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L'alternativa possibile

Tutte le strade, a sinistra, portano a Manfredi. Segni, disegni, indizi

Nella confusione fuori e dentro al Nazareno, la figura del sindaco di Napoli si staglia all'orizzonte come federatore immaginato, tra nomi civici e politici

Marianna Rizzini

Tanti segnali, da Prodi che dice a Schlein "non siete visti come vera alternativa" al Pd in subbuglio a Conte ubiquo che non piace ubiquamente al Ruffini carsico. E poi: icivici di Onorato, l'università, l'America's Cup, la città. E Piantedosi e Casini che gli dicono: sei tu l'uomo da battere

Qualcosa lo fa il tono, qualcosa il modo, qualcosa gli indizi che possono anche non tramutarsi subito in prova, ma intanto sono segni, disegni e trame che sembrano puntare tutti verso la stessa direzione. Si inanellano l’uno dietro l’altro, fatti e parole, e il dubbio che vogliano dire qualcosa alla fine viene, tanto più se le circostanze illuminano oggi la figura del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, colui che non vuole (ancora?) dirsi federatore, pur essendolo già di fatto a casa sua, la città dove il campo largo, scricchiolando a tratti, s’è fatto due volte realtà senza grancassa: la prima nel 2021, nel giorno della sua elezione a sindaco, con nome civico che ha messo d’accordo tutti ma in sordina, dopo gli anni più che mai sonori di Luigi De Magistris. 

 

La seconda volta negli ultimi mesi, quando, sotto la sua guida, si è arrivati, nel centrosinistra, a trovare un punto di compromesso tra i dem di Elly Schlein (anche se non tra quelli fedeli al governatore uscente della Campania Vincenzo De Luca) e i Cinque Stelle dell’ex premier Giuseppe Conte, attorno al nome dell’ex presidente della Camera m5s Roberto Fico, grillino assai democristiano nel suo incedere da candidato presidente della Regione. 

 

Ma questo è solo il proscenio. E’ sullo sfondo che gli indizi compongono il quadro. Ecco infatti, nell’arco di un semestre, Manfredi sulla scena a intermittenza. Ecco il presidente Anci – ex rettore, ingegnere, napoletano pacato che tiene famiglia (con figlia laureata in Finanza e moglie medico) senza mai sbandierarla – collocarsi una, due, tre volte tra i nomi di punta del nuovo “Progetto civico Italia” lanciato dall’assessore ai Grandi Eventi, Turismo, Sport e Moda del Comune di Roma Alessandro Onorato, con centinaia di amministratori, la sindaca di Genova Silvia Salis e, soprattutto, l’ispirazione e i buoni auspici del guru dem Goffredo Bettini, king maker di vari leader del Pd. Ancora prima, ecco Manfredi parlare alla Leopolda, nel giorno in cui l’ex premier e leader di Italia Viva Matteo Renzi presenta al mondo il nuovo contenitore politico, altrimenti detto “Casa riformista”. E non basta, ché si è fatta trasversale, negli ultimi tempi, l’idea che sarà infine lui, Manfredi, a raccogliere i panni (o gli stracci) del centrosinistra in cerca di papi mezzi stranieri e mezzi no, per trasformarli, se non in oro, in concreta possibilità di sfidare il centrodestra. Non a caso, dicono gli aruspici, quattro mesi fa, nel giorno delle nozze d’oro di Sandra e Clemente Mastella, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il senatore ex diccì e oggi pd Pierferdinando Casini, rivolgendosi a Manfredi, si sono ritrovati ad apostrofare il sindaco di Napoli con la stessa frase: “Gaetano, sarai tu l’uomo da battere”. Dove e come, quasi si teme a dirlo, perché il futuro scranno di candidato premier del centrosinistra è diventato, soltanto a evocarlo, sicura metafora di discordia, mentre si spera via via in profili diversi: in Silvia Salis, per esempio, ma la sindaca di Genova al momento resta nella sua città, pur partecipando agli eventi dei civici (“è troppo presto”, sintetizza Mastella). E che dire di Ernesto Maria Ruffini, ex direttore dell’Agenzia delle Entrate e fondatore dei comitati “Più uno”, in principio benedetto dal professore Romano Prodi, un Prodi che oggi a Schlein dice “non siete visti come vera alternativa”? Fatto sta che la figura di Ruffini s’è fatta carsica: nessuno, al momento, sa dire bene quando, come e se ricomparirà. 

 

Ed è a questo punto della storia che il nome dell’altro professore, cioè di Manfredi, si colora di sfumature federatrici oltre la sua volontà (almeno così dice, negando per ora di essere quel che gli altri vorrebbero già fosse): il sindaco sembra infatti poter arrivare, quatto quatto, là dove si sono arenati i progetti di chi vedeva adatto a federare il centrosinistra l’ex premier e commissario europeo Paolo Gentiloni o là dove il correntone di maggioranza dem – sotto la triplice guida di Dario Franceschini, Andrea Orlando e Roberto Speranza – o la minoranza dem dei riformisti, con la vicepresidente del Parlamento Ue Pina Picierno, ancora non possono o non vogliono osare. O, addirittura, là dove l’ambizioso e ubiquo ex premier a Cinque Stelle Giuseppe Conte si scontra contro una non ubiqua approvazione presso l’elettorato, da cui i flop in alcune regioni, nonostante Conte sappia farsi uomo  di piazza e di mediazione a ore alterne, passando dalla presentazione accorata del libro di Rula Jebreal dal titolo netto – “Genocidio”, inchiesta su Gaza – all’accompagnamento protettivo di Fico che presenta le liste a Napoli, in veste più felpata del più felpato  tra i Cinque stelle odierni. 

 

Ed ecco che, mentre il Pd si conta tra correnti e correntoni, il sindaco di Napoli, zitto zitto, fa quello che faceva prima, ma che ora viene visto come tassello-chiave del mosaico: amministra. Oggi la città, prima l’università, particolare non da poco, questo, in giorni in cui le università tornano sotto i riflettori per gli episodi di antisemitismo (vedi caso Fiano). Dire città, poi, significa anche dire prova di resistenza sulla grande scala del grande evento: non per niente Manfredi è anche l’uomo che sta portando a Napoli l’America’s Cup (edizione 2027), e c’è chi allora, quasi quasi, lo vede adatto a organizzare persino un G7. Soprattutto, dire città significa arrivare al Comune alla testa di una coalizione che, nel nome di Manfredi, ha abbandonato i veti per raccogliersi attorno all’idea di una Napoli più inglese, nel senso della logistica, della pulizia e della modalità di comunicazione del sindaco, considerato nei ceti produttivi e culturali della città alla stregua del dottore che cura, più che del conquistatore. E allora perché non esportare il metodo Manfredi altrove, si comincia a pensare nel centrosinistra, anche se lui, il sindaco, alla domanda “se non l’hanno vista arrivare, la vedranno restare come federatore?”, oppone gentile diniego. Elly Schlein può dormire sonni tranquilli? Chissà. Fatto sta che gli esegeti dell’ascesa di Manfredi non gli credono, quando nega, tanto più che al sindaco, dice un parlamentare napoletano, “riesce un’impresa di sicura approvazione anche al centro: parlare di sicurezza senza sembrare uno sceriffo”. 

 

Lui, Manfredi, si sottrae, pur non sottraendosi del tutto: “Non penso assolutamente di fare il federatore”, diceva qualche tempo fa a Firenze, e aggiungeva, facendosi forse possibilista: “Federatore’ è un termine molto inflazionato, di federatori ce ne saranno dieci o venti. Semplicemente cerco di portare nei dibattiti la mia esperienza di sindaco e di presidente Anci. I sindaci oggi rappresentano la frontiera più avanzata dell’amministrazione pubblica in Italia, perché sono ogni giorno sul pezzo, devono affrontare tanti problemi, spesso senza avere poteri e senza avere risorse, ma lo fanno confrontandosi con i cittadini, diventando anche un po’ il bersaglio dei cittadini. Il sindaco rappresenta l’interfaccia”. Interfaccia che unisce il diverso da sé e i diversi tra loro, a partire da Roberto Fico, diversissimo da Manfredi e da mezzo Pd, fino ad abbracciare tutta la coalizione, da Avs a Mastella. E insomma, quando nel Pd si parla di primarie, non si pensa certo a lui come frontman, ma come opzione reale e magari elettorale che si staglia (prima? dopo? durante?) in controluce. C’è chi, tra i dem, porta come indizio queste sue parole: “Credo che, in una politica che parla sempre più per slogan e post, ma parla poco con i cittadini, i sindaci possano portare un contributo importante. Chiunque sarà il federatore, qualunque sia lo schema politico portato avanti, la cosa fondamentale è che ci siano il pensiero e il desiderio di parlare con le persone e dei problemi delle persone”. La politica, dice il Manfredi sindaco ingegnere con sciarpa Burberry, è fatta di “passione e coraggio, ma anche di numeri. A Napoli uniti abbiamo vinto; fossimo andati uniti alle Politiche, avremmo visto un altro film”. Quale sia il sequel non si sa, ma nel centrosinistra in viaggio la convinzione si diffonde: qualsiasi cosa succeda in superficie, tutte le strade, in qualche modo, devono ora passare per Napoli. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.