L'intervista

Castelli dice che la Lega deve dare una spallata al modello Vannacci

Gianluca De Rosa

"Ormai anche il generale non prende più voti", dice l'ex ministro del Carroccio. La colpa? "Un partito serio non va dove tira il vento"

“Salvini in questo momento mi sembra in trappola. Pensava con Vannacci di fare il colpo grosso, invece gli elettori cominciano a stufarsi anche del generale, e così la Lega non sa più che pesci pigliare”, dice Roberto Castelli, ex ministro della Giustizia (Berlusconi II e III) e volto (anche televisivo) della Lega che fu, oggi a capo del piccolo, ma combattivo partito popolare del nord. L’incastro in cui si trova il segretario della Lega, lo sintetizza così: “Da un lato c’è Vannacci e il suo progetto di Lega nazionale che non decolla, dall’altro ci sono i leghisti di lunga data, Zaia, Fontana e Romeo, che vorrebbero tornare a fare il partito del nord”. La novità appunto è che ormai anche Vannacci, dal punto di vista elettorale, sembra un guappo di cartone. Non può non capirlo anche Salvini. “Guardi – risponde Castelli – mi sembra che in Italia oggi funzioni come ai tempi della fase pre imperiale dell’antica Roma, quando il popolo sollevava i propri tribuni e poi, dopo un attimo, li scagliava per terra. Lo abbiamo visto con Grillo, con Renzi, con Salvini, e adesso mi pare stia accadendo anche con Vannacci. C’è un elettorato che ha l’innamoramento facile per certi personaggi, li porta alle stelle, salvo poi relegarli alle stalle dopo poco”.

 

Ma il generale, secondo l’ex ministro, è solo l’ultimo tentativo di Salvini di dare carburante a una macchina che era già ferma: la Lega come progetto nazionale. “Salvini – dice – ci stava già mettendo del suo per far navigare la Lega in acque complicate. Trasformandola in un partito centralista si è trovato schiacciato all’estrema destra del sistema politico italiano, perché la Meloni ha preso un indirizzo centrista e Forza Italia, spinto dalla Marina Berlusconi, ha tendenze quasi da centrosinistra. Ma quello spazio, quello dell’estrema destra, non è molto. Così inevitabilmente vengono fuori i malumori dei leghisti della prima ora, incarnati da Zaia, Fontana e Romeo. Prima stavano zitti, ma adesso cominciano a farsi sentire per rivendicare la Lega come sindacato del nord”.

 

E quelli infatti il prossimo 16 novembre si sono dati appuntamento a Varese per battezzare l’associazione “il Bobo”, in ricordo di Bobo Maroni, uno che nell’ultimo periodo della sua vita criticava con forza il progetto della Lega nazionale (e lepenista) e che si dichiarava anche apertamente antifascista. Non il massimo per un partito che ha arruolato un generale che ogni quattro frasi invoca la Decima Mas. Salvini dunque che farà? “E’ una bella domanda perché anche l’idea federalista oggi è molto screditata nella coscienza della gente, anche qui al nord”, riconosce Castelli che ci risponde “mentre sto guardando il pratone di Pontida”. Che nostalgia. “Ormai – dice – qui c’è un avvenimento che diventa sempre più piccolo perché tra le nostre valli c’è una forte delusione: i risultati non sono stati raggiunti. Senza più autonomia va a gambe all’aria tutta l’Italia. La globalizzazione ci ha massacrato, l’Europa ha fatto peggio. Senza un po’ più di autonomia per fare lavorare al meglio le risorse che abbiamo finiamo male”. Di certo l’ex ministro è convinto che in fondo quello che sta accadendo nella Lega sia il frutto del modo di intendere una certa politica: fiutare l’aria, e posizionarsi in base a quello. “Io – dice – rifiuto l’idea di portare avanti politiche solo in funzione della raccolta elettorale, cambiando battaglia ogni volta in base a come gira il vento. Un partito virtuoso non fa questo: ha delle idee in testa, combatte per queste, sennò che partito è? Noi siamo microscopici, piccolissimi, ma seguiamo questo principio. Non è che siccome Meloni è sulla cresta dell’onda diventiamo centralisti, restiamo convintamente federalisti, anche sapendo che in questo momento questa idea è in ribasso. Secondo me però un partito deve funzionare così”.

 

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