Anatomia dell'antagonismo
Tutti i centri sociali più importanti d'Italia, dal caso-Fiano al Leoncavallo. La mappa della collera
Nord-est testardo, Milano ibrida, Roma proteiforme, Napoli eccezione meridionale. Ogni città ha una collera e un lessico di rivolta
Da anni analisti e addetti ai lavori osservano il mondo antagonista italiano. Ne colgono variazioni di temperamento. Minime oscillazioni di sangue a seconda del suolo. Anche l’ira, del resto, ha le sue sfumature. La rabbia veneziana esplosa all’Università Ca’ Foscari contro Emanuele Fiano, per dire, ha tutt’altro tono dal dissenso proprio dell’Italia profonda. E poiché il paesaggio non è mai solo sfondo, anche i nervi hanno le loro mappe (là dove il nord, in Italia, segna il punto cardinale della collera: una maggiore concentrazione e incidenza dei centri sociali). Riprendendo il bandolo dal nord-est, quindi, una sua identità ha l’Italia nordorientale. L’organizzazione che lunedì ha boicottato il segretario di Sinistra per Israele – accusandolo di sionismo – non è precisamente la più importante in Triveneto, anzi.
Fronte della Gioventù Comunista – unione “marxista e leninista” – prima che nel mondo pro-Pal trova il suo asset nella lotta al precariato giovanile. Non è la più importante, quindi, ma nella macroregione è l’unione che fa la forza. L’associazionismo che, in gergo antagonista, fa riferimento al concetto di “circuito”, da Rovigo a Trieste. I centri sociali di rilievo in Triveneto sono tanti. Si parte dal Laboratorioccupato Morion, la tana di Tommaso Cacciari, il nipote di Massimo. E si continua con il Rivolta di Marghera, più incline allo svago, con il Pedro di Padova, più fanciullesco e universitario. E ancora con il Bocciodromo di Vicenza, il Django di Treviso e il Bruno di Trento. Ma al di là delle singole cellule, il temperamento antagonista del nord-est, si diceva, è quel che si può dire “testardamente unitario”. Avvinto nell’idea del “circuito” e della “rete”. Da Rovigo a Trento, sino a Trieste. In Triveneto è abitudine condividere e aderire alle manifestazioni dei vari centri. I quali, almeno dagli anni Novanta, si ritrovano tutti nella sigla “Centri sociali Nord-Est” (nel 2001 figurarono tra i principali organizzatori antagonisti al G8 con il movimento Tute Bianche).
Tutt’altro carattere ovviamente ha Milano, “vicina all’Europa”, che dal resto d’Italia è sempre diversa nei suoi fasti e nelle foschie. La capitale economico-finanziaria del paese, oggi, conosce un movimento antagonista pienamente integrato nella vita cittadina – il recente sgombero del Leoncavallo lo ha dimostrato. Un movimento capace di spostare i centri bianchi verso le periferie meticce, e viceversa. Da via dei Transiti ai graffiti del Conchetta. Dal vernacolare Collettivo Kasciavit al Lambretta inaugurato nel multietnico quartiere Nolo, ora a Porta Nuova (espressione del social up-grade cittadino). L’idea di fondo, qui – che si specchia nell’indole meneghina – è che la vita antagonista possa uscir fuori dal “circuito”. Che possa, per così dire, bucare la bolla e conquistarsi fette di società civile. Anche se la Lombardia, si sa, non è solo Milano ma pure Brescia (con il Magazzino 47), Bergamo (con il Paci Paciana) e Monza (con la Fabbrica Occupata Autogestita – Boccaccio).
Rotolando verso ovest e dunque verso il nord di Paolo Conte, “ad angoli e a spigoli”, s’intravede invece il figlio dell’epoca nuova. Il “maranza”. Lui, piemontese, che vive e lotta nel mito di Milano. Le mura rosse dei torinesi Gabrio e Askatasuna (in basco “libertà”) – rispettivamente attivi dal ’94 e dal ’96 – sono perciò il ricettacolo dell’uomo nuovo. Il vivaio del “maranza” streetwear. Particolarmente incline allo scontro fisico. E se il fenomeno dirada in Valle d’Aosta, non può dirsi lo stesso per la propaggine ligure. Dove il tradizionale attivismo anarchico delle librerie Ferrer e Adespotos, e l’operaismo dei portuali, s’innestano all’attenzione altissima per la causa palestinese, dovuta probabilmente alla Global Sumud Flotilla che, anche da Genova, ha preso il largo il 31 agosto.
Prima di arrivare a Roma, il viaggio nell’Italia eversiva fa poi tappa a Bologna e Firenze. Nel capoluogo emiliano si può dire che la sovversione sia pressoché fisiologica. Legata alla dimensione universitaria e agli spiriti insubordinati della gioventù. Essa si manifesta soprattutto nel centro sociale Labas (“mosso da amore per un mondo migliore”: la gioventù, appunto) e nel Teatro Polivalente Occupato che al rosso-rosso preferisce un pastello ceruleo, più millennial.
Non si contano, invece, le realtà toscane. Le quali, da Firenze in giù, hanno più addentellati delle altre nei partiti di estrema sinistra in consiglio comunale e regionale (promemoria: alle ultime elezioni la lista “Toscana rossa” ha ottenuto un relativo successo). Il CPA Fi-Sud di Firenze, il Newroz di Pisa, l’ex Caserma Occupata di Livorno fondano la propria realtà nel passato appennino della Resistenza. E dunque in stilemi che paiono più novecenteschi che altrove. Parliamo di Lenin e Marx.
Roma? Come tutte le capitali, è un piccolo mondo. Sicché vanta tutta la gamma di sfumature possibili. La triade capitolina è nei centri Spartaco, Acrobax, Forte Prenestino. L’antagonismo universitario è al centro Zaum della Sapienza (“La vita costa cara, lo studio non ci appaga. Fuck your career”). Ma a Roma, poi, c’è il fronte ambientalista-metropolitano di Ultima generazione (i “palazzi di potere”, del resto, offrono un numero smisurato di tele e marmi da insudiciare).
Se poi il dissenso s’appanna al Mezzogiorno, Napoli resta comunque un’eccezione. Nella capitale del sud ci sono l’ex Ospedale psichiatrico giudiziario e l’ex mensa universitaria occupata Mezzocannone a dare spazio alla rabbia della terza università più antica del paese. Con tutti i rivoli pro-Pal che, oggi, sono il filo rosso da nord a sud. Ma sempre a Napoli sono ancora molto attenti ai decreti sicurezza, contrastati dalla Rete A Pieno Regime.
In Puglia ogni attivismo va a scemare, forse in parallelo all’attivismo lavorativo. Sarà la vita lenta, sarà il pensiero meridiano, ma solo di recente si è assistito a cenni di rivolta nel Collettivo ex Caserma Occupata di Bari. In Salento, poi, l’antagonismo collima quasi col folclore delle masserie occupate di Urupia e Crispiano… Sicilia e Calabria si concentrano molto sul ponte: il movimento è NO PONTE. E poi in Sicilia, con il NO MUOS, contro le antenne di comunicazione Nato. Zero anglismi e zero sigle, invece, in Sardegna. Isola anarco-ambientalista. Il grand tour della rabbia finisce qui. Con A Foras – Contra s’Occupatzione de sa Sardigna. Il centro contro gli eserciti che perpetuano “un sistema di violenza”. Perché c’è un filo, secondo gli isolani, che unisce “Palestina, Sudan...e gli orrori del genocidio all’occupazione militare della Sardegna”.