(foto Ufficio Stampa Palazzo Chigi)

eravamo orbaniani

Meloni ospita Orbán, ma su Kyiv c'è sempre più distanza. Tajani: “Noi diversi da Budapest”

Luca Roberto

La premier riceve l'omologo ungherese a Palazzo Chigi. Un'ora esatta di colloquio, con Budapest che si smarca anche da Trump: "Sulle sanzioni a Putin sbaglia". Il governo magiaro critica Report per un servizio sul sovranismo europeo. Domani Orbán vede Salvini

Un’ora esatta di colloquio. Quella che evidenzia la distanza tra Giorgia Meloni e Viktor Orbán sull’Ucraina. Anche se la premier, accogliendo l’omologo ungherese a Palazzo Chigi, si mostra pragmatica, spaziando dai migranti, al medio oriente fino al Safe per la difesa comune. E dire che arrivando nella capitale, poco dopo la visita al Papa, Orbán s’era scagliato pure contro Trump: “Su Putin sbaglia. Andrò da lui per fargli togliere le sanzioni”. In FdI già dicono: “E’ in campagna elettorale”. Domani vedrà Salvini. 

E quindi il colloquio tra la presidente del Consiglio e il premier ungherese si svolge dopo che, in tarda mattinata, Orbán ha già fatto in tempo a dire (intervistato da Repubblica e Messaggero) che le sanzioni al petrolio russo sono un errore di Trump. E che l’Europa “non conta nulla”. Mentre nel pomeriggio un consigliere del governo ungherese, Balázs Orbán, se la prenderà pure con un servizio di “Report” sul sovranismo europeo (e ungherese), bollato come “pieno di pregiudizi”. Da qui il compito non facile per Giorgia Meloni: quello di fare da tramite, da mediatrice, con l’uomo che già da tempo si è distanziato dalle posizioni di Ecr. E che però, si ragiona tra i meloniani, ha come unica vera interlocutrice europea proprio la premier italiana. Eppure i rapporti con il capo del governo di Budapest, almeno da un anno a questa parte, sono se non raffreddati quanto meno condizionati dalle posizioni internazionali.

Dice al Foglio il capogruppo di Ecr al Parlamento europeo Nicola Procaccini che “con Orbán ci sono temi su cui c’è maggiore distanza, come il conflitto russo-ucraino o il posizionamento rispetto a Mosca e Pechino, e invece altri su cui invece c’è maggiore affinità ideologica. Le sue dichiarazioni sulle sanzioni al petrolio russo vanno inquadrate in una certa ottica: l’Ungheria è in piena campagna elettorale, e lui ha una situazione contingente di dipendenza dal gas e dal petrolio russo e non sa come emanciparsi. Senza questi elementi non si capiscono quelle uscite”. A sostegno di questo ragionamento, aggiunge Procaccini, “Orbán, pur avendo potere di veto ha votato 17 pacchetti di sanzioni”. Posizioni rinforzate dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che su Orbán rincara: “Sull’Ucraina l’Italia ha posizioni diverse”.   

 

Dalle parti di Via della Scrofa non hanno mai fatto mistero di non gradire le posizioni filorusse del premier ungherese. Proprio Procaccini, dopo le elezioni europee del giugno 2024, quando si paventava, dopo lunghe interlocuzioni, l’ingresso di Orbán in Ecr, aveva subordinato quell’operazione futura a una esplicita “dichiarazione scritta di sostegno all’Ucraina”. La stessa presa di posizione, il gruppo di Ecr, l’aveva chiesta all’Alleanza per l’unione dei romeni (Aur), perché “siamo sempre stati al fianco di Kyiv”. In realtà proprio l’ingresso dell’Aur tra i Conservatori europei, all’epoca ancora presieduti da Meloni (mentre adesso il presidente è l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki) aveva rappresentato una prima “rottura” tra Meloni e Orbán, secondo cui “Fidesz non condividerà mai un gruppo con un simile partito al Parlamento Europeo, questo non è negoziabile”, in ragione delle posizioni antiungheresi del partito romeno.  Fatto sta che, come detto, l’incontro di ieri a Palazzo Chigi è servito anche ad  affrontare alcuni dossier su cui è più facile individuare punti di contatto: l’immigrazione, per l’appunto, la situazione in medio oriente, con il governo ungherese che rimane uno dei principali alleati europei di Netanyahu. E “le opportunità offerte dallo strumento europeo Safe, valutando possibili sinergie tra Italia e Ungheria a sostegno delle rispettive capacità industriali e tecnologiche”. “Un piacere rivedere Meloni, restiamo uniti”, ha poi scritto sui social Orbán.

 

Dentro FdI sanno bene  che il dialogo con Budapest non possa venir meno, nel momento in cui, sul continente europeo, si affacciano posizioni simili, dal filorusso Andrej Babis che è stato incaricato di formare un governo in Repubblica ceca. Al presidente slovacco Robert Fico le cui posizioni sulla guerra in Ucraina sono note. In più, Meloni e Orbán sono allineati sul no alla riforma del sistema di voto all’unanimità a livello europeo. Come aggiunge  Procaccini, “in questi anni Orbán è stato gettato nelle braccia di Putin da parte dell’Ue, quando si è aperta una serie di procedimenti di infrazione contro l’Ungheria che hanno fatto sì che uno dei paesi più colpiti dal Covid non potesse avere accesso al Next Generation Ue. Questo è stato un errore tragico”. E adesso Meloni, pur non sentendosi orbaniana, vuole scongiurare altri isolamenti.

Di più su questi argomenti:
  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.