
Il racconto
Meloni d'Ucraina. Si affida a Trump "imprescindibile". Schlein chiede il soccorso di Franceschini. L'attesa per le repliche
Parla a Senato e Camera e presenta una risoluzione a traino dell'America, Schlein chiede all'ex ministro della Cultura di sfidare Meloni e di intervenire per il Pd. La distanza con il M5s
Arrivano gli alleati. Giorgia Meloni si affida a Trump ed Elly Schlein a Franceschini. Oggi, al Senato, per il Pd, parla Franceschini, il Delano Roosevelt di Ferrara. La premier interviene in Aula in vista del Consiglio europeo sull’Ucraina, Schlein la aspetta in replica, alla Camera, a las cinco de la tarde. L’opposizione presenta cinque risoluzioni (testardamente divisa) la maggioranza una e nel testo si promette un “sostegno multidimensionale al paese aggredito” ma resta “l’indisponibilità a mandare soldati in Ucraina”. Si rimarca il legame di Meloni con Trump, ovunque, da Kyiv a Gaza, perché, scrive il governo, “non si può prescindere dagli Usa”. O finisce ancora in “delirio” o con le carezze Meloni-Schlein.
O Yalta o Normandia. Oggi racconteremo tutti il duello Meloni-Schlein, ma forse c’è ancora spazio per il mondo di ieri. Sono le 12 quando alla Camera si vede arrivare Dario Franceschini. Cammina al solito, a passi lenti, lo aspetta la moglie, la deputata Michela Di Biase, lo attende il partito. Al secondo piano, il Pd si riunisce per decidere la linea da tenere in Aula sull’Ucraina dopo le parole della segretaria ad Amsterdam, “l’azzardo”, la “sbandata”, l’accostamento fra l’attentato a Ranucci e la destra di governo. Schlein è ancora sconvolta. E’ sotto attacco dai quotidiani di destra. Dice ai parlamentari del Pd: “Continuano a farmi passare per quello che non sono. Mi hanno definito eversiva. Ma siamo opposizione. Ho risposto a Meloni. Dovevo farlo”. Si è pentita. C’è una telefonata che nessuno dei due confermerà. Schlein chiama Franceschini, gli chiede aiuto. Ha bisogno della sua tutela, ha bisogno che, al Senato, non appena Meloni interverrà su Ucraina, Gaza, sul futuro dell’Europa, sui migranti, Franceschini si alzi e si rivolga alla premier. Francesco Boccia, il Bravo della segretaria, si aggiunge, chiede a Franceschini: “Io ti lascio il mio posto e dopo di te, per il partito, parla Alfieri”. E’ il riformista di mezzo insieme a Bonaccini, gli altri, i riformisti alla Bernanos, stanno altrove. Hanno scelto di camminare per la loro strada e li chiamano, per disprezzarli, “riformisti da salotto” (ma da Giletti va Bonaccini). Sono Malpezzi, Picierno, Sensi, Delrio e propongono di chiudere i cieli europei, fare scudo protettivo in difesa dell’Ucraina. Sono parlamentari che hanno avuto esperienza di governo e non schiacciano l’occhio al M5s che quando vota sulle interferenze russe si astiene. Non si trovano, ma accettano, come minoranza di partito, la politica estera del Pd come brodo, annacquata per farla masticare a Conte. Non basta. Salta, ma non è più notizia, l’ipotesi di risoluzione unitaria Pd, M5s, Avs. Il partito di Conte prepara un suo testo di “contrarietà totale al piano di riarmo europeo”, chiede la “sostituzione del piano di riarmo europeo con un piano di rilancio di investimenti sulla spesa sanitaria”. Passa Piero Fassino, ex segretario dei Ds, e confida ad Augusto Minzolini che “servirebbe una posizione unitaria, di tutto il paese, ma qui a sinistra non riusciamo a scrivere neppure una risoluzione unitaria. E’ impossibile. Si vede che Schlein non ha una formazione di partito”. Peppe Provenzano, il Gromyko del Pd di Schlein, che non accetta di passare per uno dei tanti tiepidi, dice al Foglio “che noi del Pd sappiamo quello che siamo. Siamo per l’Ucraina. Sulle altre mozioni di sinistra, ci asteniamo”. E’ da due anni che Pd usa questo metodo. Dicono che lo abbia inventato la capogruppo Chiara Braga e infatti ogni volta che si vota, con tormento, si dice “usiamo il lodo Braga”, asteniamoci sulle altre mozioni. La risoluzione della maggioranza, di Meloni, neppure viene presa in esame dall’opposizione. A Palazzo Chigi hanno altri problemi. Si occupano di Salvini che continua a minacciare banche (ma Giorgetti fa sapere che “apprezza lo spirito di collaborazione del sistema bancario”). Si occupano di Salvini che fa lo spaccone con un ad come Carlo Messina, di Intesa Sanpaolo, uno che nel suo portafoglio ha il debito dell’Italia. Che farà oggi Meloni? Usano i suoi la parola “dosare”, “Meloni doserà”. Significa che Meloni ascolterà prima le parole del Pd, al Senato, e poi replicherà, “si adeguerà”, e non è prevedibile il tono, la forza. Non si esclude “il momento Ventotene”, l’attacco di marzo scorso contro la sinistra. Dovrà rispondere a Franceschini, a questo Franceschini. Alla riunione dei gruppi Pd ha anticipato cosa dirà. Dirà a Meloni che ha perso l’occasione di elevarsi a grande leader europea, che si è assoggettata a Trump mentre poteva ambire a fare l’anti Trump, la guida dell’Europa. La farà sentire grande per rimpicciolirla. Schlein dicono che lo ascoltava e che sorridesse. Enzo Amendola, l’ex ministro del Pd, un altro che ha parlato in riunione (“sfidiamo Meloni sulla manovra, diciamole che i soldi che ha preso sono della Ue”) ha trovato la formula: “Meloni? La sua forza è che nessuno riesce ancora a mettere in discussione la sua debolezza”.

La mossa dell'Elevato