(foto Ansa)
imprese contro la manovra
Confindustria in rivolta. Dal Veneto: “Altro che difesa del Made in Italy. Forte la mancanza di vicinanza del governo”
Dopo giudizi positivi, Viale dell'Astronomia inizia a mostrare segnale d'insofferenza sulla legge di Bilancio: "Queste misure non basatno. Rischiamo di vedere scomparire le aziende per come le conosciamo". Parlano i presidenti di Confindustria Verona, Vicenza e Veneto est
Sembrava un idillio. Ma la relazione tra governo e imprese ha risentito di un cambio repentino di umori. Sentite gli industriali veneti (il ministro Urso è cresciuto a Padova). “Ancora una volta ci troviamo di fronte a una manovra che non tiene conto del mondo delle imprese che sono le principali produttrici del pil del nostro paese. Anche questa legge di Bilancio, infatti, non contiene provvedimenti di durata almeno triennale che è il tempo minimo per pianificare un investimento e programmare le attività”, dice al Foglio Giuseppe Riello, presidente di Confindustria Verona. “Continuiamo a doverci confrontare e a competere con paesi che sono molto più favorevoli al mondo produttivo, pensiamo ad esempio alla differenza che scontiamo rispetto al costo dell’energia. Si fa presto a riempirsi la bocca con il made in Italy senza sostenerlo realmente. Sentiamo forte la mancanza di vicinanza del nostro governo e della politica in generale. Una lontananza che non fa altro che indebolire il nostro manifatturiero. Rischiamo davvero di veder scomparire le aziende per come le conosciamo”, aggiunge il presidente degli industriali veronesi.
“Apprezziamo il lavoro fatto dal Mef, ma il giudizio sulla manovra è solo parzialmente positivo”, aggiunge al Foglio Paola Carron, presidente di Confindustria Veneto est, che riunisce le province di Venezia, Padova, Rovigo e Treviso. Ribadendo come “ci siano misure molto attese dalle imprese che, a oggi, non trovano riscontro”. Se fino a qualche giorno fa il presidente di Confindustria Emanuele Orsini diceva che “nella legge di Bilancio le nostre richieste sono state accolte”, la versione di Viale dell’Astronomia s’è fatta ben più meditabonda. “Abbiamo superato le aspettative degli industriali”, ha detto lunedì il ministro delle Imprese Adolfo Urso. “Forse ha delle tabelle diverse”, gli ha risposto Orsini. Ma è raccogliendo la versione degli industriali veneti, regione di provenienza di Urso, che emerge tutta l’insoddisfazione della categoria. “Le imprese italiane hanno contribuito in modo rilevante negli ultimi anni, spesso rinunciando a risorse che avrebbero potuto rafforzare la competitività, a sostenere l’innovazione e generare valore aggiunto. Non possiamo continuare a trovarci di fronte a un paese che ignora le leve dello sviluppo”, spiega al Foglio la presidente di Confindustria Vicenza Barbara Beltrame Giacomello. “Abbiamo lasciato cadere l’Ace, sostituita da misure inefficaci. Ma soprattutto, abbiamo visto affondare un piano – la cosiddetta Transizione 5.0 – che è stato un fallimento annunciato. Troppo complesso, farraginoso, pensato più per scoraggiare che per incentivare”, aggiunge. “Il risultato è stato paradossale: miliardi rimasti inutilizzati nei cassetti dei ministeri, mentre le imprese venivano lasciate sole a fronteggiare inflazione, tassi, e costi crescenti. Serve un’inversione di rotta radicale: meno burocrazia, più visione industriale. Non è il momento di compromessi, è il momento di scelte chiare”.
Lunedì, cercando di mettere una toppa alle rimostranze degli industriali, Urso, da Mestre, ha rassicurato che nelle pieghe della manovra ci saranno “quattro miliardi di euro con lo strumento necessario dell’iperammortamento”. Eppure, secondo gli imprenditori, questa non sarebbe affatto la via maestra. “La strada da seguire, è nota e ha già funzionato: il Piano Industria 4.0”, dice ancora la presidente di Confindustria Vicenza. “Era una misura efficace, semplice, automatica. Ha generato investimenti veri, ha spinto le imprese a innovare, ha creato occupazione qualificata. E’ a quel modello che bisogna tornare, con coerenza e senza stravolgimenti. Basta con le norme scritte per iniziati, con le autorizzazioni preventive, con i meccanismi opachi. Non superammortamenti, ma crediti d’imposta automatici, chiari, controllabili, e soprattutto stabili per almeno tre anni”. Per questo Beltrame Giacomello al governo e al Parlamento chiede: “Fateci investire”.
Anche secondo la presidente di Confindustria Veneto est Carron, il governo dovrebbe avere più coraggio: “Sappiamo che nella legge di Bilancio da 18,7 miliardi di euro circa 8 miliardi sarebbero destinati alle imprese, e ci aspettiamo che almeno la metà, 4 miliardi, siano destinati al rifinanziamento del programma Transizione 4.0. Non si tratta di nuove risorse, ma di una riprogrammazione, e va detto con chiarezza. Tuttavia, riconosciamo con favore questa misura che riteniamo doverosa. Accogliamo con favore anche il rifinanziamento degli incentivi ex legge Sabatini. Ci sono però ancora misure molto attese dalle imprese che, a oggi, non trovano riscontro. Un esempio è l’Ires premiale, che di fatto risulta ancora inaccessibile. Riteniamo fondamentale renderla davvero efficace, per incentivare la patrimonializzazione e premiare gli utili reinvestiti, non soltanto la crescita occupazionale”. In più, aggiunge ancora Carron, “come Confindustria, abbiamo presentato un pacchetto di 80 riforme attuabili a costo zero. Di queste, solo 5 o 6 sono state recepite. Ritengo sia un’occasione mancata ma sulla quale penso ci siano ancora margini per lavorare assieme”. Sullo sfondo delle (prime) tensioni tra governo e Confindustria c’è anche l’utilizzo dei soldi del Pnrr, che secondo Orsini dovrebbero essere rimodulati e “destinati alla crescita”. Ma anche il destino della famosa task force che l’esecutivo doveva istituire per monitorare l’impatto dei dazi. Struttura di cui, anche all’interno del governo, nessuno sa nulla.