Foto LaPresse

Tra affitti brevi ed extraprofitti

Parla Pomicino. L'eterna commedia sulla manovra vista da chi ricorda “l'assalto alla diligenza”

Le (solite) accuse nella maggioranza.l'evocazione e la probabile composizione successiva. E il confronto con gli anni Ottanta

Marianna Rizzini

La domanda che farebbe al suo “amico Giancarlo Giorgetti", è: “Se si prevede che il rapporto deficit-Pil possa scendere sotto il 3 per cento tra il 2025 e il 2026, non sarebbe il caso di fare più investimenti pubblici, per aiutare la crescita? Perché, altrimenti, si cadrebbe in una situazione in cui, come si dice a Napoli, l’operazione è riuscita, ma l’ammalato è morto”

I bisticci sul micro e sul macro, su extraprofitti e affitti brevi; l’avvitamento sul dettaglio, le dichiarazioni sotto i riflettori e le parole sottotraccia a proposito di chi ha deciso cosa, di chi sapeva e non ha parlato e di quello che si poteva tagliare o non tagliare nella legge di bilancio. Ultimo ma non ultimo, il crescendo di tensione tra partiti di maggioranza, al limite del botto, con la concordia che però magicamente ricompare, come ogni anno, proprio sotto Natale: è il ballo-commedia della manovra economica, eterno déjà-vu d’autunno. Partendo dalla fine, e cioè da ieri, c’è Forza Italia che, a proposito della tassa sugli affitti brevi, dichiara di aver appreso della norma ex post, e c’è Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, che risponde: ai vertici governativi Antonio Tajani c’era e sapeva tutto. Contro-risposta: “Lupi è un Pinocchio ma lo perdono”. Battuta finale: “Ringrazio Antonio perché sin da piccolo amo Collodi e sono affascinato dal racconto di Pinocchio, ma ricordo che accanto al burattino c’è il grillo parlante…”. Sarà bufera o rumore per nulla? “Come andrà a finire lo si intuisce”, dice Paolo Cirino Pomicino, già pilastro della ex Dc che, da ministro della Funzione Pubblica e della Finanze, nei governi De Mita e Andreotti, prima, e da parlamentare, poi, di manovre ne ha viste tante, tra la Prima e la Seconda Repubblica. “All’inizio del 2026”, dice l’ex ministro, “si assisterà a una manovra in corso d’opera, manovra aggiuntiva con aggiustamenti progressivi. Ma questa è, in partenza, una manovra modesta e totalmente inadeguata rispetto alla prospettiva della crescita del paese”. Il fatto che il governo, nel Documento programmatico di Finanza pubblica, abbia previsto una crescita dello 0,8 per cento, strappa a Pomicino “un sorriso, considerato che il paese, negli ultimi trent’anni, è cresciuto in media dello 0,5 per cento all’anno e che gli investimenti pubblici, secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio, hanno subito riduzioni significative, cosa che rappresenta un ostacolo alla crescita economica. Nei tanto vituperati anni Ottanta, gli investimenti pubblici si attestavano tra il 4 e il 5 per cento del Pil, e si sa che trascinano con sé quelli privati”. Quanto all'aumento dell’occupazione, Pomicino guarda il dato con la lente d’ingrandimento: “A quale occupazione si allude? Se si parla di circa 650 mila persone per il settore del pubblico impiego, non sarebbe certo un aumento figlio del ciclo economico, ma di una decisione del governo”. La domanda che, quindi, Pomicino farebbe al suo “amico Giancarlo Giorgetti” (che, dice, “resta un gigante rispetto alla Lilliput politica che lo circonda”), è: “Se si prevede che il rapporto deficit-Pil possa scendere sotto il 3 per cento tra il 2025 e il 2026, non sarebbe il caso di fare più investimenti pubblici, per aiutare la crescita? Perché, altrimenti, si cadrebbe in una situazione in cui, come si dice a Napoli, l’operazione è riuscita, ma l’ammalato è morto”. Di commedie attorno alle manovre Pomicino, come si diceva, ne ha viste tante: “Ma allora c’era l’assalto alla diligenza, perché le manovre erano più corpose; c’era insomma di che discutere. Oggi, con manovre così risicate, ci si accapiglia sempre sulle stesse due o tre voci”. Sempre di tasse si parla. “Il ragionamento mi pare sia questo: aumento la pressione fiscale sotto varie forme, aumento le entrate e riduco il deficit. Anche un bimbo delle elementari lo capisce. Ma la verità è che il governo non ha idea di come l’Italia possa contenere il suo debito pubblico di 3000 miliardi di euro, e Giorgetti viene preso come capro espiatorio. Siamo alle comiche finali”. Tornando agli anni Ottanta, sono considerati anni spendaccioni. “E invece si pensi che, nel 1991, il debito pubblico ammontava a 839 miliardi di lire, e che negli anni Ottanta la crescita era del 2,5 per cento l’anno, mentre in questi due decenni in media è stata meno dell’uno per cento”. Ricorda, l’ex ministro, “che nel 1991, per la prima volta, fu azzerato il disavanzo primario. Il governo Andreotti, con Guido Carli, Rino Formica e il sottoscritto, ricevette da Giuliano Amato un disavanzo primario di 38 mila miliardi di lire, e restituì, allo stesso Giuliano Amato, nel 1992, un bilancio da 3 mila miliardi di avanzo primario”. E, visto che si parla di Pinocchio, Pomicino sospira: “Non sempre la narrazione rende onore al vero”.  
 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.