L'intervista

Ciciliano: “Possiamo portare un ospedale a Gaza in tre giorni”

Gianluca De Rosa

Il capo della Protezione civile spiega la strategia italiana per aiutare la Striscia dopo la pace: "Un ospedale, protesi, forni e moduli abitativi. Per aiutare la Striscia possiamo essere rapidissimi”

"Per Gaza il sistema Italia è già pronto ad agire”, dice al Foglio il capo della Protezione civile Fabio Ciciliano. Mercoledì a Palazzo Chigi si è riunita per la prima volta la task force Italy for Gaza. Al tavolo presieduto dal vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, con Ciciliano, c’era mezzo governo e anche l’inviato speciale della Farnesina per Gaza, l’ambasciatore Bruno Archi. Il tavolo discuterà di tutto quello che l’Italia potrà fare per il futuro della Striscia dopo la pace. Dalla prima emergenza alla ricostruzione. Le prime attività sono proprio quelle di cui si occupa la Protezione civile: dalla fornitura di un ospedale da campo, a quella di moduli abitativi e scolastici, passando per l’invio di potabilizzatori di acqua e forni campali.  “Tutte queste cose – spiega Ciciliano – potranno essere fatte a strettissimo giro. Sin dal maggio del 2024, è stato dichiarato dal Consiglio dei ministri lo stato di emergenza per Gaza. Questo ci consente di agire subito attraverso lo strumento dell’ordinanza in deroga a tutte le normative ad eccezione di quella penale. Possiamo essere rapidissimi”.

 

Tra le prime cose che la Protezione può fare c’è l’installazione di un grande ospedale da campo. “Lo abbiamo già a disposizione e possiamo prepararlo in 24 ore, più tre giorni per il trasporto via nave e altri tre per l’allestimento in loco. In pratica, in poco meno di dieci giorni possiamo già cominciare a curare i primi pazienti della Striscia”, spiega il capo della Protezione civile. Prima di andare avanti però ci tiene a fare una precisazione: “Ovviamente dovranno esserci le condizioni di sicurezza non solo per il personale, ma anche per tutto il materiale che porteremo lì. Altrimenti faremmo uno sforzo inutile”. E per quel che riguarda l’ospedale non c’è solo la questione della sicurezza. Serve anche trovare il personale sanitario in grado di farlo funzionare per un tempo accettabile. “Senza alcuno sforzo – dice Ciciliano – possiamo garantire l’operatività dell’ospedale per almeno un mese, ma per rimanere in piedi per un periodo congruo, che io ritengo sia di almeno due anni, sarà necessario reperire medici, infermieri e personale sanitario sia attraverso le regioni, sia estendendo questo progetto a livello europeo”. Intanto però, racconta il capo della Protezione civile, tra gli ospedali italiani è già partita la corsa alla solidarietà: “Sia per quanto riguarda l’accoglienza di nuovi pazienti gazawi in Italia, sia per attivare progetti lì. In particolare per quanto riguarda le cure psichiatriche. Le sindromi psicotiche che seguono un conflitto sono insieme ai mutilati il principale problema di ogni scenario postbellico”.

 

Proprio per quanto riguarda i mutilati la Protezione civile lavora non solo all’invio di protesi, ma anche alla formazione di personale palestinese che sarà in grado di operare direttamente lì. “L’Inail – racconta Ciciliano – ha dato la disponibilità dei suoi due centri per le protesi, uno a Budrio e uno a Lamezia Terme, sia per fornire le protesi, sia per mandare personale a Gaza che possa insegnare ai palestinesi a realizzarle. Sia in legno, sia attraverso l’utilizzo di stampanti 3D”. E le protesi più tecnologiche con i microchip? “Su quello purtroppo c’è un doppio problema: da un lato sono molto costose, dall’altro vengono considerate tecnologie dual use a causa della presenza dei microchip che possono essere utilizzati per realizzare armi”.


Accanto alla sanità, le altre grandi emergenze nella Striscia riguardano acqua potabile e cibo. “Per quanto riguarda l’acqua abbiamo a disposizione nei nostri magazzini sette enormi potabilizzatori. Possono essere aviotrasportati in un giorno e consentono ciascuno di fornire tra i tre e i cinque mila  litri all’ora. Significa avere circa 400 mila litri d’acqua al giorno, una riserva idrica praticamente infinita”. Per quanto riguarda il cibo invece la Protezione civile lavora alla fornitura di tre forni campali per la panificazione: “Quando abbiamo pensato a cos’altro potevamo fare abbiamo cercato se esisteva già una sorta di panificio da campo. Non esisteva. Allora lo abbiamo fatto realizzare e adesso ne abbiamo due unità aviotrasportabili e una terza in costruzione. Sono panifici dentro un container con impastatrice, forno, riscaldatore per accelerare la lievitazione, gruppo elettrogeno e tutto quello che serve per farlo funzionare. Ognuno può sfornare fino a una tonnellata di pane ogni giorno”.


C’è infine l’aspetto più complicato ma tutt’altro che secondario. Quello della fornitura di moduli temporanei sia per gli alloggi, sia per scuole e università. Anche su questo in qualche mese la Protezione civile italiana potrebbe dare a Gaza un aiuto consistente. “In questo momento – dice Ciciliano – abbiamo in piedi degli accordi quadro con diverse aziende che servono per eventuali emergenze italiane, ma che contiamo di poter attivare anche per Gaza. Prevedono la possibilità di realizzare fino a 14 mila insediamenti abitativi, ciascuno abitabile fino a un massimo di sei persone, e moduli scolastici. L’accordo prevede dal momento della sua attivazione circa cinque/sei mesi per avere i moduli. E’ probabile che vista la complicazione del trasporto nella Striscia i tempi potrebbero leggermente allungarsi. Ma anche su questo possiamo fare le cose molto molto rapidamente”.

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