
(foto Ansa)
Il colloquio
Il Pd esca dalla “subalternità” alla piazza, dice Claudia Mancina
"Il problema delle piazze a me pare macroscopico, come pure non mi piace il segnale trasmesso da alcuni politici pd che, in un momento così delicato, vedi Matteo Ricci o Matteo Lepore, sventolano o espongono la sola bandiera palestinese", dice la filosofa ed ex parlamentare Pci-Pds-Ds
La rincorsa dell’elettorato estremo, l’assoggettamento a slogan o persone verbalmente aggressive, la piazza che sfugge di mano. Il Pd, principale partito della sinistra, ha un problema di fascinazione rispetto a una linea che non è la sua? C’è chi, come il professor Gianfranco Pasquino, di fronte al profluvio di cittadinanze onorarie sul capo della relatrice speciale Onu per la Palestina Francesca Albanese, intollerante con chi non la pensa come lei (Liliana Segre compresa), alla fine sbotta e dice: questo partito non avrà più il mio voto. E il panorama che scorre davanti agli occhi preoccupa anche Claudia Mancina, filosofa, storica, ex parlamentare dell’ex Pci-Pds-Ds: “Il problema delle piazze a me pare macroscopico, come pure non mi piace il segnale trasmesso da alcuni politici pd che, in un momento così delicato, vedi Matteo Ricci o Matteo Lepore, sventolano o espongono la sola bandiera palestinese. Tutte cose che dimostrano una totale assenza di autorevolezza e una certa subalternità, in alcuni casi sincera, in altre dettata dalla speranza di fruire poi di qualche vantaggio presso l’elettorato”. E’ successo già prima, con Antonio Di Pietro, con il popolo viola, con Beppe Grillo. “Questo caso è diverso”, dice Mancina, “le piazze non sono un partito da votare, e credo questo sia un elemento significativo per il Pd. E come se il partito stesse riscoprendo una vena perduta, in questo preceduto dalla Cgil, con Maurizio Landini che corre dietro al sindacato autonomo. Ma sono fratture storiche abbastanza incomprensibili: il partito di oggi non può essere lo stesso di ieri, certo, ma dovrebbe esserci un filo di continuità, pur nei cambiamenti richiesti alla realtà. Invece qui vedo come dicevo subalternità, dovuta anche un po’ a confusione mentale”.
La politica dovrebbe avere un ruolo di guida. Invece spesso insegue. “La funzione dei partiti è molto cambiata, come la loro capacità di svolgere un ruolo educativo e formativo dell’opinione pubblica. Tutto questo è venuto meno e non so se sia recuperabile, anche se lo spero”. La strada percorsa finora è sbagliata? “Nel caso Pd si è voluto anteporre il tema dell’unità a qualsiasi altra considerazione, per raggiungere l’obiettivo della vittoria. Obiettivo necessario, sì, ma non se lo si sguarnisce da qualsiasi riferimento a contenuti, ideali e prospettive. Al di là di un programma di governo su lavoro, politica industriale e sanità, si sente il bisogno di una prospettiva ideale. Qual è la prospettiva del Pd rispetto al M5s o rispetto ai problemi reali che abbiamo intorno?”. Pare esserci anche un problema di risposte condizionate. “La prima reazione a sinistra, davanti al piano di pace di Trump, è stato dire che era una trappola”, dice Mancina, “forse perché veniva appunto da lui e si supponeva che desse un vantaggio a Meloni. Un modo di ragionare non politico. Mai che ci fosse la capacità di proporre: una volta si segue la Albanese, una volta la Flottilla. E poi: in tutti i movimenti di piazza ci sono i facinorosi, ma è gravissimo che ci siano striscioni inneggianti al 7 ottobre come a una data di ‘resistenza palestinese’ e che questo non comporti l’abbandono del corteo da parte del principale partito d’opposizione. E questo non esclude le critiche a governo di Israele. Ma devi far capire da che parti stai”.