 
                Il racconto
Il ponte di Meloni. Toglie il dossier a Salvini e "processa" il Cipess. "Dobbiamo essere più bravi della Corte dei Conti"
La presidente del Consiglio si prende il Ponte. Idea legge speciale modello Berlusconi per "salvare l'opera". Schlein: "Se perde il referendum non si deve dimettere". La ribellione della Corte dei Conti
La giustizia finisce sullo Stretto. Il Ponte viene bocciato dalla Corte dei conti, Matteo Salvini deve rifare i compiti a casa. La riforma sulla separazione delle carriere è approvata ed Elly Schlein dice al Foglio: “Se Meloni perde il referendum non si deve dimettere e neppure io”. La premier al Tg1: “ Non ci saranno conseguenze per il governo”. La festa è senza il grande brindisi. Meloni “processa” le strutture del Mit, ripete, “noi dobbiamo essere più bravi della Corte dei conti”. Finiscono nel mirino il sottosegretario Alessandro Morelli del Cipess, che si occupa di palinsesti Rai più che di piloni, e il suo capo dipartimento Bernadette Veca. La Corte dei conti reagisce. Il Ponte si farà o con una legge speciale, modello Berlusconi, o registrandolo con riserva, il nuovo “salvo intese”.
Viene convocata una riunione d’urgenza alle 10, a Chigi, con Meloni, Fazzolari e Salvini. Il federale della Lega  viene posticipato di mezz’ora, poi la comunicazione che il segretario non ci sarà. L’inedito. Un federale della Lega viene presieduto da Claudio Durigon, il vicesegretario della Lega e delle due Sicilie. E’ la prova. A Chigi accade qualcosa. Luca Zaia che arriva a Roma, in presenza, anche lui per partecipare al Federale, dichiara che la Corte dei Conti “interviene nello spazio che le è proprio”, il capogruppo di Forza Italia, Paolo Barelli, segue Zaia perché “la Corte dei Conti fa il suo lavoro”. I leghisti del nord non lo possono dire ma il Ponte non lo hanno mai gradito. Max Romeo, capogruppo della Lega al Senato, ha dichiarato in passato a una birrata Lega: “Il Ponte? Opera strategica. Prima si fa e prima il nord si terrà i propri soldi anziché mandarli a Roma”.
Mercoledì sera, dopo la comunicazione della Corte, la bocciatura, Meloni risponde stizzita che “è un’invasione di campo”. Le luci degli uffici restano accese. Volano parole di governo come “rilievi pretestuosi da parte della Corte”, poi l’idea immediata, l’astuzia. Il Pd accusa Meloni, al Senato, mostrando volantini, “no ai pieni poteri” sulla riforma della giustizia, ma Meloni di pieno si prende solo la responsabilità sul Ponte. Il dossier da adesso sarà vigilato da Palazzo Chigi, da Alfredo Mantovano. Viene spiazzato anche Salvini. La nota di Meloni, “invasione” non è concordata. Il Mit non ne sa nulla. E’ un gesto politico. Anche Tony Tajani, l’Africano (è in viaggio in Niger) afferra un pezzo di Ponte, interviene. Ci sono due letture. Una ostile a Salvini: Meloni gli ha tolto l’opera. L’altra è di governo: Meloni, coprendo Salvini sul Ponte, lo mette a riparo. Tutela la coalizione. La parola passa ai giuristi di Meloni. Si ipotizza di registrare il progetto Ponte “con riserva” ma si studia anche la via della legge speciale. Il modello è la legge 112/2003 di Berlusconi sull’Alta Velocità, si compulsano le norme che hanno sbloccato il termovalorizzatore di Acerra. Si teme il labirinto delle sentenze: Tar, ricorsi fino alla Corte Costituzionale. E’ ormai certo che l’inizio dei lavori slitti.
Racconta al Senato, Graziano Delrio, ex ministro dei Trasporti, che “il progetto del Ponte, credetemi, aveva falle, lato Mit” e che questo è il primo grande scivolone di Meloni perché da ora in avanti “i giudici contabili parleranno di bavaglio. Inoltre è stata Meloni nella sua riforma della Corte dei conti a introdurre il controllo preventivo. Non giova fare gli orbaniani”. Falle, mancata interlocuzione… E’ l’obiezione che al governo, dopo la notte, rivolgono alle strutture del Mit, a Salvini: “Perché non avete chiesto prima in via informale cosa mancasse?”. Oltre al Cipess finisce sotto esame la struttura eccessivamente “stressata” da Salvini. Il ministero è gestito da Elena Griglio, capo dell’Ufficio legislativo mentre la regia delle grandi opere è affidata alla coordinatrice della struttura di missione, Elisabetta Pellegrini, figura tra le più valide, ma troppo sola, descritta come un’altra ragioniera, come Daria Perrotta, il cigno di stato. Se ci fosse La Russa (ma presiede i lavori, prima di esplodere “appprovaaaaata!”) si chiederebbe: “La reazione del governo sul Ponte valeva la candela?”. Giuseppe Conte, che anticipa il punto stampa di Schlein, pavone del diritto, dice che Meloni “ha messo in un unico calderone: Corte europea, Corte dei conti. Nasconde dietro alla propaganda tanta incapacità”. Si parla fra i giudici fuori ruolo di “grave errore del governo”, gravissimo. Per Pietro Pittalis di Forza Italia “c’è stato un rapporto di causa effetto fra riforma e ponte. Pezzi di Corte dei conti avevano già sensibilizzato il Colle per modificare la riforma che li riguarda”. E’ l’altra grande riforma Meloni ed è attesa, sempre al Senato, per fine anno. La festa per la separazione delle carriere si spegne e anche Nordio rinuncia al suo Chablis. Il ministro va in televisione ad annunciare che ci sarà una stretta per i magistrati fuori ruolo. Chi lo ascolta pensa: è una punizione nei confronti dei giudici contabili. In piazza a festeggiare corre Forza Italia con il faccione gigante di Berlusconi (la figlia, la Cavaliera Marina: “E’ la vittoria di papà”). E’ passata la riforma epocale, ma chi se ne accorge? Matteo Renzi pensa di Meloni: “Si nutre del nemico. Il referendum? Potrebbe vincerlo. Nella mia ingenuità naïf io non ho tenuto conto dell’affluenza. Uomini di sinistra voteranno la riforma e anche il nonno di Schlein era per la separazione delle carriere. Meloni se perde il referendum non resterà a Palazzo Chigi”. Ingenuità naïf? “Sono stato un coglione”. E’ ancora Renzi il Ponte che collega il sorriso con il coraggio.
 
                             
                 
                                