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Nove a quattro

La vittoria del Pd in Toscana è un colpo a Conte e una gioia per Renzi 

Sergio Soave

Riconfermato nettamente Giani, che Schlein non voleva. I dem tengono bene, Casa Riformista doppia il M5s. Crolla la Lega. Sia a destra che a sinistra emergono piccoli segnali di cambiamento negli equilibri interni alle coalizioni

Dall’esito delle elezioni regionali in Toscana, oltre alla nettissima conferma del presidente uscente Eugenio Giani, emergono indicazioni interessanti sulle varie forze politiche. In primo luogo Giani stesso ha sviluppato un’azione politica non banale. Dopo aver ottenuto la riconferma anche contro le intenzioni attribuite alla leader del suo partito, Elly Schlein, ha rimarcato il suo schieramento nell’area riformista del centrosinistra con una scelta inusuale, ha consentito che la lista “del presidente”, separata da quella del Partito democratico (arrivato al 34 per cento), portasse anche il titolo di Casa riformista, centro di raccolta dell’elettorato e dei candidati renziani. Il risultato di questa lista, che ha ottenuto il doppio dei consensi del Movimento 5 stelle (8,7 contro 4,3 per cento), consentirà a Giani, che aveva dovuto, in ossequio alla linea del partito, imbarcare i seguaci di Giuseppe Conte nella coalizione, di non subire condizionamenti da quella parte nell’esercizio del suo mandato. 


Naturalmente la leader del Pd esprime la massima soddisfazione per il risultato raggiunto, ma sul piano dei rapporti interni al partito questa per lei personalmente non è davvero una buona notizia. Anche la scarsa partecipazione al voto, che segna un record negativo apparentemente molto vistoso, deve essere considerata in relazione alle circostanze specifiche del voto, la ripresentazione di un presidente uscente e una data in cui si votava solo per la Toscana. Nelle elezioni di dieci anni fa, in circostanze analoghe, la percentuale era stata simile a quella di oggi, come ha voluto rimarcare lo stesso Giani.

Nel centrodestra, che ha più o meno confermato l’esito delle elezioni precedenti, poco al di sopra del 40 per cento, spicca il risultato deludente della Lega, che resta al di sotto del 5 per cento. In Toscana era stato particolarmente attivo il generale Roberto Vannacci: poca gloria anche per lui (per fortuna). Anche considerando la diversità della situazione che rende difficile il confronto con le regionali precedenti, in cui era la Lega a esprimere il candidato della coalizione di centrodestra, il crollo del partito di Matteo Salvini risulta piuttosto impressionante, perché non basta neppure l’effetto (negativo) di Vannacci a spiegare una flessione dal 21 per cento a meno del 5 in un quinquennio.

Sul piano nazionale la vittoria della sinistra in Toscana, confermata in tutte le elezioni regionali, non dice un granché, permette al Pd di sostenere che la scelta del cosiddetto “campo largo” è vincente, anche se avrebbe vinto e di larga misura pure senza l’apporto peraltro modesto dei 5 stelle. Più rilevante è la tenuta dei riformisti interni ed esterni al Pd, sia per le future dinamiche interne al partito sia per la scelta definitiva della coalizione che potrebbe diventare problematica se si confermasse il rafforzamento dei centristi-riformisti.

Dalla parte del centrodestra dovrebbe cominciare a destare preoccupazioni la dinamica negativa della Lega, che potrebbe spingere Salvini a qualche alzata di ingegno, nel tentativo di risollevare l’immagine offuscata della sua proposta politica. La scontata vittoria in Toscana, dopo nove sconfitte del centrosinistra, smentisce l’ottimistica previsione della leader del Partito democratico, di una tornata complessiva di elezioni regionali che avrebbe messo in difficoltà il centrodestra, che invece deve preoccuparsi, caso mai, dei suoi problemi interni, che tuttavia, almeno finora, non incidono sulla compattezza nelle scelte dell’esecutivo. Comunque da questa tornata toscana emergono segnali, ancora embrionali, di cambiamenti negli equilibri interni delle coalizioni che, se si svilupperanno, potranno avere anche conseguenze di un certo rilievo. 

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