
Matteo Renzi, leader di Italia Viva. Dal 3 al 5 ottobre si terrà a Firenze la 13esima edizione della Leopolda (Getty Images)
Intervista
Bonus casa riformista. Renzi a tutto campo alla vigilia della Leopolda n. 13
Ieri la rottamazione, oggi la costruzione del nuovo centrosinistra. I rapporti con Schlein. Il centro che serve, con Salis possibile guida. Il pericolo di una Meloni vincente anche nel 2027. L’economia (l’Italia non va così bene), il medio oriente (più politica, meno Flotilla)
Quella che ieri era rottamazione oggi vuole essere edificazione del centrosinistra che verrà. Matteo Renzi alla Leopolda numero 13, quindici anni dopo la prima edizione, vuole provare a tirare su qualche altro mattone della “Casa riformista” per provare sul serio a battere Giorgia Meloni alle prossime elezioni politiche, tra un paio d’anni. Così in questa lunga intervista col Foglio l’ex premier e leader di Italia Viva parla a tutto campo, senza sconti, com’è sua abitudine: dal rapporto con Elly Schlein, “che stimo perché è arrivata dov’è ora vincendo da sola” e con gli schleiniani, pur fieramente antirenziani, e però più apprezzati dei riformisti del Pd “che mi adulavano e oggi fanno finta di non conoscermi”. Fino all’inedita concordanza con esponenti del Partito democratico come Dario Franceschini e Goffredo Bettini, “con cui non sono mai stato così d’accordo come adesso”. Passando per le turbolenze con Calenda, a cui non chiude in maniera definitiva: “Se come immagino non otterrà un ministero da Meloni, cercherà di tornare nel centrosinistra e io sono dell’idea che gli vadano tenute le porte aperte. Io scommetto sul fatto che nelle sue peripezie, alla fine Azione tornerà al punto di partenza. Con noi”. O ancora, dal futuro di Silvia Salis: “Certo che può essere la leader del centro. E trovo patetico questo tentativo di dire: ‘Ah, Renzi vuole intestarsela’”. Fa anche qualche concessione alla premier e al suo governo, a cui dà meriti per “la stabilità. E’ un fatto positivo. Supererà il record di Berlusconi e lo farà non facendo assolutamente niente”.
La sfida a ogni modo resta impedire alla destra di rivincere perché “la prossima volta se Meloni vince si prende il Quirinale, non solo Chigi. E lo prende per sé, eh!”. Anche se qualche autosabotatore il centrodestra potrebbe già avercelo, all’interno della Lega: “La destra o si estremizza o si divide. Secondo me Vannacci potrebbe fare come Farage: creare la divisione adesso potrebbe far perdere la Meloni come ha perso Sunak e consentirebbe a Vannacci di diventare il candidato di tutta la destra al giro dopo, come accadrà a Farage”.
Ma in questa chiacchierata partiamo dalla convention dove il renzismo ha avuto origine. Quella che andrà in scena alla stazione Leopolda di Firenze dal 3 al 5 ottobre, dice Renzi che ne sta ultimando i dettagli, sarà una kermesse pensata per i giovani. E nella stazione a pochi passi dal centro dove per anni la colonna sonora sono state le canzoni di Jovanotti, di Tommaso Paradiso, degli Imagine Dragons (c’eravamo, durante il periodo universitario fiorentino) adesso si sta allestendo una grossa discoteca, con tanto di dj. “Fa un po’ effetto pensare che un evento nato per caso abbia acquisito così tanta centralità nel dibattito politico”, racconta andando con la mente al passato l’ex premier. “Abbiamo iniziato quindici anni fa e accadde tutto per caso. Avevo fatto un’intervista a Repubblica, era fine agosto. Ricordo che ero stato a visitare un cantiere per un sopralluogo, ero da poco sindaco di Firenze. E presi la telefonata del giornalista, Umberto Rosso, tra una riunione e l’altra. Un’intervista a pagina 19, senza pretese, un taglio basso. E lì avevo messo buttata a caso la parola ‘rottamazione senza incentivi’ riferita al gruppo dirigente che perdeva le giornate senza fare una opposizione credibile a Berlusconi. Scrissero in tanti, per dire che avevo preparato con cura – dopo uno studio di marketing molto accurato, pagato da strateghi americani – questa parola per lanciare una offensiva politica. In realtà non ci avevo proprio pensato, mi era venuta così, camminando tra l’Isolotto e il Lungarno. Non avevo pensato nemmeno alle implicazioni negative della parola. Dal giorno dopo iniziammo a ricevere un crescendo di messaggi. E allora iniziai a pensare che forse avevamo toccato un punto più vivo di quello che anche noi pensassimo”.
Fu il prologo al salto nazionale. “Ero impegnato sugli effetti della pedonalizzazione del centro storico, avevo lanciato un piano per raddoppiare gli spazi delle biblioteche comunali, mi preoccupava la situazione delle case popolari e ogni settimana visitavo una scuola: io non pensavo alla politica nazionale, se non nei ritagli di tempo. Ma la botta dell’intervista fu fortissima. E diventai il rottamatore senza neanche rendermene conto”. Da qui nacque l’idea di una kermesse che chiamasse a raccolta un mondo politico nuovo, che aveva voglia di impegnarsi in un progetto altro, diverso. “Dovevamo fare qualcosa per rispondere a una lista infinita di persone che si proponeva per dare una mano. E lì nacque l’idea di usare una vecchia stazione come la metafora di una nuova partenza. Prossima Fermata Italia. Con Civati facevamo i deejay radiofonici che alternavano i messaggi che arrivavano su Facebook e sui telefonini con gli interventi scegliendo gli intervalli musicali. Il gong richiamava gli oratori troppo verbosi. Chiunque poteva dire la propria. Oggi sembra normale ma quel format lì fu una rivoluzione per le ovattate assemblee politiche italiane. E naturalmente andavamo senza programma ma improvvisando. L’unico filo conduttore era: facciamo proposte”.
Anche quando, per esempio, quelle proposte hanno segnato delle sconfitte personali nella carriera politica di Renzi. “Tutto ciò che abbiamo fatto è nato da uno sforzo collettivo di politica condivisa, in Leopolda. Non c’è nessun luogo che abbia questa caratteristica in Italia, nessuno. Anche la sfortunata riforma costituzionale era nata in una delle prime Leopolde: superamento del bicameralismo perfetto con Senato dei sindaci (averci messo i consiglieri regionali su richiesta del Parlamento è stato col senno di poi un autogol), revisione del titolo V, abolizione del Cnel. Poi è andata come è andata col referendum ma non si era mai vista una riforma costituzionale scritta in una vecchia stazione e nata dal basso. Ma non solo quella riforma. E’ stato un momento in cui la politica è tornata ad attrarre tanta gente: la parità con le discusse quote rosa, gli 80 euro, la dichiarazione precompilata e la fatturazione elettronica, il Jobs Act, il superammortamento, l’abolizione dell’Imu che Monti aveva rimesso cambiandole nome dopo il superamento dell’Ici. Ma anche il terzo settore, il dopo di noi, le unioni civili, la legge sull’autismo! Quante ne abbiamo fatte. Pensando all’immobilismo del governo di oggi viene da dire che servirebbe a loro una Leopolda per darsi una smossa. Ma alla Meloni non interessa governare: basta fare la vittima. Siamo in presenza del piagnisteo più longevo della storia politica italiana: ce l’hanno tutti con lei, vogliono tutti fermare lei, lei è il centro del mondo e tutti guardano a lei”.
Eppure, come detto, quest’anno la Leopolda avrà un sovrappiù d’interesse: capire se davvero questa cosa che si è messo in testa l’ex sindaco di Firenze, il grande agglomerato centrista che ha già un nome, “Casa riformista”, andrà finalmente in porto. La costruzione inizierà proprio da quella stazione? “Sì. Perché alla fine anche dopo quindici anni la Leopolda questo rimane: un luogo in cui si propone. Questo è il marchio di fabbrica e non ce lo toglie nessuno”, risponde Renzi. “Anche quando abbiamo lasciato Chigi abbiamo continuato a proporre: il Family Act è stato studiato e presentato qui nel 2019. In un clima di odio noi siamo quelli che tirano fuori le proposte, non gli insulti”.
Di cos’altro parlerete? “Della dote per ogni bambino, di energia, di quantum computing e di intelligenza artificiale. Parleremo delle tragedie che la politica non vede come l’emergenza silenziosa degli hikikomori, i ragazzi che dopo il Covid non escono più di casa. Il problema di questo paese è che chi non urla viene ignorato e non ci si rende conto che la salute mentale è un dramma che non grida, ma fa male. Parleremo di come cambia la sanità nel tempo della longevità ma anche del dramma demografico. E ci saranno proposte”. Avanzate da personalità diverse, anche da esponenti della maggioranza, annuncia Renzi.
“La Leopolda dà spazio a tutti. A cominciare dai membri del governo. Ho personalmente scritto alla Meloni perché ‘autorizzasse’ i membri del governo a partecipare. Piantedosi si confronterà sulla sicurezza, Crosetto sulla difesa, Valditara sull’educazione. Li accoglieremo con rispetto e gentilezza. E diremo anche che su tante cose possiamo trovarci d’accordo. Io ad esempio condivido totalmente l’idea di non portare i cellulari in classe voluta da Valditara o la postura di Crosetto sulla Flotilla. E ritengo Piantedosi l’unico a essersi comportato in modo corretto sulla vicenda Almasri. Dunque non siamo ideologici e non usiamo un paraocchi. Ma certo il nostro obiettivo è costruire la Casa riformista e farlo per far vincere il centrosinistra”. E qui il senatore di Italia viva inizia a snocciolare una serie di numeri ostentando le sue doti da calcolatore di voti, percentuali in mano, per sottrarre il paese alla destra. “La sinistra sta al 40 per cento. O ci mettiamo il carico noi con un 6-7 per cento o rivince la Meloni e stavolta si prende il Quirinale, non solo Chigi. E lo prende per sé, eh. Altro che Tajani o Mantovano”.
Renzi ne è talmente convinto che aggiunge dei dettagli figurati, a questo scenario: “Nella sua testa sta già prendendo le misure delle stanze di Mattarella e ha ragione chi dice che lo fa per cambiare l’impianto costituzionale de facto. Lei si vuole prendere i poteri del governo e sommarli a quelli del Quirinale che però sono stati pensati per un arbitro, non per un giocatore. Giorgia vuole fare la centravanti, l’allenatrice, l’arbitro. E comunque non si fida di chi sta al Var. Perché si fida solo di sé stessa, della sorella e della segretaria”. Per questo la Casa riformista, ragiona Renzi, ha necessità di prendere forma il prima possibile.
“Diciamola tutta: la Leopolda è l’atto costitutivo di questo contenitore, certo. Ma questo contenitore funziona se si aprirà al mondo anche esterno alla Leopolda e soprattutto a Italia Viva. Noi abbiamo sondaggi che ci danno tra il 2 e il 3 per cento. Senza di noi la Casa riformista non si fa. Ma solo con noi la Casa riformista non serve. Io ne sono consapevole e per questo lavoro da mediano anziché da centravanti. Come diceva quello è un duro lavoro ma qualcuno deve pure farlo. Nel frattempo, nel silenzio di tutti abbiamo messo in piedi il simbolo di Casa riformista in cinque regioni. In Calabria faremo agevolmente il quorum e io penso che supereremo il 5 per cento. In Toscana possiamo arrivare all’8 per cento, visto che Iv l’altra volta, da sola, era al 4,5 per cento. In Campania sogno la doppia cifra perché abbiamo una squadra fortissima. Su Puglia e Veneto sarà più in salita ma il sostegno di Decaro e Manildo ci aiuterà. Perché poi i sondaggi ognuno se li tira come vuole ma contano i voti. Quelli che parlano dei sondaggi ma poi non si candidano mai alle elezioni sono dei simpatici influencer ma non sono rilevanti in politica”.
Nonostante lo abbia ripetuto più volte nel corso dell’intervista, “i nomi vengono dopo, prima le idee”, non possiamo non chiedere a Renzi se la sindaca di Genova Silvia Salis, uno degli ospiti principali della Leopolda, possa diventare lei la leader di questo nuovo soggetto di centro. “Certo che può esserlo, resta da capire se vorrà esserlo. E chiederglielo adesso sarebbe sbagliato”, sottolinea l’ex presidente del Consiglio. “C’è tanta bella gente in questa area che vuole dare una mano, sindaci, amministratori, società civile. E tanti di noi, certo. Parliamoci chiaro: Elly Schlein ha spostato il Pd a sinistra. Non è la mia tazza di tè, come si dice. Ma va riconosciuto che ha avuto il consenso per farlo. Avs e Cinque stelle stanno oggettivamente più a sinistra. Rimane un centro sguarnito: gente che non vuole votare Vannacci, che ritiene Tajani debole, che non considera Salvini affidabile e che dopo aver strizzato l’occhio alla Meloni inizia a pensare che la premier stia perdendo l’equilibrio puntando diritta ai pieni poteri, tra un caso Paragon e un caso Almasri.
Questa gente riformista, moderata, di buon senso esiste: diamo loro una casa o la lasciamo pascolare nelle praterie dell’astensione? Per farlo occorre avere le idee chiare. Bisogna picchiare tanto sulla sicurezza, perché la situazione in alcune realtà sta sfuggendo di mano tra maranza e baby gang: noi siamo quelli che dicono Legge e Ordine. La Meloni no, la Meloni scarcera violentatori come Almasri e viola le regole usando software spia in modo illegittimo. Noi siamo la legalità, la Meloni è il vittimismo. Bisogna menare sulle tasse, specie pensando che mai come in questo momento è chiaro il bluff di una premier che ha aumentato la pressione fiscale e il debito pubblico. Ci vuole un’agenda riformista con idee riformiste: non serve la brutta copia di Avs.
E poi faremo un lavoro di compromesso sul programma”. Sì, certo, ma il tema del nome e della leadership permane, rilanciamo. Renzi ci ritorna su così: “Conosco Silvia Salis dai tempi della Leopolda. E trovo patetico questo tentativo di dire: ‘Ah Renzi vuole intestarsela’. Conoscono poco me e conoscono poco la Salis. Io mi sono messo in testa di fare Casa riformista e lo faremo. Poi chi porterà la battaglia alle eventuali primarie, chi guiderà questo contenitore, lo vedremo. Io lavoro per costruire il contenitore. Ma dire che la Salis si fa guidare tradisce il solito pensiero banale e mediocre. Siccome c’è una donna, giovane, energica, bella, la prima domanda è: chi c’è dietro di lei? Peraltro conoscendo Silvia posso dire che fatico a trovare una più indipendente di lei. Chi pensa che possa fare la bella statuina la conosce poco: è una che ascolta, come è suo dovere fare, e poi fa come le pare, come è suo diritto fare. Se avete dubbi chiedete al mio amico Fausto Brizzi che capisce di politica da tempi non sospetti ma che soprattutto è il marito della Salis”.
Chi una leadership per Salis l’ha preconizzata è Dario Franceschini. Il quale in un’intervista ha però anche aggiunto che “è finita l’era dei leader moderati per vincere le elezioni”. In sostanza spingendo una figura più radicale, com’è forse Elly Schlein. Non so se condivide. “Non credo che l’abbia detta proprio così e comunque non è necessario definire prima se debba essere radicale o riformista. Io so che se non si sta tutti insieme non si vince. Se radicali e riformisti di sinistra non collaborano vince l’estremista di destra. E con Dario non siamo mai stati così allineati come oggi”, confessa Renzi.
“Così come condivido il ragionamento politico con una persona con la quale ho spesso battibeccato in passato, Goffredo Bettini, ma che mai come oggi esprime la stessa visione e lo stesso desiderio di costruire una coalizione vincente”, argomenta Renzi con eloquio schietto, prima di passare a considerazioni più pratiche di regole elettorali. “Se c’è questa legge elettorale, il leader del centrosinistra lo farà il leader del partito che arriva primo. Se c’è la legge elettorale che ha in testa Meloni, il Tatarellum modificato, allora ci saranno le primarie. La cosa divertente è che Meloni è terrorizzata perché sa che da Firenze in giù con la vecchia legge difficile che prenda seggi, tranne un pezzo di Lazio e qualcosa in Sicilia. Ma non tutto in Sicilia, perché una parte dei democristiani verrà con noi, vedrà. E dunque Giorgia vuole cambiare la legge a tutti i costi. Lei ha iniziato ad attaccarmi, sulla scorta, sulla legge ad personam, sui media amici quando ha visto che io mi sono schierato con il centrosinistra perché sa che anche se ho il 2 o il 3 per cento io faccio politica. E se do una mano alla costruzione di un centrosinistra unitario, lei rischia davvero di perdere. Non a caso insieme alle leggi ad personam contro di me gli statisti di Chigi hanno cominciato a lavorare sulla legge elettorale. Ma penso che Meloni stia sbagliando i suoi conti.
Cambiare la legge come farà lei, senza mettere le preferenze su cui si era riempita la bocca, farlo a un anno dalle elezioni con un colpo di mano creerà nel paese un ulteriore sussulto di preoccupazioni. Diranno che sta esagerando. E il centrosinistra unito – dopo il rito salvifico delle primarie – sarà più forte e competitivo. Perché le primarie possono essere una carneficina ma se fatte bene diventano paradossalmente il collante del centrosinistra. Se ci sarà la nuova legge elettorale le primarie saranno un momento politico fortissimo. Certo, Schlein e Conte saranno i favoriti e i candidati di Avs e Casa riformista partiranno dalla seconda fila.
“Ma lei immagini – continua Renzi – cosa accadrà se dopo la legge elettorale e prima delle politiche un popolo di centrosinistra riempirà i gazebo mentre la Meloni si farà incoronare da Salvini e Tajani. E alla lunga il piagnisteo della sora Giorgia verrà a noia. Lei fa la legge elettorale nuova per fregare noi e rischia di rimanere fregata, vedrà”.
Restando dalle parti del Pd, a molti non è sfuggito l’ottimo rapporto, cordiale, amichevole, che Renzi intrattiene con Elly Schlein, fin dai tempi della partita del cuore. Quanto spesso la sente? La stima? “Abbastanza frequentemente. Certo che stimo una persona che è arrivata dove è arrivata, vincendo da sola. Mettendosi in gioco. Fa un ragionamento semplice: per vincere bisogna stare tutti insieme. La sua linea politica non è la mia. Ma riconosco che in questo posizionamento c’è l’interesse del paese: sconfiggere la Meloni alle politiche. E c’è il suo obiettivo personale, legittimo: guidare Palazzo Chigi da sinistra. Con lei il rapporto è molto franco. Mi aveva garantito che non avrebbe accettato i veti. Quando è stata costretto a farlo, in Liguria, io non l’ho attaccata perché ho capito e lei ha preso atto dello stile con cui ce ne siamo andati dopo che avevamo in mano le liste di Orlando, già firmate. Particolare non da poco: la sinistra in Liguria ha perso. Rimossi i veti, abbiamo vinto.
Con Schlein ci diciamo tutto. E io tengo molto alla franchezza totale. Ho sofferto l’immagine che hanno dato di me come uno che ti frega alle spalle. Sia a Letta che a Conte io ho sempre detto in faccia tutto, prima che le cose accadessero. Se devo combattere lo faccio a viso aperto, non da vigliacco. E mi pare che Elly abbia lo stesso stile: anche quando ci diciamo cose che non apprezziamo, lo facciamo in modo serio. E poi c’è una cosa in più…”.
E qui Renzi al Foglio confessa un dettaglio, nel rapporto col nuovo corso del Pd, che forse non era mai emerso in maniera così cristallina. Prego senatore, ci dica pure. “A me i collaboratori di Schlein stanno simpatici mentre il Pd riformista e non solo li detesta. Sa perché? Perché la squadra di Elly, i suoi fedelissimi, sono sempre stati ragazzi coerenti, contro di me. Sul Jobs Act Elly ha fatto la sua partita: è uscita dal Pd contro di me per il Jobs Act, scegliendo di abbandonare un partito che stava al 40 per cento. Ci vuole coraggio. Poi io ovviamente preferisco il Jobs Act e lo difenderò fino alla fine. Ma ho simpatia per quel gruppo di collaboratori di Schlein che mi ha sempre criticato. Non sopporto invece quelli che mi adulavano e adoravano e oggi fanno finta di non conoscere me o di non riconoscere tutto quello che abbiamo fatto negli anni.
Il mio rapporto buono con il compagno Igor Taruffi e gli altri deriva dal fatto che riconosco loro una coerenza che i renziani intermittenti non hanno mai avuto. Poi, va da sé, se Taruffi entra alla Leopolda gli vengono le bolle. E Elly è stata fortunata che alla prima Leopolda, quella con Civati, era all’estero e dunque può rivendicare di non essere mai venuta. Ma io ammiro la coerenza di questo gruppo dirigente. Poi sono troppo di sinistra: senza di noi non vinceranno mai. Elly lo ha capito, i suoi vedremo”.
A proposito di centrosinistra in costruzione, con Calenda vi siete rivisti qualche mese fa a una manifestazione a Milano su Palestina e Israele, vi siete stretti la mano. Com’è il vostro rapporto oggi? Avete rinunciato definitivamente al progetto Terzo polo? “Calenda a me sta pure simpatico ma purtroppo è così: totalmente imprevedibile perché del tutto inaffidabile”, dice Renzi parlando del suo ex compagno di avventura. “Ha buttato nel cestino due milioni di voti e il progetto del Terzo polo per un colpo di testa, perché non voleva che noi facessimo più la Leopolda. Pensi che siamo alla 13esima edizione in 15 anni perché un anno l’abbiamo saltato per il Covid e un anno perché Calenda non voleva: minacciava di rompere il Terzo polo se avessimo fatto la Leopolda. E ci fece annullare l’edizione del 2022 che era già convocata. Ha una fissazione con questo posto che pure è un luogo di verità.
Lui ci è venuto una volta e dal palco della Leopolda ha detto: non capisco nulla di politica. Era stato un momento di sincerità anche apprezzabile. Dice che io ho votato La Russa dopo aver sostenuto per due anni il contrario e senza accorgersi che la matematica lo smentisce, non solo il Var del Senato. Dice che mi ha riportato in Parlamento e – poveraccio – non si ricorda che non aveva nemmeno le firme per candidarsi lui senza il sostegno di Italia Viva. Non fosse stato per noi di Italia Viva oggi farebbe il notista politico di Montezemolo eppure si lamenta. Si è intestato Industria 4.0 che nasce dal lavoro di una squadra più ampia: Federica Guidi, Andrea Guerra, Tommaso Nannicini. Dopo che l’ho nominato ministro sembrava che avesse fatto tutto lui. Ma ognuno ha il suo carattere, gli lascio volentieri queste piccole vanità”.
In un’intervista al Foglio Calenda ha detto a Salis di stare attenta a lei. “Ho letto l’articolo. Il bello è che il giorno prima Calenda ha passato il pomeriggio al telefono sia con la Salis che con la Schlein a parlare di me. Tu chiamale se vuoi… ossessioni. Io sono diverso da Carlo: io faccio una cosa che lui proprio non riesce a fare, si chiama politica. Dopodiché non ho nulla contro di lui. Rimane un mistero della fede come faccia lui ad avercela con me: l’ho fatto ministro e ambasciatore, l’ho portato in Senato con le firme di Italia Viva, l’ho sostenuto in almeno tre campagne elettorali, gli ho permesso di andare al Quirinale a giurare due volte. Il fatto che dica: ho sbagliato a fidarmi di Renzi con questo capolavoro di curriculum lo inserisce nel Pantheon dei beneficiati rancorosi, direttamente sul podio. Se uno che ha ricevuto tutti questi incarichi non solo non dice grazie ma addirittura ti attacca significa che ha qualche problema con sé stesso, non con me. Dice una cosa un giorno, ne fa un’altra il giorno dopo. E’ così. Fantasioso, diciamo. Quando lo incontri in privato o quando ci parli, Carlo sembra anche affidabile, poi alla lunga viene fuori il suo carattere.
Solo Michele Emiliano ha lo stesso tasso di imprevedibilità. Ma Michele è più cattivo di Carlo. Nella vita precedente Emiliano era un magistrato dell’Inquisizione, Calenda un attore del Libro Cuore. Tra i due salvo Calenda tutta la vita. E non solo perché sul Tap Calenda è stato dalla mia parte e Emiliano è stato invece – e resterà per sempre – dalla parte della vergogna. Comunque, Calenda è persino divertente. Se preso a piccole dosi fa anche cose buone. Alla fine – se come immagino non otterrà un ministero da Giorgia Meloni – cercherà di tornare nel centrosinistra e io sono dell’idea che gli vadano tenute le porte aperte. Come diceva quello: meglio uno nella tenda che fa la pipì fuori che uno fuori dalla tenda che fa la pipì dentro. Calenda oggi parla male dei Cinque stelle ma ha comunque sempre mantenuto un filo diretto con Conte e Travaglio, almeno fino a qualche settimana fa si parlavano spesso. Io scommetto sul fatto che nelle sue peripezie, alla fine Azione tornerà al punto di partenza. Con noi”.
Fin qui i ragionamenti su qualcosa che ancora non c’è: un centrosinistra unito e vincente, almeno a livello nazionale. Dall’altro lato, però, ci sono una maggioranza e un governo che con tutte le difficoltà del caso vanno avanti. Ad agosto il governo Meloni ha superato il governo Renzi per longevità. Ci sarà pur qualcosa, siamo curiosi di chiedere, che l’ex premier salva di questo esecutivo. “La stabilità. E’ un fatto positivo. Supererà il record di Berlusconi e lo farà non facendo assolutamente niente. Perché non le interessa cambiare l’Italia, le basta restare a Palazzo Chigi: c’è del lucido in questa apatia, c’è del lucido in questa inerzia”. E però, dovrebbe chiederselo soprattutto chi vuole costruire un’alternativa di centrosinistra, perché dopo tre anni a Palazzo Chigi il partito di Giorgia Meloni è ancora al 30 per cento nei sondaggi. “Perché sono perfetti sui social, gestiscono la comunicazione in modo straordinario, non pestano i piedi a nessuno e comunque cannibalizzano agli altri della coalizione”, dice Renzi. “Loro sulle pastarelle a ‘Domenica In’ sono imbattibili. Sul costo della vita, la pressione fiscale e il debito pubblico non hanno risposte e quindi lo cancellano. Quando ad agosto è uscito il dato negativo del pil, lo 0,1 per cento negativo, penso di non aver letto un solo titolo su questo sui giornali, nemmeno nelle pagine interne. E’ una macchina di comunicazione straordinaria. Poi è vero che i sondaggi vanno e vengono. Io dopo tre anni di governo stavo al 40 per cento. E in un anno ho perso 20 punti, grazie al folle 2017-2018. Fratelli d’Italia non riesce a sfondare il 30 per cento. Io vedo il bicchiere mezzo vuoto nella loro crescita, non quello mezzo pieno: non saranno mai maggioranza del paese. Se siamo bravi, loro vanno a casa”. Mentre, prosegue ancora l’ex premier criticando Meloni, “il più grande errore della presidente del Consiglio sono le sue ossessioni. Vive di paura. E dunque vive male. Ad ogni angolo c’è un nemico, un’insidia, un fantasma. L’errore più grande del governo è non rispettare le regole. Mantovano compra il software che finisce con spiare i giornalisti, manda Nordio a mentire in Aula su Almasri, si vendica degli avversari con leggine ad hoc o togliendo le scorte, inserisce emendamenti last minute nei decreti che sono vergognosi. Poi un governo che mette Urso all’innovazione non ha bisogno di commenti”. Facciamo notare che però su un punto notevole dell’azione di governo come la politica internazionale c’è stata una sostanziale continuità con Draghi, a partire dal sostegno all’Ucraina. Non è già tanto? “La politica della riduzione del danno va bene per le droghe, non per i governi. Oggi Meloni avrebbe una grande chance: fare una proposta per l’Europa. La Francia rotola, la Spagna ha un governo che sta in piedi per miracolo, la Germania vive il momento più difficile dalla riunificazione. Starmer, uscendo dai confini Ue, dimostra molti più limiti di quello che pensassimo. Siamo gli unici sani in un mondo di malati: diamine, abbi coraggio! Dai una prospettiva all’Europa. Fai politica! Dicci dove vuoi portare l’Italia e l’Europa dei nostri figli. Macché. Pastarelle e piagnistei, nessuno slancio”. Anche se, alla fin fine, l’atteggiamento di Meloni nei confronti di Trump, per cui si ipotizzava un ruolo da ponte che potesse schiacciarla, è sovrapponile a quello dell’Ue. “Drammaticamente sì, è la stessa di una Unione europea guidata dall’algida burocrate Von der Leyen. Io avrei giocato la carta della fermezza. Invece Meloni ha raccontato a tutti che lei era la mediatrice, il ponte, l’amica di Trump. E poi si è accodata al guinzaglio del pensiero dominante con il risultato che i dazi ce li siamo presi sui denti noi che siamo un paese esportatore”, spiega il senatore di Iv.
Un’iniziativa, seppur secondo alcuni tardiva, è la mozione per il riconoscimento vincolato della Palestina annunciata da Meloni la settimana scorsa. Italia Viva, nel pieno del caos tra maggioranza e opposizione sul caso Flotilla, la sosterrà? “Almeno leggiamola, questa mozione. Ma il punto è capire di che si parla. Il problema oggi è capire chi comanderà a Gaza. E sul punto l’unico che ha fatto una proposta si chiama Tony Blair. Sono così orgoglioso di lavorare con lui. Ovviamente alcuni media hanno presentato la proposta di Blair senza nemmeno leggerla o forse senza capirla. Blair disegna un’autorità internazionale indipendente temporanea per allontanare l’esercito israeliano, disarmare Hamas, costruire un futuro per i bimbi di Gaza. In prospettiva questa autorità deve ricongiungersi allo stato di Palestina che certo va formalizzato. Ma la cui formalizzazione deve unirsi al riconoscimento del diritto di Israele all’esistenza. Era l’architettura dei Patti di Abramo che Jared Kouchner aveva costruito insieme alla Lega Araba. Mancava solo un tassello: il riconoscimento dei rapporti tra Ryad e Tel Aviv. Sarebbe arrivato se il 7 ottobre non fosse scattata la carneficina di Hamas su spinta iraniana. Perché poi alla fine tutto torna: da quando c’è Mohammad Bin Salman, l’Arabia Saudita è il fulcro della regione. Le leadership riformiste arabe sono decisive.
“La cosa bella è che mi hanno attaccato una vita per le mie amicizie internazionali e ora si capisce – almeno chi segue la politica estera – che sono proprio i leader della Lega Araba gli unici ad avere la possibilità di far rinascere Gaza. E non a caso è il mio leader preferito, Tony Blair, a indicare una via. Purtroppo chi fa politica è destinato per anni all’incomprensione. Poi il tempo è galantuomo e chiarisce tutto. Quello che dicevamo cinque anni fa sul rinascimento saudita si sta dimostrando vero. Quello che diciamo oggi su Blair sarà chiaro tra qualche anno. Sperando che si arrivi a una soluzione. Ma con tutto il rispetto la soluzione la porta la politica, non la Flotilla, sulla quale apprezzo i toni di Crosetto e sottoscrivo l’appello di Mattarella. E mi piacerebbe che ci fosse una Flotilla per l’Ucraina, una per il Sudan, una per il genocidio cristiano in Nigeria e tante altre flotille. Alla sinistra dico: bene valorizzare la passione civile di chi manifesta per Gaza ma se vogliamo mandare a casa Meloni va attaccata sulle condizioni di vita in Italia, sui salari in Italia, sulla pressione fiscale in Italia. Lo sciopero generale andava fatto sugli stipendi non sulla Flotilla”.
Proprio l’ambito economico, forse, è quello in cui il centrosinistra ha più difficoltà a far passare proposte credibili. Del resto l’economia italiana non va male, lo spread scende registrando performance molto positive. Si può davvero attaccare un ministro dell’Economia come Giorgetti che fa di tutto per tenere a bada gli appetiti di una maggioranza che vorrebbe essere molto più spendacciona? “E chi lo attacca Giorgetti? Sarebbe inutile del resto, quello non si scompone. Uno che ha la faccia tosta di stare al governo con Conte, con Draghi e con Meloni e sembrare sempre un passante, uno che è lì per caso e contro voglia merita solo l’ammirazione infinita. Non l’ho attaccato, gli ho fatto dieci domande in Parlamento. Non mi ha risposto in Aula ma ci siamo scambiati un sms dopo il discorso. Mi ha ringraziato perché almeno io lo tengo sveglio. Mi piacerebbe poter dire altrettanto di lui ma non sono sicuro di riuscire a farlo”. Anche sui numeri e sulle performance dell’economia italiana, Renzi ha molto da ridire: “A me sembra che i commentatori siano sotto incantesimo. Nel 2024 il debito pubblico è cresciuto, la pressione fiscale è cresciuta, il costo della vita è cresciuto. E tutti battono le mani al governo che con 200 miliardi di Pnrr fa meno 0,1 per cento sul pil. Si dice che l’Italia corra più degli altri paesi europei: il pil europeo fa più 1,2 per cento, noi facciamo 0,6 per cento. Lo capisce anche un bambino che 0,6 non è più di 1,2, ma la metà. Eppure il ritornello voluto da Palazzo Chigi viene ripetuto a memoria da tutti i commentatori. I conti in ordine. Diamine, hanno 200 miliardi di Pnrr e tu li chiami conti in ordine? L’unica cosa è che se perdi la testa seguendo i mercati finanziari e le agenzie di rating, quelle che la Meloni chiamava pagliacci travestiti da inquisitori, può accadere che perdi di vista i mercati rionali. E io le garantisco che alla fine del mese il ceto medio arriva sempre con più fatica, vedo i padri separati dormire nei garage perché non si possono permettere un livello di vita sufficiente, soffro pensando a chi rimanda cure perché i soldi servono per mangiare e il dentista può aspettare. C’è un paese reale che inizia a capire che la narrazione del melonismo va bene su Instagram ma coi reel non si mangia”. Eppure, ribattiamo al senatore Renzi, le imprese sembrano nutrire ancora fiducia nel governo, a partire da Confindustria. “Confindustria è per definizione, da sempre, filo governativa. Ma appoggiare Urso non è politica, è masochismo. Sono tre anni che la Meloni fa la legge di Bilancio: non mette un centesimo per le imprese e questi battono le mani. Un aforisma definisce il sadico come colui che è gentile coi masochisti. Bene, la Meloni è gentile con Orsini”, dice ironicamente Renzi.
Per trovare risorse in previsione della Finanziaria il governo sarebbe intenzionato a chiedere un ulteriore contributo alle banche. L’Abi ha già espresso perplessità a riguardo. Evidenzia un problema del governo nella gestione del dossier banche? “Non lo faranno. Serve per fare tre interviste, due post e qualche trasmissione dopo ‘Domenica In’. Poi alla stretta non faranno nulla. Del resto Banca Intesa mette 500 milioni di euro l’anno per contrastare la povertà mentre la Meloni ha tagliato i fondi anche sulla povertà educativa. Arrivo al paradosso che preferisco che i soldi li usi Intesa per la povertà educativa che non Lollobrigida per il suo staff. Al di là del concetto di extraprofitto su cui ha sbagliato in primis il governo Draghi, inseguendo un populismo economico ingiustificabile, il tema non è l’extraprofitto ma la strategia sulle banche. Noi abbiamo fatto la riforma delle popolari togliendo il potere ai potentati economici territoriali e siamo stati massacrati da tutti. Loro hanno messo il golden power per regalare una banca ai francesi e tutti zitti. E’ un mondo bellissimo. Direi un mondo al contrario. Se non fosse che Vannacci è la carta più interessante che la sinistra può giocare”. E qui l’intervistatore non può non chiedere delucidazioni. Vannacci, il generale che elogia la X Mas, carta della sinistra? In che senso, senatore Renzi, ci faccia capire meglio. “Sì, Vannacci, ha capito bene. Perché parliamoci chiaro. C’è un mondo che sta andando a destra molto più di quanto immaginavamo. Lei ha visto le scene di Londra che scende in piazza contro il califfato islamico? Ormai c’è una nuova destra, che si riunisce via Whatsapp e via social, che usa parole d’ordine che vanno oltre il movimento Maga. Qualcuno deve rappresentare questa destra che presto o tardi accuserà Meloni di alto tradimento. Se la Meloni insegue il vannaccismo, regala i moderati al centrosinistra. Se la Meloni abbandona il vannaccismo qualcuno dovrà prendere quei voti. La destra o si estremizza o si divide. Secondo me Vannacci potrebbe fare come Farage: creare la divisione adesso potrebbe far perdere la Meloni come ha perso Sunak e consentirebbe a Vannacci di diventare il candidato di tutta la destra al giro dopo, come accadrà a Farage. Il generale è al bivio: se rimane nel centrodestra, lo tratteranno come soprammobile. Se rompe prima delle politiche, fa il 5 per cento al primo giro e poi si gioca al giro dopo Palazzo Chigi, in prima persona, azzerando Tajani e Salvini. Scelta non facile per Vannacci: non so che tipo sia. E non so se ha davvero coraggio”.
E’, insomma, il Renzi in modalità aruspice, quella caratteristica personalissima che alle volte gli permette di leggere in anticipo le mosse che si dovranno compiere per mettere in difficoltà l’avversario (e glielo riconoscono anche dall’altra sponda politica). Sempre stando dalle parti della capacità di predire il futuro, facciamo un gioco conclusivo: Meloni e la consultazione referendaria sulla giustizia. Renzi ha perso Palazzo Chigi a causa del referendum costituzionale. Cosa rischia la premier? “Un governo che perde un referendum costituzionale va a casa perché anche se ha la fiducia dei parlamentari non ha più la fiducia dei cittadini. Questo a prescindere da qualsiasi discorso peloso sulla personalizzazione. Meloni lo sa benissimo. Se perde, è finita la Meloni. E il melonismo”, spiega Renzi, parlando con cognizione di causa. “Ma Giorgia vuole questo scenario, lo cerca, perché ha bisogno dello scontro. Lei trova la sua forza in sfide come questa. Renderà una cavalcata epica questa trovata dei due Csm che serve solo ad avere controllo perverso sui pm, vedrà, sarà un bel casino. Io sono il primo a essere in difficoltà perché non voglio che un referendum costituzionale sia un’ordalia sul governo ma chiedo di stare nel merito come chiedevo dieci anni fa. Il problema è che il titolo della riforma, separazione delle carriere, è ottimo ma lo svolgimento è pessimo perché renderà i pm ancora più politicizzati. E a fronte di questa contraddizione chi come noi vuole stare nel merito è stato costretto ad astenersi chiedendo che vi fosse un’apertura su qualche emendamento. Invece nisba”. Il confronto, comunque, aggiunge Renzi nelle battute finali di questo colloquio, resta aperto. “Noi in Leopolda ne parleremo in modo pacato facendo parlare sia quelli a favore come il nostro amico Caiazza, sia quelli più dubbiosi. Ma il dibattito fa paura alla Meloni. Ecco perché scappa dal confronto, anche in Aula. Vuole il miro contro muro, su tutto. Vedremo che succederà nei prossimi mesi, questo clima di odio non mi piace per nulla. Ma proprio per questo serve che una nuova generazione si avvicini alla politica con idee nuove. Questo è da sempre la missione della Leopolda e quest’anno sarà più attuale che mai”.
