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dibattito irreale
Cantarsela e suonarsela su Gaza
Altro che Novecento Morente e magnifici giovani con le bandiere palestinesi che già vivono in un mondo di pace. Le idee di Baricco piacciono solo ai boomer, perché possono confermare tutte le proprie ideologie senza farsi domande su "islamismo radicale" o "antisemitismo". La nuova mitologia è nata già vecchia
Novecentesco morente contro giovanil futurista, il gran dibattito nostrano sulla pace, o tregua, a Gaza si va tingendo di postmoderno. Inteso quel mood filosofico di fine secolo scorso in cui, riassunto in soldoni, più o meno tutto valeva tutto, era pur sempre questione di come lo si vedeva, il mondo. Ermeneutica, dicevano gli studiati. Aveva subito incuriosito che l’ideale afflato di Alessandro Baricco al dialogo con i giovani scesi in piazza con le bandiere fosse naufragato. A rispondergli invece Michele Serra, poi addirittura Corrado Augias, poi un Antonio Polito controintuitivo sul Corriere, ieri la più giovane ma di cultura ben piantata nel Novecento Michela Marzano, su Repubblica. E a distanza ma per sempre attorno al gran tema Massimo Cacciari, a spiegare che la pace celebrata ieri a Sharm “non è pace”. Forse davvero accalorarsi sulle ideologie morte o il colonialismo è un tic da boomer sopraffatti dalla realtà. Ma stupisce, nella maggior parte di questi interventi, l’incapacità di guardare per prima cosa alla realtà effettuale di Gaza. Se ne fa invece una rappresentazione simbolica, piena di altro e a volte tutt’altro. In questo, Baricco ha colto il punto: la ipostatizzazione di Gaza come nuovo simbolo morale e politico di un mondo alternativo.
Ha scritto Michela Marzano, sintetizzando e condividendo Baricco, che “mentre noi adulti discutiamo ancora di Gaza come se fosse una questione di equilibri geopolitici, loro hanno già capito che si tratta di umanità”. Dall’altra parte della “faglia” c’è il passato, la “ferocia” (Serra) del capitalismo, il colonialismo. Le parole “islamismo”, o “antisemitismo”, in queste splendide riflessioni non si incontrano mai. Ermeneutica, si dice: un bel Novecento postmoderno in cui l’oggetto ce lo costruiamo noi. Ma è ben strano, come ha scritto invece Polito, che in questi o analoghi discorsi interpretativi nessuno – nemmeno ieri, il giorno di Trump applaudito anche dalle potenze arabe – riconosca che “al momento la svolta di Gaza sembra ancora impregnata di Novecento, perché annunciatrice di un nuovo ‘secolo americano’”. E che mentre si discute della “fine del super-potere Usa è invece bastato il primo volo transcontinentale dei bombardieri B-2 sui siti nucleari iraniani perché Teheran scomparisse dalla partita”. Ora il tema qui, e nelle analisi citate, non è tanto geopolitico né militare. E non sono nemmeno, tantomeno, le moltitudini di giovani nelle piazze e la loro legittima, per quanto più (u)morale che concreta, visione del mondo. Il problema è che a suonare il bordone alla politica di molta sinistra che poi è quella che storce il naso, ancora ieri, di fronte a un accordo che libera ostaggi e civili – Cacciari sulla Stampa: “Pace si è ridotta a significare il nudo fatto della sistemazione che il conflitto occasionalmente riceve in base al diritto del più forte” – è sempre la vecchia generazione politica e culturale aggrappata o accecata dai miti retorici del Novecento. Per dirla con Polito: “Frammista anche stavolta a vecchi miti, perfettamente novecenteschi. Per esempio l’anti colonialismo, l’anti occidentalismo e di conseguenza l’anti ebraismo, che individua nel popolo vittima della diaspora l’oppressore e l’usurpatore della terra di chi c’era prima”. Potrebbe valere anche per i denti digrignati contro il premio Nobel per la pace a María Corina Machado, cioè a una donna che combatte contro una oscena dittatura populista e tardo novecentesca.
Scrive il filosofo Cacciari che “pensiero e linguaggio si sono ridotti a pronunciare nomi” e questa è la vera fine della Novecento, o dell’occidente, o di tutte e due. Vero. Ma non saper chiamare le cose col proprio nome: islamismo radicale, pogrom, politica di difesa, realpolitik, e poi le libertà civili e di organizzare un rave nel deserto, insomma le cose che il morente secolo americano è riuscito a garantire a una parte di mondo, è un modo di travisare la realtà, i fatti. Scrive Marzano a proposito dei giovani con le bandiere che anche la sua generazione aveva “una cosa che loro stanno cercando di restituire al mondo: la sete di giustizia. E’ quella sete che li spinge a scendere in piazza, a dire ‘basta’, a non accettare più il linguaggio freddo della realpolitik”. Bene. Ma se l’ipostatizzazione del mito di Gaza come nuovo Eldorado dell’anti occidentalismo finisce per indurre i giovani a gridare “dal fiume al mare”, replicando esattamente l’ideologia violenta e d’odio o quantomeno stolida del Novecento, è davvero un grande balzo in avanti morale?