa questo percorso: dal woke originario all’estremismo woke, e spiega come questo estremismo ha condizionato prima l’America e poi il Canada e l’Europa. Mounk racconta una cosa che mi ha molto colpito, e che voglio analizzare perché è utile per capire ciò che accade anche oggi nel nostro paese. Mounk ricorda che nel 2016, quando Trump vinse per la prima volta – dopo gli otto anni di Barack Obama – la sinistra cercò di trovare i modi per contrastarlo, per destituirlo, ma capì che non era possibile. E allora accadde che, rassegnandosi al fatto di non poterlo scalzare dal suo posto di presidente degli Stati Uniti, decise di fare una cosa ben precisa: rivolgersi contro gli stessi democratici che non avevano condiviso alcune derive woke dell’Amministrazione Obama e che avevano poi contribuito alla vittoria di Trump. Decise dunque di spostare la battaglia politica contro coloro che, dentro la stessa area progressista, erano critici verso le politiche woke. Lo fece con modalità che definisco con alcune parole: censura, violenza, gogna, emarginazione, esclusione. Mise in piedi una vera e propria “caccia al progressista dissidente”, attraverso l’esclusione dalle università, dalle scuole, dai luoghi di lavoro. Negli anni di Trump, il lavoro della sinistra fu sistematicamente rivolto contro chi, dentro la parte progressista, osava criticare le politiche woke.

   

Poi arrivò Biden e, con la sua vittoria, quelle politiche ripresero vigore e diventarono ancora più estreme. Parliamo della cancel culture, delle politiche radicali sulla “affirmative action” (azione positiva), di un estremismo crescente intorno ai temi delle persone trans (non intorno alle loro vite vere, e alle difficoltà legate al lavoro, alla ricerca di una casa, ai costi delle cure mediche) come l’accesso agli  sport femminili, l’accesso dei bambini ai bloccanti della pubertà. Non stiamo parlando di politiche che danno piena cittadinanza alle persone omosessuali e transessuali: quello è un passo giusto e necessario. Stiamo parlando di un salto ulteriore, ideologico, che io definisco estremismo woke. E poi c’è tutto il tema legato alle donne: l’estremismo woke e il transfemminismo hanno determinato un grande ridimensionamento dei diritti delle donne, anche attraverso il linguaggio. Esempi: “persone con utero”, “persone con mestruazioni”. Le donne non potevano più essere nominate. Questo è ciò che è accaduto durante l’Amministrazione Biden. Poi, nel 2024, è tornato Trump, che in modo feroce e altrettanto estremista ha messo a repentaglio tutta una serie di politiche adottate negli anni precedenti, facendo un’operazione violenta che è tuttora in atto, facendo regredire tutte le battaglie, anche quelle giuste.

   

Questo è quello che è accaduto negli Stati Uniti. In Europa sono accadute cose analoghe. Ma veniamo all’Italia. Nel nostro paese, come sempre, la scia di ciò che accade negli Stati Uniti arriva con un’onda più lenta e più edulcorata, ma non diversa nella sostanza. L’estremismo woke si è radicato anche da noi. E’ cominciato tutto soprattutto nelle università. Una tendenza certo più blanda, ma significativa, e chiaramente legata alla cultura progressista americana. Anche in Italia questa pratica politica ha le stesse caratteristiche: censura, violenza, gogna, emarginazione, esclusione. E’ stata ed è tuttora molto coccolata dai media progressisti e dai giornali progressisti. Quando Trump, appena rieletto, ha dichiarato guerra alla cultura woke, questo ha avuto un effetto anche nel nostro paese – una sorta di “rebound”. E così, a causa della tragedia di Gaza, c’è stato uno spostamento: la sinistra progressista ha trasferito la propria tensione moralistica dalla battaglia per le minoranze e per l’associazionismo Lgbt alla “battaglia per la Palestina”. Tutti, a partire di chi scrive, siamo agghiacciati e indignati dalla morte di migliaia di civili innocenti. Ma quella battaglia pro Pal è diventata anch’essa una battaglia estremista, con le stesse identiche modalità del woke: censura, violenza, gogna, emarginazione, esclusione. Nel nostro paese si è visto con chiarezza: chi, da sinistra, non pronunciava la parola “genocidio”, chi difendeva il diritto di Israele a difendersi dopo il 7 ottobre, chi denunciava gli stupri di quel pogrom, chi rifiutava i boicottaggi antiebraici, è stato messo alla gogna. Gli ebrei italiani – cittadini che nulla hanno a che fare con Netanyahu e con il suo governo – sono diventati bersagli simbolici: isolati e discriminati. Chi si è ribellato a tutto questo, chi ha detto “no all’antisemitismo, sì alla pace ma no all’odio”, è stato regolarmente attaccato. L’estremismo woke e l’estremismo pro Pal appartengono alla stessa matrice: dogmatica, violenta, incapace di tollerare il dissenso, soprattutto se proviene dalla stessa parte politica.

   

Per chiarire che cosa significa per me la piena cittadinanza delle persone Lgbt, vi racconto una storia che sto vivendo in questo ultimo anno: come ho sempre fatto, senza ideologie, ma stando attaccata alla realtà delle vite, sapendo che la disforia di genere esiste, e che è una realtà, e va affrontata con serietà, conoscendone tutti i tormenti, sto sostenendo da molto vicino una persona in transizione da uomo a donna, gli sono accanto, cerco di dargli forza, gioia a fiducia nel futuro e mi chiedo: che cosa è successo intorno e contro di me, donna di sinistra che per una vita si è  battuta per i diritti Lgbt e per i diritti delle donne? Il primo episodio fu nel 2021, il 14 aprile, durante la discussione del ddl Zan. Mi permisi, con grande civiltà e pacatezza, di fare un’intervista in cui dicevo: attenzione, se questa legge resta così divisiva non riuscirà a passare. E io volevo che passasse, volevo che finalmente, dopo decenni, si riuscisse ad approvare una legge contro l’omofobia e la transfobia. Ero favorevolissima alla legge: ne ero stata relatrice per cinque anni quando ero parlamentare. Ma bastò quella mia intervista su Avvenire, dai toni pacati, perché scoppiasse una gogna violentissima contro di me da parte del movimento Lgbt. Nel 2021 vivevo già in Germania ma lavoravo, come ora, spesso in Italia: mi spaventai e feci mille passi indietro. Mi dissi: “Per carità, non partecipo più a questo dibattito, non è possibile avere una discussione serena”. E infatti, la legge non passò, come avevo previsto, schiacciata tra i due estremismi: quello del Pd, che non voleva cedere su nulla, e quello del centrodestra, felice di poterla affossare. Poi, negli anni successivi, le mie amiche femministe cominciarono a dirmi: “Guarda che stanno cancellando le donne”. Io rispondevo: “Ma dài, esagerate!”. E invece no. Quando vidi che la Johns Hopkins University, nel suo glossario, definiva gli uomini gay come “uomini attratti da uomini” e le lesbiche come “non men attracted to non men”, “non uomini attratti da non uomini”, rimasi senza parole. Le donne erano state letteralmente cancellate. Non sono un “non man”, sono una donna attratta da un’altra donna. Feci una riflessione pubblica sui social mettendo l’accento sul fatto che per includere si stava escludendo. Ne nacquero discussioni violente, ma lì capii davvero cosa stesse accadendo. Il secondo episodio fu quando i Radicali presentarono una proposta di legge sulla depenalizzazione dell’aborto e, invece di nominare le donne – che rappresentano il 99 per cento di chi vi ricorre – parlarono solo di “persone con utero”. Io dissi: ma com’è possibile? Non potremmo dire “donne e persone con utero”, includendo le persone trans senza cancellare le donne? Scoppiò una polemica. Da lì, nel 2023, cominciò per me una battaglia nuova per i diritti civili: quelli che non cancellano e non escludono, ma allargano i diritti di cittadinanza secondo i principi universalisti di Martin Luther King, o come quelli che portano Sarah McBride, deputata trans americana, ad affermare che “abbiamo bisogno di avere più alleati imperfetti e la purezza ideologica non ha mai aiutato la causa dei diritti civili”. Da allora sono stata definita fascista, transfobica, reazionaria.

   

Oggi il quadro è chiaro: il movimento Lgbt e quello pro Pal sono movimenti dogmatici, che per affermare le loro idee usano violenza simbolica, censura, esclusione, emarginazione. L’ultima è quella su Emanuele Fiano, a cui è stato impedito di parlare all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Preceduta dalla censura contro Maurizio Molinari e David Parenzo: tutti e tre sono ebrei, rei di aver voluto discutere nelle Università, di Gaza, di Israele, di ebraismo e sionismo. L’altra è la vicenda triste della chat delle pseudo-femministe coccolate dal mondo culturale di sinistra, dai giornali, dalle case editrici. Io mi chiedo: possiamo, noi sinistra italiana, continuare ad assecondare una cultura censoria, violenta, emarginatrice? Possiamo accettare di diventare così dogmatici verso chi, a sinistra, non la pensa esattamente come il pensiero modaiolo, e immagina un altro modo di essere sinistra nel nostro paese? Io sono una donna di sinistra liberale, e penso profondamente che il confronto tra idee diverse sia la linfa vitale del pensiero. Non importa se ciascuno resti delle proprie idee: è il confronto civile che tiene vivo il pensiero. A meno che non abbiamo accettato, noi stessi, di assistere alla sua morte. E io, donna di sinistra liberale, questo non lo posso accettare. Non mi rivolgo alla destra: mi rivolgo alla sinistra, perché ho a cuore le sue sorti. E allora: che idea di società, che idea di mondo, che idea di libertà ha oggi la sinistra? E’ quella della censura, dell’emarginazione, dell’esclusione? No. Questa non è la sinistra. Interroghiamoci tutti su che cos’è un paese democratico e liberale, dove si possa liberamente esprimere anche un’idea che non corrisponde al dogma di un pensiero unico. Noi, il pensiero unico, non l’abbiamo mai avuto. Non permettiamo che diventi il nostro destino. A volte mi chiedo come siamo arrivati fin qui. Come abbiamo potuto, noi che siamo nati nella cultura della libertà e dell’uguaglianza, accettare che la paura e la censura diventassero strumenti legittimi della battaglia politica. La sinistra, che per decenni ha lottato contro la censura, oggi la pratica – in nome della purezza morale. E’ un paradosso che non riesco più a digerire. La cultura della gogna, amplificata dai social e dai media, ha sostituito la politica delle idee con la politica del linciaggio. Si chiede alle persone non di argomentare, ma di dichiarare fedeltà. Si misura la virtù non sulla complessità dei pensieri, ma sulla rapidità del giudizio. Non è più importante capire: bisogna schierarsi, e subito. Tutto questo produce conformismo, silenzio, paura. Molti tacciono, non per convinzione, ma per non essere travolti. Non è un caso che le università – i luoghi che dovrebbero essere il cuore del pensiero critico – siano diventate i teatri principali di questa nuova intolleranza morale. Eppure, la storia europea ci ha insegnato dove porta la pretesa di purezza. Hannah Arendt lo aveva spiegato meglio di chiunque altro: il male non nasce solo dall’odio, ma anche dall’incapacità di pensare, di porsi domande. Oggi il rischio è proprio questo: che il pensiero critico, il dubbio, la complessità vengano considerati tradimento. L’illusione identitaria – quella che trasforma ogni esperienza personale in un dogma collettivo – ha generato una nuova ortodossia. Una religione laica che non ammette eretici. Ma la sinistra dovrebbe essere un laboratorio, un luogo di libertà, di contraddizioni e di ricerca, capace di accogliere la complessità. Se perde questo, perde tutto. E soprattutto: che idea di giustizia è quella che cancella chi non usa le parole giuste? Che emancipazione è quella che trasforma la diversità in un nuovo conformismo? Io non riesco a riconoscermi in questa sinistra che ha sostituito il pensiero con la paura di sbagliare parola. Viviamo in un’epoca in cui l’indignazione è diventata moneta corrente e la reputazione si brucia in un clic. Ma il progresso non nasce dalla paura: nasce dal confronto, dal dubbio, dalla capacità di ascoltare anche ciò che ci disturba. Non è un segno di debolezza, è un segno di forza e di civiltà. La sinistra dovrebbe tornare a essere questo: una comunità aperta, aperta alle diversità, non una setta morale. E invece si sta chiudendo, rinunciando alla propria forza più grande – la libertà.

 

P.S. Attenzione a liquidare queste idee come un favore alla destra, come connivenza con la destra. Parliamo di cultura liberale, e queste accuse continue fanno sì che le persone non votino più, se ancora interessa.

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