la festa dell'ottimismo

Guerre, Russia, Trump e politiche urlate. Parla Lorenzo Fontana 

“No, la politica non può vivere di soli slogan. Spero si torni presto ad avere meno decibel e più ragionamenti”

Abbiamo incontrato Lorenzo Fontana, presidente della Camera, sabato scorso alla festa del Foglio. Con lui abbiamo parlato di politica estera, di Europa, di Putin, di futuro della destra, di futuro della Lega e di rischi di vannaccizzazione. Questo è il dialogo con Maurizio Crippa.

    


   

Maurizio Crippa: Lei è un grande appassionato di geopolitica, la politica che va fuori dall’Italia. Io mi ricordo la cerimonia del Ventaglio che ha fatto qualche mese fa in cui ha detto tante cose interessanti sia sul funzionamento, che non sempre va bene, del nostro Parlamento, sia sulla difesa, sui rischi dell’Europa, del nostro sistema di vita, ha parlato di Putin dicendo “non sono convinto che abbia intenzione di fare la pace a breve”. Noi viviamo in un momento molto conflittuale. Lei come vede questo impegno di un paese come il nostro che fa parte dell’Europa in mezzo al Mediterraneo. Deve  avere più coraggio? Ma come? 

Lorenzo Fontana: Purtroppo gli ultimi anni ci hanno ricondotto a una realtà che molti speravano di non veder più: le guerre che ci sono state, sia quello russo ucraina sia quella (speriamo terminata) nel medio oriente sicuramente ci hanno fatto ripiombare nella storia, come si dice in questi casi. Quindi dal mio punto di vista è necessario che anche l’Italia faccia un cambiamento e che capisca che è importante cercare di avere un esercito che sia pronto ed efficace, sperando che non debba mai essere usato. Questo significa che bisogna comunque fare attenzione perché ci sono diversi paesi aggressivi che possono portarci a una escalation. Ci sono anche varie situazioni di cui si tiene conto solo relativamente, come la cosiddetta guerra ibrida. Quando abbiamo attacchi hacker, e ce ne sono, vi assicuro, tantissimi, noi dobbiamo essere pronti e preparati perché anche quella è difesa, e poi non dobbiamo mai dimenticarci del ruolo dell’Italia nel mondo. Noi siamo proiettati nel Mediterraneo, quindi il Mediterraneo è casa nostra. Noi tante volte questo ce lo dimentichiamo, ma la stabilità del Mediterraneo e dei traffici commerciali è fondamentale per un paese come l’Italia. Quindi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo devono essere nostri interlocutori e noi dobbiamo avere un ottimo rapporto con loro per garantire una stabilità che ci permetta di vivere tranquillamente, avendo anche un progresso economico.

 

MC: Possiamo dire che i fatti degli ultimi anni e queste minacce hanno tolto un po’ appeal a slogan di sovranismo, di autonomia di un’Italia che deve stare staccata dagli altri. Abbiamo necessariamente la coscienza che siamo europei, siamo un perno di un mondo grande, no?

LF: Ma assolutamente è fondamentale la collaborazione con gli altri paesi europei, ma dirò di più: noi non possiamo e non dobbiamo dimenticarci adesso, e non potevamo dimenticarcelo neppure in passato, che facciamo parte di un’alleanza, l’Alleanza Atlantica, che è fondamentale. Questa alleanza ci ha garantito la pace negli ultimi anni. Spesso, chiaramente, ha avuto un ruolo importante anche l’Unione Europea, ma è evidente che l’alleanza che c’è stata degli ultimi anni è quella che ci ha garantito sicuramente una stabilità non indifferente e quindi abbiamo dei partner importanti con cui dobbiamo continuare la collaborazione e con i quali dobbiamo ovviamente aiutarci. Perché non dobbiamo dimenticare che negli ultimi anni, e lo si è visto in maniera palese, indipendentemente dalle presidenze che si succedono negli Stati Uniti, è evidente che gli Americani hanno dimostrato di avere a cuore questioni che vanno in altri lidi, cioè più che all’Europa sono interessanti ad altro. Di questo dobbiamo tenerne conto quando parliamo di innalzare la spesa militare, cosa che ovviamente non è piacevole. Però nel momento in cui ci dovesse mancare il sostegno americano, in parte perché comunque rimarrà, è evidente che nel Mediterraneo noi dovremmo metterci qualcosina in più e questo è per il nostro interesse.

 

MC: Penso a un argomento che è interessante, diciamo un nome per tutti, l’omicidio di Charlie Kirk. C’è un clima d’odio, lo vediamo non solo negli Stati Uniti, ma anche da noi, purtroppo, in certe manifestazioni. Cioè un dibattito che è partito culturale però poi è diventato qualcosa che anche noi sul Foglio abbiamo definito una questione di linguaggio della violenza simbolica. Cioè, basta che io dica una parola che non appartiene al tuo schieramento, al tuo mondo culturale e questa cosa non è più un’opinione, diventa una violenza fatta a me. Lei è un uomo  che ha una posizione culturale nota, ben precisa e ha una sua cultura forte a cui non rinuncia. In tanti hanno dovuto dire, anche a sinistra, ‘abbiamo trovato una persona ragionevole’. Però per tenere il punto sui temi che interessano a lei, come si fa a evitare che diventino discorso d’odio o essere interpretati come violenza? E’ un tema grave. Cosa bisogna fare?

LF: Guardi, io penso che comunque nel momento in cui c’è il dialogo poi si riesce a superare l’odio, perché l’odio arriva quando non c’è più dialogo. In generale, anche nelle guerre, quando non si riesce più ad avere la diplomazia, purtroppo scattano questi fenomeni che non portano bene a nessuno. E devo dire la verità: io sono convinto che spesso l’odio scatti anche quando si pensa che possa essere la soluzione più rapida. Charlie Kirk era una persona sicuramente con delle posizioni forti ma che le portava nelle piazze. Se fossi stato un suo avversario la cosa che avrei cercato di fare sarebbe stata smontare le sue idee. E’ una cosa impegnativa però, perché bisogna studiare, approfondire, cercare di riuscire anche a parlare bene come sicuramente lui riusciva a fare e cercare di smontare delle idee. E’ questo che dobbiamo insegnare probabilmente a fare perché mi sembra che un po’ manchi questo confronto e mi sembra che manchi la capacità di confrontarsi. Ed è per questo che ogni tanto anche all’interno del Parlamento io mi arrabbio sia con la maggioranza sia con l’opposizione quando ci sono delle scene che non sono edificanti, perché dico ‘guardate che noi dobbiamo dare un esempio anche a chi è fuori. Qui è il luogo dove si parla, dove si parlamenta, dove c’è il dialogo e dove c’è il confronto anche duro’, perché io sono convinto che sia bello il fatto che ci siano delle idee forti che si contrappongono, ma che non deve mai sfociare in qualcosa superiore perché è una follia. Quella è la guerra. Poi non possiamo lamentarci della guerra da altre parti del mondo se la guerra ce l’abbiamo pure in casa fra di noi. E quindi io penso che sia importante anche insegnare il confronto, ma il confronto è difficile perché bisogna studiare, approfondire, darsi da fare e cercare di smontare magari le idee di persone che sono brave nel loro ruolo.

 

MC: Su questo tema del linguaggio le dico una parolaccia: vannaccismo. Insomma, ci sarà un dibattito intelligente anche tra voi su come usare bene i propri contenuti o no?

LF: Assolutamente. Io ritengo che sia fondamentale cercare in questo momento storico di abbassare di una tacca il livello, i decibil, delle discussioni. Purtroppo siamo anche in un mondo abbastanza particolare perché i social secondo me hanno una parte di responsabilità, e anche un po’ il sistema mediatico. Perché adesso vale di più un bel video anche con toni un po’ importanti piuttosto che un ragionamento perché si vuole tutto subito con parole semplici e magari anche forti per scuotere un po’ le coscienze. Non è più un ragionamento politico e questo purtroppo è forse la parte che manca. Io ogni tanto ascolto i dibattiti che venivano fatti alla Camera qualche anno fa, ce ne sono alcuni, anche su internet, che sono che sono stupendi, e ci sono dei ragionamenti politici importanti e questo bisogna far capire che è la vera politica. Poi ovviamente c’è la propaganda, c’è sempre stata, ma fuori  adesso mi sembra che un po’ tutto si basi sul fatto di avere dei video brevi, semplici e diciamo spesso magari con slogan più che con ragionamenti. Ecco, io spero che si riesca pian piano a far capire a tutti che però è importante fare dei ragionamenti anche in politica perché questi poi portano anche a vedere il futuro nel miglior modo possibile.

 

MC: Lei è un appassionato e cultore della diplomazia parlamentare, cioè nel ruolo che i parlamenti possono avere nel discutere, oltre ai governi. Che sta facendo in questo momento a livello di democrazia parlamentare, cioè su come il nostro paese riesce a parlare con gli altri?

LF: Guardi, recentemente è venuta la commissione bilancio della Camera degli Stati Uniti che si è confrontata con la nostra commissione bilancio per capire quali sono gli spazi di manovra sulle varie questioni e penso che sia interessante perché c’erano repubblicani e democratici e questo ti fa capire meglio come sono gli Stati Uniti in generale. Io a breve probabilmente sarò sia in Arabia Saudita sia in Pakistan, che sono due paesi che verranno coinvolti nel processo di pace per Gaza, e penso che sia importante perché nei parlamenti tu conosci tutto un popolo, non conosci solo una parte o le opinioni di una persona. E noi dobbiamo cercare di capire che, quando abbiamo a che fare con questi paesi o con diversi paesi, c’è un popolo, non c’è solo una persona che in quel momento comanda o è a capo di un governo. Se noi non capiamo nella generalità com’è un paese, poi facciamo fatica ad approcciarci con loro. Ed è per questo che è importante la diplomazia parlamentare.

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