Il racconto

Zaia e la "grande angheria": “Mi vogliono fare scomparire”. Obiettivo del Doge: superare FdI di Meloni

Carmelo Caruso

L'ovazione a Padova, la distanza da Roma e dalla premier, l'idea di restare in Veneto. "Sto subendo un sopruso". Da Zaia Doge a Zaia mito. Ecco come Salvini Meloni e Tajani hanno aperto una crepa a destra

Roma. Salvini non riesce più a guardarlo in faccia, ma Meloni lo sottovaluta. Sottovaluta la Lega che sta nascendo a est della Lega, sottovaluta lo Zaia “cave canem”. A Padova, ad apertura della campagna elettorale di Alberto Stefani, in tre mila hanno urlato “Zaia, Zaia”. A Venezia, da oggi, imprenditori fanno la fila per omaggiarlo, salutarlo e ringraziarlo “per questi anni irripetibili”. Meloni che se ne intende, la prima underdog, sta lasciando passare l’idea che c’è un campione che la destra vuole cacciare, che in Veneto c’è un ex governatore che da risorsa deve essere ostacolato, fermato ed emarginato. Un sopruso. Zaia si candida capolista in tutte le province, non mette il suo nome sotto il simbolo della Lega (come ha accettato Salvini, accordato Meloni, voluto Tajani) ma adesso batte le province da outsider, con gli abiti di“chi sta subendo un sopruso”. Sta dicendo a una regione che lo ha acclamato Doge, che ha portato fuori dalla pandemia, “che mi vogliono far scomparire”, vogliono “che non faccia più politica, stanno facendo di tutto per mettermi fuori”. Sta convincendo una regione che a un veneto, a uno di loro, è stata inflitta la grande angheria e che farla a lui equivale a farla agli nipoti di Vittorio Veneto. Gli dicono da Roma che, “caro Luca”, Meloni ha già fatto una concessione, ha accettato di dare il Veneto alla Lega, ma Zaia risponde che il Veneto non è stato regalato.

 

Ha intenzione di fare tutta la campagna elettorale spiegando che “FdI non ci ha regalato nulla, il Veneto ci spetta”. Significa che in Veneto i voti che erano di Zaia, condivisi con la coalizione, torneranno a essere i voti personali di Zaia. Come prima mossa potrebbe restare in Veneto e fare il presidente del Consiglio regionale. Dopo il terzo mandato impedito, il nome tolto dal simbolo, possono dire ancora: “Non puoi fare neppure il presidente?”. In Veneto è chiamata fatwa e Zaia parla in latino “cave canem”, attenti al cane. Lo sta sottovalutando FdI convinta di avere sempre, sottomano, un Salvini da poter controllare. E’ vero che la Lega è un partito leninista, ma è altrettanto vero che la Lega ha cacciato a colpi di scope il suo fondatore per i rimborsi spese della famiglia, per due spiccioli, il denaro di un toast. Per le prossime settimane il racconto dei giornali sarà “Zaia e la fatwa”, “Zaia e il sopruso”, “Zaia, mi vogliono fare scomparire”. Nel disegno Meloni, consegnare il Veneto a Salvini serviva “a stabilizzare” la Lega come dicono gli americani di Gaza. Al momento non solo il Veneto non si è stabilizzato, ma c’è un leader nazioanal-regionale che gode di comuni, televisione, stampa che lo amano, che sposano la sua lotta da underdog. Nella Lega, Salvini era già sotto attacco per aver concesso a Vannacci quello che non è stato permesso a nessuno. La Lega, martedì, si riunirà a Bellerio, a Milano, come non accadeva da anni e sapete perché? Lo ha chiesto un ragazzo di coraggio. Si chiama Tommaso Vergiati, coordinatore della Lega in Emilia-Romagna, un giovane che di fronte a Zaia, Fedriga, Attilio Fontana, Calderoli, Molinari, Romeo si è permesso di chiedere al Capitano: “Siamo nati come Lega nord ma allora perché facciamo i federali sempre a Roma?”. La Lega è spaesata e tornerà a chiedere più durezza sui migranti, basta leggere quello che dice Igor Iezzi al Foglio: “Siamo full, più restrizioni”. Imbrigliandolo, impedendo di usare perfino il cognome, Meloni-Salvini e Tajani stanno facendo brillare Zaia. Ogni giorno impagina i giornali, ogni giorno ogni sua parola viene replicata e si allunga. Da una settimana la frase “se sono un problema, lo diventerò” è entrata nella testa degli italiani. Meloni lottando, emarginata, ha trascinato il suo partito dal tre per cento al trenta. A chi serve Zaia cave canem? Avevano un governatore invidiato ma ora stanno assemblando il mito Zaia, il Bobby Sand di Conegliano.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio