
L'epidemia mediatica da Global Sumud è solo italiana. C'entra il flusso di propaganda russo?
Disinformatia da siti anti occidentali, e il solito gusto dello show: molte “notizie” dai velisti pro Gaza rimbalzano da siti filo-Cremlino. Eppure in Italia il racconto diventa mainstream
Il lettore che avesse la curiosità e la pazienza (tendente a infinito) di navigare negli account ufficiali della Global Sumud Flotilla e in quelli che rilanciano informazioni, spesso non verificabili, sulla spedizione pro Pal verso Gaza – l’account Instagram da due milioni di follower globalsumudflotilla o globalmovementtogazaitalia e altri ancora – rimarrebbe colpito da una particolarità. A parte una certa prevedibile autoreferenzialità dei commenti e dei video postati (l’effetto-testimonianza di giornalisti attivisti à la Saverio Tommasi di Fanpage) spesso le news rilanciano informazioni provenienti da account e siti conosciuti, e non da ora, per il loro posizionamento propagandista in favore della Russia, o della Cina di Xi Jinping. Siti noti a chi si occupa di informazione internazionale come l’Antidiplomatico, ai tempi di osservanza grillina, attivo durante la prima presidenza Trump con classici della disinformatja tipo “Come mai i giornalisti diffamano Putin e non indagano sull’immenso patrimonio accumulato da Bill e Hillary Clinton?”, oppure il più recente e ben impaginato magazine online InsideOver, su cui abbondano le analisi favorevoli a Mosca e le analisi iper critiche su Gaza. Viceversa su questi siti si incontra un forte appoggio alla causa.
Anche la prima notizia sui droni “invisibili” che però erano stati evidentemente visibili ad alcuni, con tecnologie difficilmente immaginabili sulle imbarcazioni a vela, veniva da un account noto per essere legato alla propaganda del Cremlino, Anti Mainstream Eagle of Freedom. Al lettore curioso potrebbe sorgere il sospetto che il flusso informativo in provenienza dalle barche dirette a Gaza non sia tutto genuino, ma destinato a influenzare l’opinione pubblica e, soprattutto, l’informazione. Almeno quella più disponibile, per una serie di cause palesi o malcelate, cioè quella italiana.
La Flotilla salpata è composta da circa 70 imbarcazioni, con oltre 800 persone di 44 paesi diversi a bordo e molti i giornalisti, decine quelli italiani, una componente decisamente alta di avventurieri della pace. Qualche giorno fa l’imbarcato speciale del Fatto ci ha tenuto a smentire “la notizia che la componente italiana della Global Sumud Flotilla sta abbandonando le barche. Non è vero. Tuttora ci sono 37 italiani imbarcati, compresi i quattro parlamentari”. Ma lui stesso ammette che in venti avevano lasciato, un terzo.
Tuttavia la copertura mediatica in Italia al viaggio degli attivisti pro Pal non ha paragoni con ciò che è avvenuto in queste settimane nella stampa degli altri paesi coinvolti. Nemmeno la Spagna, maggior contributor con l’Italia all’impresa e guidata da un governo apertamente filo palestinese, ha mai riservato nelle scorse settimane alla vicenda la montagna di prime pagine italiane. Ieri, cruciale giorno del “contatto” con le Forze israeliane, la prima pagina del Pais non ne parlava. Nemmeno il Guardian, espressione della sinistra inglese, ha trasformato la sua informazione in una sorta di “Tutta la Flotilla minuto per minuto”. Per non parlare della stampa dem statunitense. Ieri invece da noi Repubblica e Corriere aprivano all’unisono. L’epidemia da Sumud Flotilla è tutta italiana, siamo arrivati al punto surreale che l’addetto meteo de La7 la scorsa settimana ha interrotto le sue info su temperature e temporali per lanciare un accorato appello per i ragazzi in mezzo al mare, mostrando la posizione delle loro barche anziché quella degli anticicloni.
I motivi di attenzione italiana non mancano: ci sono imbarcati i politici del campo largo, forse contenti di stare alla larga dal campo largo di terraferma, c’è un governo costantemente bersagliato dall’opposizione (ma ora che anche Sánchez ha chiesto di smetterla, e anzi ha accolto con favore la proposta di pace per Gaza, è più difficile incolpare di cinismo Giorgia Meloni e Guido Crosetto). Poi c’è un’opinione pubblica che dalle università ai teatri di Reggio Emilia sempre più ribolle di antisemitismo vecchia maniera, senza più neppure la vergogna di negarlo. E inoltre c’è un pubblico generalista (quello che poi magari non va a votare) già stufo di Garlasco e di altri storytelling del pomeriggio, e che non vedeva l’ora di appassionarsi a una nuova commovente avventura di mare e coscienza che gronda lacrime. Ma da qui a prendere per buono e senza contraddittorio tutto il flusso informativo (o disinformativo) che arriva dai canali della Flotilla il passo dei media italiani dovrebbe esser un poco più lungo. Come quando dalla barca si salta a terra, e non ci si vuole inzaccherare le scarpette da vela.