Il Rotarct di Meloni

Nomi, volti e (lunghi) cv dei giovani meloniani, ex fasci, che al nero preferiscono il rosa

Ginevra Leganza

Mutazione antropologica dei giovani di destra. Sempre più governisti, meno fascisti e neodemocristiani. Sono i figli di una ragazza madre, e underdog, che li ha fatti laureare. E, quasi per riscatto, ne ha fatto un vivaio di professionismo e leadership. Gioventù nazionale è oggi il Rotaract di Meloni 

Sono i piccoli fratelli d’Italia. Non più neri – ex fasci – ma rosa. Dopo trent’anni, del resto, tutto s’appanna. Il nero vira su toni pastello. Il tricolore sbiadisce. E così rosa, oggi, è il colore dei ragazzi ex destri se non ex fascisti. La sfumatura dei trentenni neodemocristiani, dei giovani meloniani. Della Generazione Fenix – cosiddetta per il senso di rinascita proprio della fenice – che di rosa, appunto, ha colorato i suoi totem, i poster e i manifesti alla festa dell’Eur. Armocromie di destra e toni di mezzo, anzi di centro. Esatte sintesi fra il rosso e il nero.

Ma ecco allora che, a proposito di “nero”, sono passati quasi due anni dalle inchieste di Fanpage su Gioventù nazionale, il movimento under 35 di Fratelli d’Italia. L’ex presidente del circolo Pinciano Flaminia Pace – ripresa mentre oltraggiava gli ebrei e pronunciava il Sieg Heil – si è dimessa. E’ una dannata, adesso. Nessuno la nomina. E quando si chiede che fine abbia fatto, i militanti nicchiano: “Si è dimessa, non so, se ne stanno occupando i probiviri…”. E dunque la sensazione, a vederli e ascoltarli, è quella d’un cambio di passo a metà tra neo-centro e neo-con. Un cambio d’abito – ora più sobrio – che consacra il movimento a incubatrice di giovani governisti, giocoforza mansueti. “L’inchiesta di Fanpage è stata redditizia – ci dice il presidente di Gn in Puglia Andrea Piepoli – perché i numeri dal 2022 a oggi sono cresciuti. Il senso di responsabilità è diverso. Siamo come un dipartimento di stato, adesso”. Siete attenzionati? “Diciamo che abbiamo un altro ruolo. Siamo il traît d’union fra le giovani generazioni e il governo”. Siete governisti. “Sì”. Con un lieve cedimento al centro.

Dopo due anni, comunque, la festa di Gioventù nazionale, “Fenix”, è tornata. Nell’anno orribile 2024 saltò proprio perché, tra bodycam e risacche antisemite, non era aria di panel e pochetta. Due anni dopo, invece, tanti panel, pane e porchetta. E ben tre giorni di maglie bianche, volti glabri, barbe curate, capelli lunghi e pochi tatuaggi. Un mix gradevole, persino agli occhi degli ospiti astensionisti. Il lago dell’Eur sullo sfondo aveva un non-so-che di londinese, stile colazione nel prato a St James, con tutto quel rosa che secondo la teoria dei colori allevia la rabbia, promuove il perdono. E’ la destra-pastello.

Non a caso, poche settimane prima dalla festa, la scorsa estate, Gioventù nazionale entrava nell’International Young Democrat Union. L’unione internazionale dei giovani democratici, liberali, cristiani, fondata nell’83 da Margaret Thatcher, Goerge H. W. Bush, Jacques Chirac. Un ingresso celebrato su Instagram che aizzava i commenti dei follower più anziani: “Almeno ora la smettete di fingervi camerati!”. Domanda: ma quindi hanno smesso? A giudicare dal restyling, parrebbe di sì. O almeno così sembra dire, pur sorridendo, Fabio Roscani, deputato alla guida del movimento e succeduto all’altro leader romano del partito – e deputato di punta – Marco Perissa.

“La destra giovanile non è ideologica”, spiega il trentacinquenne in procinto di passare la mano per limite d’età. “Non lo è neppure culturalmente”. Gli chiediamo cosa voglia dire. Niente Evola? Niente Drieu la Rochelle? “Direi molto meno Evola”. Cos’è cambiato, allora? “E’ cambiata la politica. Oggi leggiamo i libri a prescindere dalla collocazione dell’autore. Amiamo molto J.K. Rowling, per esempio”. L’autrice di Harry Potter, femminista di sinistra ma terf. Ossia a favore dei diritti delle donne ma escludente i trans. “Coltiviamo una certa sensibilità cristiana – argomenta il presidente – ma non abbiamo un approccio confessionale”. Meno Gentile e più Croce? “C’è differenza tra essere laici e laicisti. Ecco, noi siamo laici. Ci riconosciamo nei valori della chiesa”. E non potete non dirvi (demo)cristiani. Perché insomma il potere leviga, il ruolo mitiga. E l’unico capo che i giovani riconoscono, oggi, è il capo del governo.

Il passato passa, spiegano perciò Piepoli e Roscani. Diventa remoto. E allora non chiediamo più loro conto del Duce. Mai più. Ma del passato prossimo. Ecco, per esempio, che rapporto avete voi con Gianfranco Fini? “Non abbiamo rapporti”. E’ il fantasma di un altro Natale? “Sì”. E con Fabio Rampelli, più avanti nel tempo? “Fabio? Lo invitiamo alle feste, lo stimiamo”. Ai tempi di Colle Oppio lo chiamavano Dante. “Sì, ma la nostra cinghia di trasmissione è Atreju”. I vostri fratelli maggiori, e prediletti, sono Francesco Filini e Marco Perissa. E poi Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura. “Noi non siamo figli di Dante, ma di Giorgia”. Figli di una ragazza madre. Underdog. Che li ha fatti laureare, forse per riscatto, e ne ha fatto un vivaio di professionismo e leadership. Il Rotaract di Meloni.

Volendo sfruculiare nei cv, infatti, i ragazzi di via della Scrofa sono spesso avvocati, notai, donne manager e organizzatrici di eventi. O magari sono commercialisti come il figlio del viceministro agli Esteri e candidato in Campania Edmondo Cirielli. Italo Cirielli, figlio e xerografia del padre, che è consigliere comunale a Cava de’ Tirreni, che è di formazione luissina, poi bocconiana, che ha un dottorato di ricerca al Centro alti studi della Difesa. Anche lui – raccontano – si sarebbe dovuto candidare al consiglio regionale. Benché poi alla fine abbia evitato “sua sponte” – e ci mancherebbe – perché con il padre in campo faceva un po’ troppo Parenti d’Italia.

Ma se Cirielli junior, oltreché di Giorgia, è anzitutto figlio d’arte – e come lui il fratello Renato, anch’egli militante e pilota dell’Aeronautica – le biografie in via della Scrofa fioccano tutte di allori e master. Tanto che a prevalere sulla politica della strada – e sul mito di Giorgia adolescente che vende dischi a Garbatella – è una certa mistica del liceo. Se possibile, classico.

Nel Rotaract di Meloni, appena dietro il presidente Roscani – ex analista bancario a Riad – ci sono quindi la vicepresidente Chiara La Porta e l’europarlamentare trilingue Stefano Cavedagna, ragazzo prodigio con master in promozione del Made in Italy, addottorato in diritto europeo e consigliere della Fondazione Italia-Usa: profilo in ascesa e però svantaggiato all’anagrafe (ha già trentacinque anni, troppi per diventare presidente). Tra i più attempati, i dossier interni segnalano ancora i quarantenni Maurizio Marrone, addottorato in diritto pubblico, assessore in Piemonte e quasi sicuro candidato sindaco di Torino nel 2027, e Riccardo Truppo, avvocato da 110 e lode che ora siede a Palazzo Marino… Da Fenix a Davos è un tiro di schioppo (o due giri di Rolex).

Venendo invece ai giovanissimi, e dunque a coloro in lizza per lo scettro di Gn, c’è la biondissima Caterina Funel. Piccola manager, cresciuta oltre le colonne, a Garbatella, e anche per questo più vicina a Meloni di tanto altri. Funel, che chiamano l’Anima di Atreju, si dà molto da fare. Sgomita, fatica, e organizza ogni anno la kermesse dei fratelli agé. Nelle foto stringe forte Mamma Giorgia da cui eredita i capelli biondissimi a metà tra il bob lungo e il biondo-Ivanka (non per niente Meloni “is beautiful” agli occhi di Trump). Appena dopo Funel, in gara per il timone, ci sono poi l’altra bionda Angelica Lupacchini, neoeletta consigliere nelle Marche, e Michele Schiavi, classe 1999, anche lui papabile capo, consigliere in Lombardia e già sindaco più giovane d’Italia (entrò in municipio a Onore a diciotto anni).

Un tripudio di blazer e capelli alla cheratina. Che segnano il giro di boa. Un rinnovamento totale rispetto al congresso di Viterbo che nel 2004 elesse Meloni alla presidenza di Azione giovani. All’epoca prevalevano i maglioni oversize di Donzelli, i cardigan con zip di Del Mastro, la dialettica reducista e una certa avversione ai corsi di formazione inutili, secondo Francesco Torselli, rispetto all’attacchinaggio. Ma ecco che dopo molti master (e poco eccitanti baci accademici) la gioventù di destra ha fatto la muta.

Addio ai campi hobbit e ai viaggi a El Alamein. Non ci sono più i solstizi di una volta. Né le passeggiate ad alta quota. Alle montagne, i giovani preferiscono Monti. Ossia il rione romano dove si trova il locale Sanctuary, speculare al Monk di Elly Schlein. E dunque addio ai monti come pure alle icone della sezione Colle Oppio. Evola, Papini, Degrelle – celebrati nella spelonca – hanno ceduto le teche a nuovi eroi. Raccolti per ora in un file drive. “Non un Pantheon”, scrivono i giovani nella sinossi di quella che sarà presto la mostra “Eroi del nostro tempo”. Non un tempio agli dei bensì “un cammino” (almeno non c’è scritto “un percorso”…). Una compagine meno elitista, più interclassista. Un’équipe di eroi che vanno dal santo-ragazzo Carlo Acutis, canonizzato quest’anno da Leone XIV, alla giovane persiana Mahsa Amini, pestata fino alla morte per l’hijab in disordine. In punta di fantasy, poi, in mostra non ci saranno più elfi tolkieniani, ma il più pop protagonista della serie “Dune” interpretato da Timothée Chalamet, il fluido attore millennial che rinnegò Woody Allen per via degli scandali erotici. Tra gli altri, ancora, c’è Giorgio Perlasca, il salvatore degli ebrei ungheresi dall’Olocausto, e poi Nino Benvenuti, “che sul ring combatteva con eleganza e intelligenza”. Spicca il ragazzo-combattente, affetto da progeria, Sammy Basso, e l’oppositore di Putin, Alexei Navalny. Anche se il cambio di passo vero è in campo letterario. I ragazzi meloniani, infatti, non sono più cani poundiani, “bastonati sotto la grandine”. I figli di Giorgia sono responsabili. Sono governisti. Perciò non ci sono passaggi al bosco, iniziazioni, ribellismi jüngeriani. La barba dei poeti ha lasciato spazio alla barba saggia di Marco Aurelio. Gli incomprensibili Canti pisani sono scomparsi. In compenso, però, c’è un maledettismo liscio, liceale. C’è il poeta Rimbaud, per esempio, inserito tra gli eroi del loro tempo. Il quale però non si sa cosa c’entri con l’altro eroe, e fondatore di San Patrignano, Vincenzo Muccioli. Più che cortocircuiti, è una bohème ginnasiale. Interessante, ancora, è notare l’oscillazione in quota nipponica per cui dalla mostra va via Yukio Mishima, morto suicida col rito seppuku, ed entra Harukichi Shimoi, morto dopo una vita di traduzioni e reportage. Giappone senza troppe inquietudini. E senza effetti collaterali.

Defascistizzazione? A vederli, perbene e circospetti, la veste dei fantasmi del passato è caduta. Le croci celtiche sono state rimosse. E d’irlandese, adesso, non ci sono che gli irish pub che i piccoli meloniani frequentano di buon grado. Anche se il luogo di ritrovo, dicono, è ancora il Sanctuary. La mini Bali di Arianna. Il santuario wellness delle Meloni vicino alla Domus Aurea, nel parco di Colle Oppio, tra fronde e cotone macramé. Un “eco retreat” che è anche un’eco d’altri tempi. Per quanto in certe cose i trentenni non cambino mai… I movimenti giovanili, si sa, non smuovono solo idee ma persino cuori. Affetti che la perfida alchimia giornalistica subito tramuta in gossip. La teogonia della Nazione, d’altronde, deve continuare. E così, dopo l’epopea folle di Arianna e Lollo, altri destini, adesso, s’intrecciano. Come accade per esempio al presidente di Gioventù nazionale, l’onorevole Roscani, e alla brillante promessa Funel, Meloni wannabe. Due piccoli pezzi grossi. “L’amore capita – risponde lui – come in tutti i luoghi dove si lavora tanto, e per tanto tempo insieme. Ma adesso non facciamo pettegolezzo”. No. “Evitiamo che la nostra politica si mischi con le chiacchiere”. Ci mancherebbe, onorevole. Se son rose fioriranno. Perché insomma “rosa è bello”, parafrasando Giampiero Mughini e la sua indagine sul “nero” e i neofascisti del 1980. Rosa è bello, non meno che nero e, a ben vedere, rosa-Fenix, forse, è solo il rosa dell’aurora. Forse è solo l’alba. O perlomeno quella che sembra la prima luce d’una neonata balenottera bianca.

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