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verso le regionali

Leggere il programma di Stefani e scoprire come fare del centrismo un'alternativa a Vannacci e Salvini

Dario Di Vico

Il giovane candidato deve sostituire il governatore-mito Zaia ma non ha paura: vuole creare un assessorato ad hoc che dovrà sovraintendere a policy come la centralità della famiglia, il welfare di prossimità, le comunità inclusive per il benessere delle persone anziane e lo psicologo di base

Duecento pagine di programma ricordano inevitabilmente le “enciclopedie” dei tempi dell’Ulivo nazionale ma Alberto Stefani e i suoi spin doctor hanno deciso di stupire. E non solo per la quantità dei proponimenti che indirizzano all’elettorato nordestino ma anche per il merito. Alberto Stefani è giovane e ha l’ingrato compito di sostituire alla testa della regione Veneto un governatore-mito come Luca Zaia, uno che ha forgiato persino il lessico immaginario della sua zona brandizzata Zaiastan. Proprio per indicare il predominio politico assoluto e la sua egemonia sulla società veneta. Si è sempre detto in passato che Zaia più che un leghista arrabbiato fosse in realtà un democristiano abile nel dosare freno e acceleratore e nel proporsi ai suoi elettori anche in maniera trasversale. 


Del resto non ci vogliono degli esperti in demoscopia per capire che vista la quantità dei consensi che ha sempre convogliato su di sé Zaia sia stato capace di attirare anche il voto di consistenti settori del centro sinistra. Ebbene Stefani si propone di essere ancora di più “largo” e democristiano. Un super Zaia, almeno nelle intenzioni. Certo la novità sarà che in qualche modo gli equilibri post voto dovranno tener conto della forza di Fratelli d’Italia – finora sottorappresentata in regione – e quindi Stefani dovrà rassegnarsi a una sorta di coabitazione competitiva con tanti assessori meloniani. Ma non è sufficiente nemmeno questa considerazione a spiegare tutte le discontinuità contenute nel programma di Stefani. Ecco una piccola rassegna, forzatamente riassuntiva.

Il tema chiave è il sociale e infatti a differenza di Zaia il prossimo probabile governatore ha intenzione di creare un assessorato ad hoc che dovrà sovraintendere a policy come la centralità della famiglia, il welfare di prossimità, le comunità inclusive per il benessere delle persone anziane, e – udite, udite lo psicologo di base. Un’istanza che a livello nazionale è stata promossa nel recente passato dal Pd. Un’altra proposta che sa vagamente di temi cari alla sinistra è quella che mira a favorire lo smartworking, la flessibilità degli orari e politiche di conciliazione vita-lavoro. La cultura, secondo Stefani, è da rilanciare e il futuro richiede “un salto di qualità perché si tratta di un’infrastruttura sociale”. Quindi non è vero, come sosteneva un noto ministro, che la cultura non dà da mangiare anzi diventa un punto d’onore della futura giunta leghista. Che non ha paura – almeno nelle premesse – a sporcarsi le mani con la rigenerazione urbana (come strumento di tutela del paesaggio) e annuncia una legge regionale sul clima “per una strategia integrata di mitigazione e adattamento”. Altro caso in cui si pesca lontano dalla cassetta tradizionale degli attrezzi della Lega e lo si fa senza timore alcuno.

Ma non è finita. Il modello emiliano della multiutility Hera viene chiamato in causa per promettere una strategia unitaria per calmierare i prezzi di luce, gas e acqua. In sintesi: una società moderata, attenta alle radici, rispettosa dell’impresa ma al tempo stesso contemporanea. Molto lontana dalla mitologia di Alberto da Giussano e del pratone di Pontida con i leghisti vestiti da antichi celti. La citazione chiave a cui ricorre Stefani è originale per il suo partito e attinge a Simone Weil (“Il bisogno di avere radici è forse il più importante e il meno conosciuto dell’anima umana”). Molto comunitarismo, dunque, nella nuova ispirata veneto leghista e tanta società solidale per tentare di porre un argine all’individualismo e alle solitudini del nostro tempo. Da qui, come già detto, l’enfasi ai temi sociali e la proposta di un assessorato ad hoc, centrale nell’immagine (e nell’azione) della nuova giunta (a proposito di immagine: Stefani ha distribuito ai suoi un decalogo per la campagna elettorale che vieta gli eccessi dei candidati e raccomanda di presentarsi come una forza tranquillissima).

I primi commenti del programma di Stefani segnalano appunto un posizionamento neocentrista, lontano duemila miglia dal vannaccismo ma anche da Matteo Salvini e dalle sue sortite. Mentre il leader nazionale cura la corsia destra e ne vuole quasi il monopolio, Stefani quella corsia la snobba totalmente e sceglie di occupare – almeno a parole – l’intera carreggiata. Chi non usa l’analogia centrista parla di un’operazione dorotea. I più raffinati pensano invece che in questo modo si cerchi di puntare anche all’elettorato astensionista che non ama la politica gridata e chiede maggiore aderenza alla vita quotidiana. Un’ultima riflessione riguarda un po’ più in generale la relazione tra politica e tendenze (vere) del Veneto. Domanda: non è che le amministrazioni possono dire e fare le cose che vogliono ma tutto ciò finisce per pattinare sulla realtà senza modificarla? Il Veneto che esce dall’èra Zaia ha bisogno di grande discontinuità soprattutto in campo economico e sanitario. L’Emilia al confronto è una regione sistemica, il Veneto resta anarchico e incoerente. Il dinamismo degli imprenditori incontra limiti strutturali nella dimensione delle imprese, nella difficoltà della staffetta generazionale e nella mancanza di manodopera qualificata e non. Riuscirà un neocentrismo che a sua volta ha dei limiti di spesa a dare una vera svolta? E 200 pagine, dal canto loro, servono davvero a qualcosa?