
Il caso
Le preoccupazioni di Meloni e Crosetto sulla Flotilla: "Sicurezza non garantita nelle acque di Israele"
Il ministro della Difesa interviene in Parlamento, la premier dall'assemblea dell'Onu condanna la reazione spropositata del governo di Tel Aviv
Allerta e preoccupazione. Guido Crosetto in Parlamento non usa giri di parole. A nome del governo condanna l’attacco alla Global Sumud Flotilla. “Azioni di questo tipo, condotte contro le comunità civili in mare aperto, sono totalmente inaccettabili”, dice. Ma nel merito della missione denuncia un clima “preoccupante” perché se entrerà nelle acque israeliane, “non possiamo garantire sicurezza ai cittadini italiani”. Si cerca in tutti i modi di evitare l’incidente. Per arrivare a una mediazione, al momento lontanissima, ci sono ancora alcuni giorni di tempo e di navigazione. L’attacco della sera prima da New York di Giorgia Meloni sembra essere mitigato dalle parole del ministro della Difesa. In una coordinata divisione dei ruoli. La premier se l’era presa con la flottiglia, a bordo della quale ci sono parlamentari dell’opposizione, prima di intervenire all’Assemblea dell’Onu con un discorso molto netto contro Israele, accusato di aver superato “il limite del principio di proporzionalità" nella sua reazione a Hamas finendo con “l’infrangere le norme umanitarie e causando una strage tra i civili”. Una scelta che porterà l’Italia al voto favorevole “su alcune delle sanzioni proposte dalla Commissione europea verso Israele”. Il problema resta e riguarda la sorte delle navi che annunciano di voler arrivare a Gaza. E allora bisogna tornare a leggere tra le righe le parole di Crosetto.
La fregata Alpino, che sostituirà infatti la fregata Fasan, non uscirà dalle acque internazionali qualora la flottiglia dovesse decidere di forzare il blocco israeliano. Anzi uno “degli obiettivi è quello di scongiurare tale eventualità ed evitare possibili conseguenze negative”. In questo senso c’è l’ipotesi che la nave possa in qualche modo fare da filtro evitando così la reazione israeliana. Tutte le strade sono ancora percorribili. Sembra impossibile l’ipotesi di un corridoio umanitario per consegnare gli aiuti, resta ancora aperta invece, seppur con possibilità al momento poco concrete, la mediazione della Cei, svelata da Meloni, di coinvolgere il Patriarcato latino di Gerusalemme per facilitare l’arrivo e la consegna degli aiuti umanitari a Gaza via Cipro. E’ un’idea che all’opposizione italiana non dispiace, soprattutto al Pd ma anche al M5s. La gestione di questo caso, così pieno di risvolti, ha accompagnato Meloni di ritorno dagli Usa. Tanto che appena atterrata ha incontrato a Palazzo Chigi il ministro della Difesa. L’ipotesi di un filtro della Marina per evitare una reazione israeliana resta sul tavolo ed è la spia di una preoccupazione concreta da parte di Roma, nonostante le “rassicurazioni” del governo di Tel Aviv che dice non voler sferrare attacchi letali in caso la flottiglia dovesse uscire dalle acque internazionali. E’ una posizione non semplice, quella della premier. La presidente del Consiglio, intervenendo all’Assemblea dell’Onu, ha detto di ritenere che “Israele non abbia il diritto di impedire che domani nasca uno Stato palestinese, né di costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania al fine di impedirlo”. E per questo ha sottoscritto la “dichiarazione di New York sulla soluzione dei due Stati”. Ribadendo che il riconoscimento della Palestina deve avere due precondizioni irrinunciabili: il rilascio di tutti gli ostaggi e l’esclusione di Hamas da ruoli di governo. La vicenda angoscia il governo anche sul fronte interno. E la scritta dei pro Pal comparsa a Torino “Meloni come Kirk” non aiuta.