
“Mai il premierato”
L'Europa e l'aguzzino Trump, il nodo delle riforme e il coraggio di essere impopolari. Parla Monti
Superare l’unanimità in Europa e liberarsi della sindrome di Stoccolma verso Trump. Bacchettate del prof. Monti ai leader europei, con moniti per la politica italiana e uno sguardo alla crisi francese
Abbiamo incontrato Mario Monti, ex presidente del Consiglio, sabato scorso alla festa del Foglio. Con lui abbiamo discusso del futuro dell’Europa e del rapporto asimmetrico con l’America di Trump, del pericolo dei populismi e delle lezioni che l’Italia può trarre dalla crisi francese. Questo è il dialogo con Michele Masneri.
Michele Masneri: Buonasera professor Monti, dopo questi racconti di pesti bubboniche alla Festa dell’ottimismo e il quadro che ha dato il ministro Crosetto forse è ancora peggiore, vogliamo cominciare dalla situazione Europa e Ucraina, per la quale il ministro Crosetto ha dato questa definizione di “27 paesi europei come 27 nani sullo scenario”. Che ne pensa lei? (segue nell’inserto VIII)
Mario Monti: Vorrei fare una premessa. Io sono vecchio, ma molto molto di più di quanto possa apparire. Perché ho mandato la guardia di finanza a Cortina non nel 2011, ma nel 536 d.C. E siccome questo non era molto servito nel 2011 abbiamo fatto un rabbocco.
Masneri: Stavano già facendo i lavori per le Olimpiadi
Monti: Circa. Il ministro Crosetto, ho ascoltato la sua perorazione per il superamento della regola dell’unanimità a livello di Unione europea. Ha detto delle cose molto importanti, molto concrete il ministro Crosetto. Io vorrei che il ministro Crosetto e il ministro Tajani, cioè due pezzi fondamentali del governo italiano, alla Difesa e agli Esteri, ingaggiassero un dibattito con la presidente del Consiglio ovviamente ancora più fondamentale sulle regole di decisione in Europa. Il ministro Tajani che appartiene idealmente, forse anche formalmente, al Partito popolare europeo, è d’accordo con la proposta, fatta dal governo tedesco già tempo fa, di avviare il superamento del diritto di veto nelle decisioni di politica estera a livello comunitario. Il ministro Crosetto, non so se abbia mai dichiarato questo, ma oggi ci ha spiegato che con 27 gruppi di ricercatori ecc. ecc. non si va da nessuna parte. Allora a me è capitato in Senato di chiedere alla presidente del Consiglio la sua posizione sulla materia della regola dell’unanimità nella politica estera comune, mi ha detto in due occasioni che lei è a favore del mantenimento dell’unanimità, e quindi del diritto di veto, non solo oggi, ma anche quando gli stati membri saranno ancora più numerosi dopo il futuro allargamento. Quindi, anche se passiamo dalle manifestazioni verbali ai fatti, noi abbiamo da una parte la presidenza Trump che dà una forzatura allo stato di diritto, e dall’altra parte abbiamo un’Europa che assomiglia all’Italia dei comuni, ma non della magnificenza medicea che qui vediamo, ma quell’Italia dei comuni, dove l’uno contro l’altro armato, si risolvevano di tanto in tanto a chiamare il podestà forestiere. Quindi il destino dell’Europa è legato al fatto che il ministro degli Esteri, il ministro della Difesa argomentino con la presidente del Consiglio e riescano a farle cambiare opinione, sennò ogni parola sull’Europa è carta straccia.
Masneri: Ecco, sull’Europa recentemente, in un suo articolo su Politico, lei ha detto che i leader europei rispetto a Trump hanno una specie di sindrome di Stoccolma - che adesso sembrerebbe che abbia qualcosa a che fare col Nobel - ma in realtà è un’altra cosa. Quindi che abbiano quasi piacere, lei dice quasi testualmente “a essere maltrattati” da questa personalità maligna americana. Anche Giorgia Meloni ha la sindrome di Stoccolma?
Monti: No, non credo. Questo è un suo titolo di merito. Credo che in lei il problema non si ponga, perché seguire gli orientamenti del presidente Trump, credo che per lei sia politicamente psicologicamente meno costoso e meno scomodo che per tanti leader europei che non sono inscritti nella corrente ideologica e politica di Trump, e che vorrebbero potersi battere per un’Europa più efficace. La manifestazione più attuale di rischio è che nella visione del presidente Trump, che sta facendo anche cose buone e che speriamo diano frutti (vedi in medio oriente), l’accordo commerciale di quest’estate è un accordo asimmetrico e aperto, nel senso che lui lo vede solo come una chip di ingresso in un gioco molto più complesso nel quale, se con il trascorrere del tempo ci sono alcune cose che gli europei fanno che non piacciono all’Amministrazione americana o alle imprese americane, lui chiede che vengano cambiate o revocate o abrogate e sennò “state attenti”. E quindi è un modo per perpetuare nel tempo l’intimidazione, ma lasciatemelo dire, la colpa ultima è di noi europei che abbiamo per tanti anni discusso su come essere sicuri che nessun paese vivesse al di sopra delle proprie risorse – patto di stabilità, eccetera, cosa sacrosanta – senza accorgerci che l’intera Europa viveva al di sopra delle proprie risorse perché non calcolava il costo della propria Difesa, che ha appaltato a un’altra entità a basso prezzo, e questa entità si è stufata di difenderci a basso prezzo. E quindi può, volendo, estorcere quasi qualsiasi cosa da un’Europa che si è voluta ahimè cacciare in questa situazione.
Masneri: Ecco ma un anno fa lei disse che, in caso estremo, l’Italia avrebbe potuto mandare delle forze armate sul teatro di guerra ucraino. Lo ridirebbe oggi, dopo un anno?
Monti: In linea di principio ovviamente sì, se l’Europa avesse una politica estera comune e una politica di difesa comune, l’uso delle forze armate europee, che in quel caso esisterebbero, deciso da una politica estera comune, che esisterebbe, che potrebbe esistere se non ci fosse il diritto di veto, beh sarebbe un uso delle forze armate deciso dall’Europa come entità sovrana, che si tratti di fare interposizione nel medio oriente, che si tratti di fare un’azione voluta dall’Europa in Ucraina, che si tratti di un’azione di difesa contro un assalitore esterno dell’Europa. Non può esistere uno stato come vorremmo che l’Europa un giorno fosse senza una politica estera comune e una politica di difesa comune.
Masneri: Ecco un altro campo in cui c’è in atto un forte scontro con l’America di Trump è quello dei monopoli. Lei diventò super Mario perché vent’anni fa aveva preso quella decisione contro Microsoft che fece la storia. Appunto qualche giorno fa la Commissione europea ha inflitto una multa ancora più grande a Google, di 3 miliardi, e Trump ha detto che l’Europa è una persecutrice degli Stati Uniti a livello commerciale.
Monti: Che è assolutamente non vero. L’Europa applica nella materia dell’antitrust e della concorrenza - così come le autorità che tutt’ora esistono negli Stati Uniti in materia di antitrust, lo fanno nel loro mercato - le regole che non hanno inventato gli europei, ma gli americani alla fine del 19esimo secolo con lo Sherman Act e che poi hanno voluto, essendo potenza occupante in Germania dopo la guerra, che fossero trasposte in Germania e in Europa. L’Europa fa diligentemente quello che gli Stati Uniti ci hanno insegnato a fare. E visto che lei cita la decisione presa nel 2004 dalla Commissione europea su Microsoft, io ricordo bene che molte società nascenti americane nel mondo dell’internet allora vennero a Bruxelles per incitarci a guardare la posizione, a loro giudizio e alla fine anche a nostro giudizio, di abuso di posizione dominante.
Masneri: Tra cui proprio Google, no?
Monti: Il più grande incoraggiatore dell’azione che la Commissione europea faceva all’epoca su Microsoft era Eric Schmidt, il capo di una startup che aveva tre o quattro anni e che si chiamava Google. Adessi si trova nella posizione di essere criticato lui per abuso di posizione dominante. Così gira il mondo, ma guai se l’Europa, per paura di Trump, si mettesse a chiudere uno o due occhi sulla vigilanza alle imprese, di qualsiasi nazionalità siano, che abusano di posizione dominante. Si bloccherebbe l’innovazione tecnologica in Europa e negli Stati Uniti.
Masneri: Passiamo dall’Europa alla Francia, perché dalla Francia arrivano scenari interessanti. Governi che cadono uno dietro l’altro, ieri è stato nominato per la seconda volta un primo ministro che solo qualche giorno fa aveva dato le dimissioni, debito pubblico alle stelle, pensioni pericolanti, ricorda molto certi anni della nostra Repubblica.
Monti: Che vagamente mi ricordo anche io
Masneri: Lei se li ricorda, aveva qualche ruolo forse in quell’epoca, l’hanno chiamata per fare il primo ministro francese? Ci andrebbe?
Monti: No perché non c’è ancora un vero mercato unico dei protagonisti della politica, quindi si preferisce che sia di nazionalità francese, ma molti ci hanno pensato. No, le lezioni da trarre da questa drammatica, e tuttavia ridicola, esperienza francese sono due. La prima è che bene ha fatto la premier Meloni, con grande atto di trasformismo, ad abbandonare le sue posizioni ostili alla disciplina di bilancio – con le quali aveva crocifisso in passato più di un governo – e ad essere oggi la fautrice della disciplina di bilancio accanto al ministro Giorgetti. Ma molto male farebbero il Parlamento e il popolo italiano se recepissero la proposta della presidente Meloni, su cui sembra essere meno calda ormai, del premierato, perché con il premierato si avrebbe in Italia una specie di Repubblica presidenziale, nel senso che il capo del potere esecutivo, chiamato premier in Italia, sarebbe eletto direttamente dal popolo, cosa che è in apparenza la quintessenza della democrazia, ma che inchioda il sistema a non avere quel minimo di flessibilità che in situazioni di emergenza si è dimostrato essenziale. Grazie alla Costituzione della Repubblica italiana, quando il meccanismo politico si inceppa e non è più capace di produrre decisioni che siano nell’interesse generale, esiste il presidente della Repubblica, che non ha poteri, ma che, non essendo stato eletto direttamente dal popolo, ha la capacità di essere considerato al di sopra delle parti e può proporre al Parlamento e al paese soluzioni – come di tanto in tanto sono state praticate in Italia con qualche risultato – che possano (vorrei dire “rassembler”, perché il verbo è proprio francese) riunire, dietro a un progetto di superamento di una emergenza, tutte, o quasi, le forze politiche. Questo in Francia è letteralmente impossibile. E stiamo vedendo – e pensiamoci bene prima di, con tardiva e senescente imitazione, volere farci noi una parvenza di repubblica presidenziale – le due storiche, autorevolissime repubbliche presidenziali più note al mondo, che io ho studiato a scuola con grande ammirazione, che sono in crisi: in una, una spallata del presidente legittimamente eletto sta mandando in crisi lo stato di diritto, nell’altra l’incapacità di azione di un presidente legittimamente eletto in Francia non riesce a trovare rimedio, perché dopo quattro o cinque tentativi è impossibile formare una coalizione che possa consentire a tutti di fare un po’ di sacrificio per salvare il paese. E dietro tutto questo, parliamo di formule politiche, istituzionali elettorali, io credo che la cosa più importante è quella di cui non parliamo mai: chi è in posizione di potere, perché è stato eletto o legittimamente nominato, è disposto davvero a fare l’interesse generale anche quando questo è in contrasto col proprio interesse personale o di partito? Nella generalità dei casi no. Tutti giuriamo di essere fedeli alla Costituzione e di operare nell’interesse esclusivo della Repubblica, ma tutti come cittadini siamo pronti a chiudere un occhio perché sappiamo che la politica non fa così. E però, se non si cambia questo, è inutile che facciamo salotti sulle riforme istituzionali o costituzionali, vuol dire che il sistema ci va bene così e allora è meglio se non parliamo più.
Masneri: Le faccio un’ultima domanda. Il parlamento ha approvato una legge per istituire una giornata di festività per san Francesco il 4 ottobre, perché ricorrono gli 800 anni del santo. So che lei era un devoto di san Francesco e anche nel suo governo c’erano ben quattro ministri devoti di san Francesco all’epoca. Cosa ne pensa?
Monti: Questo io non lo sapevo, li ho nominati indipendentemente da questo, che sicuramente è un ulteriore connotato che nobilita ex post il governo “che ha venduto l’Italia alle potenze straniere”.
Masneri: Ecco. Però oggi il Centro studi di Confindustria ha quantificato a 4 miliardi di euro il costo che questa giornata festiva avrebbe, con un effetto sul pil del -0,008, e così diventerebbero dodici i festivi. Lei da francescano convinto cosa dice di questa giornata?
Monti: Di vedere la cosa in una prospettiva un po’ più storica e ampia. Abbiamo avuto tempi difficili, non come quelli che io e pochi altri dei presidenti abbiamo vissuto nel 536 d.C., ma difficili. Ricordo il primo oil shock, quando il presidente del Consiglio Andreotti seguì la strada di eliminare alcune festività, ma con grande pudore, che io che non mi occupavo di politica condivisi pienamente, salvò la festa dell’Immacolata concezione.
Masneri: Quindi bene san Francesco. Grazie!
