FOTO ANSA
l'editoriale del direttore
Il buco nero del governo è il conservatorismo trasformato in muro contro innovazione e concorrenza
Il moralismo economico dell'esecutivo vuole impedire qualunque novità. L'approccio scelto è chiaro: o una tassa o un divieto. Stanziato appena un milione sull'intelligenza artificiale, l'Italia non fa passi avanti sul tema degli investimenti in ricerca e sviluppo
La manovra del governo Meloni è stata elogiata per ragioni giuste, ovvero la sua prudenza, la sua attenzione al deficit, la sua volontà di lasciare un’altra impronta europeista sul cammino del governo, ma è stata criticata per ragioni sbagliate. L’opposizione, con toni spesso surreali, ha rimproverato a Meloni in questi giorni di aver alzato troppo l’età pensionabile, di non aver fatto abbastanza contro le banche, di non aver speso abbastanza sulla sanità e in definitiva di essere stata troppo prudente quando invece, a detta dei principali esponenti del campo largo, spiragli per immaginare una legge di Bilancio più espansiva ci sarebbero stati, ma chissà dove. Della penultima manovra meloniana prima delle elezioni, però, manovra che ha fatto litigare e bisticciare per gli extraprofitti, per le tasse sulla casa, per le norme sull’attrattività, c’è un dettaglio sfuggito a molti, che coincide con un tema che rappresenta ormai da molti anni uno dei veri buchi neri del melonismo di governo: la paura dell’innovazione, il terrore per il cambiamento, l’odio per la tecnologia, la diffidenza per il futuro.
Nel caso specifico, nella manovra bollinata due giorni fa dalla Ragioneria generale dello stato il colpo più duro, simbolicamente parlando, è quello rifilato dal governo alle piattaforme tecnologiche, come Airbnb e Booking, per le quali, e solo per loro, è stata aumentata la cedolare secca al 26 per cento per gli immobili affittati tramite intermediari telematici. Si potrebbe ricordare che ogni tassa aumentata su piattaforme che garantiscono la trasparenza e dunque la tracciabilità è una tassa che si accetta di avere in più alla voce mercato nero (per non parlare del fatto che le piattaforme fanno anche da sostituto di imposta e quegli introiti sono gli unici redditi da locazione su cui si ha la certezza che non c’è evasione). Ma il punto in fondo non è questo. Il punto è uno spaventoso filo conduttore che accompagna il melonismo dal primo giorno della sua avventura di governo, nell’indifferenza assoluta delle opposizioni e di buona parte dell’opinione pubblica. E quello che è successo con Airbnb e Booking è già successo in questi anni in molte occasioni diverse. Potremmo citare le strette del governo su Uber, per limitare la concorrenza ai taxi. Potremmo citare il caso delle criptovalute, per le quali è stata eliminata la soglia di esenzione di duemila euro e per le quali le plusvalenze verranno tassate al 33 per cento nel 2026, contro il 26 per cento di oggi. Potremmo citare la norma della legge sull’AI che, con fare intimidatorio, obbliga i professionisti a dichiarare se e in quale misura hanno usato l’intelligenza artificiale. Potremmo citare, come ha fatto su queste pagine mesi fa il nostro Luciano Capone, l’incredibile sequela di provvedimenti anti innovazione portati avanti dal governo sui temi alimentari: il no alla carne coltivata, il no alla farina di Grillo, il no agli Ogm. E poi, naturalmente, l’odio latente contro i vaccini, il disinteresse assoluto nei confronti della farmaceutica, la retorica strisciante contro Amazon, la guerra al delivery, che passa da una volontà di denunciare solo lo sfruttamento senza preoccuparsi di come costruire un quadro moderno per il lavoro digitale.
E ancora, l’assenza assoluta di alcuna visione di politica industriale sull’intelligenza artificiale, la scelta di concentrarsi solo sulla sfera dell’etica tralasciando la sfera dell’attrazione di capitali. Le gare sul 5G sono slittate e solo ora avviate. La tolleranza verso il monopolio dei concessionari balneari, con tutte le possibili innovazioni che potrebbero essere generate dalla fine del monopolio. L’ostilità ideologica verso la gig economy, con un approccio figlio di una scelta precisa: nel dubbio, di fronte a qualche timore, si preferisce bloccare, non regolamentare. Addirittura, è notizia di qualche giorno fa, una stretta su Tripadvisor, nientemeno, ultima frontiera del luddismo di governo. L’approccio scelto dal governo per mostrare il suo moralismo economico è sempre lo stesso: o una tassa o un divieto. E le motivazioni offerte dal governo sono anch’esse alla luce del sole: la tecnologia fa paura, l’innovazione è una minaccia, i cittadini hanno paura, dobbiamo proteggerli, non normando, ma tassando, vietando.
Il ragionamento ha una sua coerenza generale, dimostrata dal fatto che sull’intelligenza artificiale, per dire, il governo ha stanziato appena un miliardo di euro tramite Cdp, e che questo governo, pur essendo stabile, senza opposizione, senza nemici, non è riuscito a far fare all’Italia nessun passo avanti sul tema degli investimenti in ricerca e sviluppo. Ma quello che il governo non riesce ad ammettere è quello che è al fondo il vero equivoco che smuove le coscienze luddiste della destra: il moralismo economico del governo vuole impedire qualunque novità perché confonde il conservatorismo politico con l’avversione al cambiamento, e quindi guarda con sospetto a tutto ciò che viene da fuori, innovazioni comprese. E fino a che si continuerà a scambiare la difesa del made in Italy per la difesa della caciotta l’Italia continuerà a preoccuparsi dei dazi degli altri senza preoccuparsi degli autodazi che ogni giorno sceglie di infliggersi con la stessa delicatezza con cui Tafazzi un tempo si colpiva le parti intime.