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l'analisi

Nomi e trame. Perché la guerra dei porti sta lacerando il centrodestra

Dario Di Vico

Il blocco delle nomine delle autorità portuali sta paralizzando la maggioranza, con divisioni politiche tra i partiti e scandali legati a candidati privi di competenze. Mentre i lavoratori portuali manifestano contro il traffico d’armi, il governo fatica a risolvere la situazione, con candidati discutibili e ricorsi legali in corso

Per i porti italiani si prospetta un autunno movimentato. Da una parte infatti i lavoratori degli scali sono il nocciolo duro dell’Usb, il sindacato che ha organizzato lo sciopero generale e le manifestazioni di lunedì 22. E che promette il classico ce n’est qu’un debut. Dall’altra sul fronte amministrativo prosegue l’incredibile blocco delle nomine dei presidenti delle autorità portuali perché i partiti della maggioranza non si riescono a mettere d’accordo su come spartirsi la torta. E proprio nel momento in cui il protezionismo trumpiano ridisegna il traffico merci mondiale gli enti portuali risultano decapitati e senza guida. Un autogoal che si sarebbe potuto evitare visto che siamo in ballo almeno da questa primavera. Le divisioni passano non solo tra i partiti ma nel caso della Lega anche all’interno, da qui la paralisi di un avvicendamento che comunque ha i tratti della famosa Corrida, dilettanti allo sbaraglio. Nella lista dei 400 aspiranti presidenti figurano le professionalità più disparate: avvocato, professore universitario, guardia forestale e soprattutto politico trombato. Torniamo però ai portuali. Livorno e Genova si contendono il titolo di capitale della protesta pro-Pal. I toscani non vogliono far entrare nel loro scalo la nave americana Slnc che trasporterebbe armamenti e sembrano essere riusciti nell’intento. I genovesi intanto si preparano ad organizzare per venerdì e sabato prossimo un’assemblea di portuali di mezza Europa per lanciare una grande manifestazione contro il traffico d’armi con slogan “Non vogliamo lavorare per la guerra”. Visto il successo della giornata di protesta del 22 settembre è facile quindi che il movimento pro-Gaza si incanali lungo questa direttrice e rafforzi così la componente operaia dell’Usb, che ha già arruolato i camalli genovesi fuoriusciti dalla Cgil.


Invece il motivo vero del blocco politico delle nomine sta nel riequilibrio del potere marittimo richiesto da Fratelli d’Italia. Qualcosa di simile a ciò che sta avvenendo per la guida del Veneto e della Lombardia: siamo il primo partito e non possiamo rimanere a secco. Il guaio è che mancando candidature competenti i partiti arruolano chiunque. Il caso che ha fatto più discutere è quello del candidato per Taranto, Giovanni Gugliotti, ex impiegato Inps, ex presidente della Provincia che di fronte a precisa richiesta durante l’audizione parlamentare si è difeso così: “Ma ho da 20 anni la patente nautica!”. Le audizioni continuano e non producono però ancora decisioni finali vistate dal ministro competente, Matteo Salvini che ha l’obbligo di ascoltare il parere dei presidenti di Regione. La prossima votazione dovrebbe riguardare il porto di Bari e l’unico neo-presidente finora in carica è quello di Genova, Matteo Paroli, contestato perché risulta condannato per una vicenda di concessioni nel porto di Livorno. La partita è seguita da Roma anche dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che però avrebbe affidato il delicato dossier al ministro Francesco Lollobrigida. A sua volta la Lega sulla materia sarebbe divisa tra una sorta di filiera territoriale che fa capo a Claudio Durigon e il vice ministro Edoardo Rixi che vanta una legittima delega sui porti.


 A Palermo il presidente della Regione Renato Schifani ha fatto ricorso al Tar contro una nomina di Salvini ovvero la promozione di Annalisa Tardino e la sentenza arriverà addirittura per il 13 gennaio e nell’attesa Schifani ha almeno rinunciato alla sospensiva. A Napoli un’inedita alleanza de facto tra Forza Italia e i Cinque Stelle ha generato ricorsi e proteste contro la nomina al porto di Napoli di Enrico Cuccaro, che viene dall’azienda privata Alilauro ed è giudicato in chiaro conflitto di interesse. Cuccaro però godrebbe di appoggi bipartisan visto che viene dato come sponsorizzato sia da Durigon sia dal governatore della Campania Vincenzo De Luca. 


A Cagliari la situazione è diversa ma altrettanto comica: il presidente uscente Massimo Deiana non essendo ricandidabile dopo il secondo mandato aveva premuto per la nomina del suo segretario generale ma non avendola spuntata ha chiuso letteralmente le porte dell’ufficio e rifiutato di accogliere le credenziali del nuovo presidente Domenico Bagalà, indicato dal ministro. A Gioia Tauro è stato designato invece Paolo Piacenza, ex segretario generale di Genova peraltro anche lui indagato nell’ambito dell’inchiesta Toti-Spinelli. A Civitavecchia la scelta è caduta sul vice-sindaco di Pisa, Raffaele Latrofa di Fratelli d’Italia, contestato per mancanza delle necessarie competenze. A Livorno è passato un ex politico del Pd, Davide Gariglio e così l’opposizione di centrosinistra fischietta e si gira dall’altra parte perchè oltre lo scalo labronico avrebbe ottenuto la presidenza di Ravenna e Bari considerata appannaggio del governatore Emiliano. A Trieste era stato nominato per tempo Antonio Gurrieri, successivamente indagato per una vicenda legata a consulenze private per una società austriaca. Prima di sospendersi aveva avuto tempo di sostenere come segretario generale Vittorio Torbianelli. Salvo essere costretto a destituirlo dopo essere stato convocato nello studio del governatore Massimiliano Fedriga alla presenza degli esponenti giuliani di Fratelli d’Italia. Ora tra i nomi che circolano per la poltrona triestina c’è quello dell’avvocato Massimo Campailla,  negli organigrammi locali è considerato vicino ai meloniani ma ha trovato modo nei giorni scorsi di allargare le sue skills facendosi fotografare domenica scorsa a Pontida mentre, in maniche di camicia e jeans, gira la polenta leghista. 

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