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Lo scenario
Voglia di Roma: ecco gli europarlamentari del Pd che sognano le politiche del ‘27
Zingaretti, Bonaccini, Nardella e Gori. Molti esponenti dem a Bruxelles già dicono o fanno sapere che sono pronti a tornare in Italia per le prossime elezioni politiche: “Se Schlein pensa di vincere le elezioni, perché io non potrei fare il ministro?"
Cos’è Bruxelles, se non una parentesi dem tra un’elezione politica e l’altra? In attesa di capire se Matteo Ricci e Antonio Decaro lasceranno i rispettivi seggi a Strasburgo di eurodeputati per diventare governatori, la pattuglia del Pd frigge e si tormenta. Soffre e s’offre. E’ lo “spleen” baudeleriano applicato ai dem. Sarebbe esagerato parlare di una condizione di noia, angoscia e disgusto verso una vita caratterizzata da un senso di prigionia interiore e malinconia esasperata. Sarebbe esagerato, appunto. E però nelle cene e a margine delle trasferte per le assemblee plenarie qua e là si inizia a cogliere un po’ di insofferenza e soprattutto di attesa per il futuro: che ne sarà di noi? Cosa accadrà nel 2029 quando si voterà di nuovo per l’Eurocamera? In poche parole: molti eurodem già dicono o fanno sapere – anche se oggi smentiranno con vigore e indignazione – che sono pronti a tornare in Italia. Missione Roma 2027.
E’ la sindrome, come l’abbiamo chiamata sul Foglio, di Montecristo. Come il Conte di Dumas che ritorna dall’esilio più forte che pria. Questa volta ci sono una data, un anno, un appuntamento. Ovvero: le politiche del 2027, quelle della possibile scalata alla destra, quelle dell’agognato riscatto dopo cinque anni di Meloni presidente del Consiglio. Le prossime elezioni, al netto di anticipi che suonano come colpi di scena, incrociano una serie di ambizioni di diversi eurodeputati, ora sovrastati da quel perenne cielo grigio brussellese. Questi gli euroragionamenti intercettati: “Se è vero che Schlein pensa di vincere le elezioni e di andare, di carambola a Palazzo Chigi come leader della coalizione, perché io non potrei fare il ministro del campo largo di governo?”. Sicché tra ambizioni e noia, una pinta di birra e un pentola di cozze con patatine fritte, ecco stagliarsi le chiacchiere con velleità annesse per una nuova fase chiamata intanto Parlamento. Chi ha i voti e una certa riconoscibilità – e non è stato eletto l’anno scorso come indipendente ma è organico al partito – non esclude il ritorno, come il celibre epitaffio di Califano. E’ chiaro: se Elly dovesse chiamarli al momento di compilare le liste loro urlerebbero presente!
Il primo è Nicola Zingaretti, capodelegazione dem a Strasburgo, uno che nella sua vita politica ha fatto di tutto eccetto due cose: il sindaco di Roma (postazione ambita e accarezzata e quasi sfiorata ma ora occupata e già prenotata da Roberto Gualtieri) e il ministro, scenario più che possibile. Davvero Zinga è già con la valigia in mano? Lo dirà il tempo. Così come sono in molti a indicare come possibile una candidatura alle politiche di Stefano Bonaccini, già governatore dell’Emilia-Romagna, uomo di preferenze, presidente del Pd e in buoni rapporti con la segretaria (fin troppo secondo la corrente che capeggiava, Energia popolare). Un altro nome che gira, ma sono voci e confidenze con scenari ancora lontani dall’avverarsi, è quello di Dario Nardella, ex sindaco di Firenze, un nome circolato nelle scorse settimana anche come possibile alternativa alla ricandidatura di Eugenio Giani in Toscana. Un altro big con preferenze e rapporti. La lista potrebbe includere anche Giorgio Gori, solido riformista. Boatos, spifferi e pensieri spettinati che rimbalzano in Parlamento e colgono di sorpresa e malumore la seconda fascia di eletti che rischia di vedere lo scranno dopo il 2027 con il binocolo se dall’Europa dovesse calare una piccola pattuglia di eurodeputati. Sempre che la segretaria non preferisca tenerli lassù, tra la Francia e il Belgio, sospesi mentre lei corre verso il sogno dei sogni: il governo Elly.