
Ansa
Il caso
A Treviso Salvini è pro Palestina. La Lega vota con il Pd per il riconoscimento, FdI esce dall'aula
Da Gaza alla Resistenza, è un paradosso che si ripete tra città e regione: i leghisti veneti sono spesso più vicini ai dem che ai meloniani. O ai seguaci di Vannacci. “E' indispensabile che, attraverso il governo e le istituzioni, arrivino con urgenza aiuti umanitari nella Striscia”
Il Veneto resta un rebus. Non soltanto per l’incognita sul candidato di centrodestra, che però dovrebbe essere chiarita ufficialmente domani. Ma soprattutto per lo schema delle alleanze: ormai succede sempre più spesso che la Lega voti insieme al Pd. E contro Fratelli d’Italia. Gaza, Resistenza, Charlie Kirk. L’ultimo caso arriva da Treviso, dove il Consiglio comunale ha approvato in questi giorni una mozione sul riconoscimento della Palestina: tutti favorevoli, dagli amministratori del sindaco Conte – in quota Carroccio – a Forza Italia, passando per i dem e il resto dell’opposizione. Tranne i meloniani, che sono usciti dall’aula poiché “il provvedimento non presentava quelle stesse condizioni di riconoscimento che Giorgia aveva indicato all’Onu come necessarie”. E infatti questo non deve stupire: FdI, anche nel locale, segue la Liga nazionale. In Veneto invece – per proprietà transitiva – Salvini e Vannacci diventano pro Pal, partigiani e attenti al fine vita.
E' la Lega al contrario, anche se gli esponenti del nordest sottolineano che loro fanno i leghisti come hanno sempre fatto. Semmai sono i nuovi – capitani e generali – ad aver snaturato il partito. Con implicazioni grottesche sul piano delle alleanze. Perché se Salvini a Roma sfida Meloni a destra, a caccia di estremismo e controverse sponde europee, in Veneto i suoi spingono forte sul progressismo. Treviso è in questo senso un esempio cristallino – dove Mario Conte, non a caso, per collocamento politico sarebbe il più naturale erede di Zaia. Già lo scorso maggio c’erano state le avvisaglie del cortocircuito odierno, con analoghe modalità: mozione su Gaza – immediato cessate il fuoco, restituzione degli ostaggi, sollecitazione all’ingresso degli aiuti umanitari – e conseguente approvazione all’unanimità, salva l’astensione di FdI che anche in quell’occasione era uscita dall’aula. In conformità a quanto il partito e il governo sostenevano in quel frangente a Roma. A luglio inoltre, sempre a Treviso, c’era stato un increscioso episodio di matrice neofascista: una finta bomba a mano recapitata alla sede locale dell’Anpi. Il Consiglio comunale esprime “ferma condanna per il gesto intimidatorio”. Manca però di nuovo la firma dei meloniani, i quali – pur ribadendo “la piena solidarietà all’Anpi – avevano presentato un emendamento (bocciato) per estendere l’appello “a tutte le istituzioni democratiche e costituzionali, compresi tutti i partiti politici” (il riferimento era alle aggressioni nei gazebo elettorali, o alle effigi bruciate dei volti del governo).
E veniamo allo scorso 29 settembre. L’ordine del giorno del Pd prevede il riconoscimento della Palestina. La Lega indica il seguente emendamento: “E' indispensabile che, attraverso l’impegno e il coordinamento delle forze governative e delle istituzioni internazionali, arrivino con urgenza aiuti umanitari a Gaza per garantire cibo, acqua, cure mediche e sostegno alla popolazione civile”. E il centrosinistra approva. Fratelli d’Italia presenta il suo: “Hamas non deve mai essere coinvolta in nessuna trattativa, né per la gestione degli aiuti né per la futura ricostruzione: la sua esclusione è una condizione imprescindibile per garantire un processo trasparente, sicuro e realmente orientato al bene della popolazione di Gaza”. Ma l’opposizione e la Lega dicono no. Segue l’ennesima uscita dall’aula dei meloniani. Non solo: durante quella stessa seduta, FdI aveva portato una mozione per promuovere un dibattito pubblico nell’anniversario della morte di Charlie Kirk, per discutere “della fondamentale importanza della libera manifestazione di ogni democratico pensiero politico e culturale”. Mozione bocciata dalla maggioranza leghista.
La discrepanza fra i due partiti rimbomba anche sul piano regionale: sempre il mese scorso, il consigliere leghista Marzio Favero aveva promosso una legge sulla collaborazione istituzionale tra il Veneto e la rete degli Istituti storici della Resistenza. I colleghi meloniani – indovinate un po’? – sono usciti dall’aula. Un leitmotiv da prendere con cautela in vista delle urne. Fonti locali di FdI raccontano al Foglio che ormai la divergenza politica con la Lega, a queste latitudini, è evidente. Ma lo è ancora di più fra la Liga veneta e la Lega di Salvini: da Mario Conte a Zaia, passando per amministratori come Favero o Roberto Marcato, la connotazione progressista è un dato di fatto. Ciò non si riflette in particolari problemi di natura amministrativa, ma ogni provvedimento politico evidenzia differenziazioni notevoli. Non tali da determinare la rottura del patto di coalizione, per ora, soprattutto in ottica regionali: la parte dell’opposizione interna è sempre spettata alla Forza Italia di Flavio Tosi, mentre FdI cercava di distendere gli animi.
E il candidato in pectore per il Veneto – salvo sorprese dell’ultim’ora – è il segretario regionale leghista Alberto Stefani: un profilo giovane, ma comprovato salviniano e attento equilibrista. È anche deputato, sa cosa vuol dire il rispetto degli alleati. Sensibilità che gli zaiani, sostengono gli uomini di Giorgia, non hanno avuto in virtù di una maggioranza tentacolare. Senza contare il serenissimo progressismo.