
Regionali 2025
Cirielli verso la candidatura. La sua strategia? Perdere bene in Campania e reclamare un ruolo di primo piano a Roma
E' arrivato il suo momento. Il Fratello d'Italia e viceministro agli Esteri spunta tutti i veti e vuole candidarsi nella sua regione. Sa che perderà, ma ha un piano. E un requisito prezioso nell'ottimo rapporto con Mattarella
Non teme il flop, ma la scarsa mira. E dunque non mira a vincere, ma a fallire coi fiocchi. Edmondo Cirielli, viceministro agli Esteri, vuole candidarsi. Eccome se lo vuole. E vuole perdere, dicono, col 4 davanti e qualcosa in più. Il tanto che basta a rasentare la sufficienza e reclamare l’onore ai vinti. La gloria che spetta ai martiri o semi-martiri. A loro che si sono immolati e che la sconfitta non uccide bensì fortifica. Ed ecco allora la strategia del viceministro agli Esteri in quota Fratelli d’Italia. Il candidato in pectore del centrodestra in Campania che spunta veti e contro veti.
Il generale di Nocera Inferiore, a sua volta figlio d’un ufficiale dell’esercito, dal giorno uno avrebbe voluto essere l’ambasciatore campano del governo a Roma. Ruolo che Giorgia Meloni – per arbitrio o necessità – destinò nel 2022 a Gennaro Sangiuliano, ex ministro della Cultura. Da allora Cirielli ha spinto e allentato. Aspettato e ingegnato una strategia. Sino al momento propizio. E cioè sino a ora. E’ adesso, infatti, che con la sua gettonata candidatura in Campania egli dovrebbe battere il ferro caldo d’una sconfitta dignitosa. E reclamare, dopo il sacrificio, il ruolo nazionale che gli fu negato una prima volta con Sangiuliano e un’altra volta con la nomina di Tommaso Foti al ministero per gli Affari europei. Quel soglio, già occupato dal vicepresidente della Commissione europea Raffaele Fitto, fu lasciato in eredità a un candidato più rangé. Più “soldato” – spiegano – e meno generale. Cirielli, dal canto suo, voleva fare il ministro al posto di Fitto. O meglio: voleva fare ’o ministro. Ossia il primo della Gallia (Campania) che diventa secondo a Roma. Non riuscì all’alba del governo e neppure dopo, con il trasferimento del vicepresidente a Bruxelles. Ma adesso l’occasione è forse arrivata. Se la candidatura ci sarà davvero, infatti, Cirielli non vincerà certo le elezioni contro l’uomo del Campo largo Roberto Fico (e neppure si sa se, una volta eletto, si dimetterà dal ruolo di governo). Di sicuro, però, sarà il trampolino per un salto ampio nel teatro politico nazionale. A maggior ragione se in questi tre anni il generale ha saputo costruire e vantare un asse col Quirinale.
Requisito prezioso è il suo ottimo rapporto con Sergio Mattarella che il viceministro accompagna sovente all’estero, nel sud-est del mondo, come previsto dalla delega alla cooperazione internazionale (piccola nota-feuilleton: il capo dello stato era in primissima fila il 16 giugno scorso, insieme al viceministro, agli stati generali della prevenzione messi in piedi dalla di lui moglie Maria Rosaria Campitiello, capo dipartimento al ministero della Salute). Se Cirielli scenderà in campo, dunque – forte della doppia vittoria calabra e marchigiana – è assai probabile che porterà con sé una lista di deputati e senatori. Sinora il suo nome è l’unico che ha spuntato i veti. Non lo vuole Forza Italia, certo, che con la vittoria di Roberto Occhiuto ringalluzzisce: “Con un candidato di centro si possono battere i 5 stelle”, diceva ieri Fulvio Martusciello. Ma tutte le strade portano a lui.
Domanda: che fine hanno fatto gli altri? I cinici dicono che i civici erano nomi scritti su sabbia. Il prefetto Michele Di Bari, per dire, è stato uno scudo in attesa di un nome vero (un nome politico si sarebbe prestato a speculazioni e, chissà, anche a indagini). Costanzo Jannotti Pecci, benvoluto dallo stesso Cirelli ma contrario all’autonomia differenziata, aveva per ciò stesso una controindicazione pesante. E alla fine, dopo mille giri, si è tornati a lui . Al generale che, primo in Campania – e dalla parte dei vinti – saprà reclamare il suo secondo posto a Roma.