L'intervista

Luigi Sbarra: "I sindacati in piazza per Gaza fanno un cattivo uso del diritto allo sciopero"

Ginevra Leganza

"Lo sciopero è lo strumento sindacale per eccellenza, piegato dai sindacati a fini politici", dice l'ex numero uno della Cisl e sottosegretario con delega al Sud. "Abbiano più cautela, perché le derive possono essere violente"

Roma. Dopo una prima vita nel sindacato e un’ultima estate nel governo Meloni, cosa pensa  dello sciopero proclamato dai sindacati di base per Gaza? “Da un lato si sono sventolate le bandiere della pace, dall’altro si sono trasformate le città in scenari di guerriglia urbana...”, premette Luigi Sbarra. Che poi risponde: “Penso che l’effetto, lunedì, sia stato quello di una contraddizione inaccettabile”. Prima di arrivare agli effetti, però, vorremmo ragionare con lei sugli antefatti. Da ex segretario della Cisl, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al sud, che senso dà all’uso del diritto sindacale, precisamente dello sciopero, per una protesta contro la sofferenza gazawa? “Lo sciopero è un diritto sacrosanto, sancito dalla Costituzione. Ma utilizzarlo per una causa come la pace a Gaza suscita molte perplessità”. 


Secondo l’articolo 40 della Carta, “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, ossia delle leggi dei “rapporti economici”. E tuttavia, lunedì, il motivo non atteneva all’economia ma alla geopolitica. Sottosegretario Sbarra, cos’è accaduto? “Lo sciopero,  ripeto, è lo strumento sindacale per eccellenza. E’ successo, in questo caso, che  sia stato piegato a fini politici, in chiave anti-governativa. E a me è sembrato un abuso, appunto, che ha snaturato la sua funzione, ovvero quella di regolare i rapporti economici e sociali, e non certo di orientare battaglie di altra natura”.

L’ultimo sciopero, si diceva, è stato proclamato dai sindacati di base. E ha riguardato tutti i settori: dal trasporto pubblico alle scuole. Epperò già lo scorso venerdì il segretario generale della Cgil Maurizio Landini spiegava le ragioni della serrata contro l’eccidio di Gaza. Al punto che ora  si pone un tema di memoria storica. L’ultima volta che la Cgil indisse una manifestazione per la Palestina, infatti, e depose una bara vuota davanti alla sinagoga nel Ghetto di Roma, ci fu l’attentato del 9 ottobre 1982, dove perì un bambino. La domanda, allora, è: cosa  consiglia l’ex uomo della Cisl alla Cgil? Più cautela o più fosforo? “Io credo che la memoria di episodi così tragici debba ricordarci sempre quanto siano fondamentali equilibrio, rispetto e senso di responsabilità nell’organizzare manifestazioni pubbliche. Anche perché, tornando alla Costituzione, il diritto di sciopero dev’essere esercitato salvaguardando i diritti fondamentali della persona e il funzionamento dei servizi essenziali. Quando la protesta oltrepassa i confini del confronto civile, il rischio è di alimentare tensioni, incomprensioni, persino derive violente”. A tal proposito, lei parlava di cortei della contraddizione. “Sì, perché la pace non è uno slogan: è assenza di violenza. E lunedì abbiamo visto l’opposto: aggressioni alle forze dell’ordine, blocchi di treni, autostrade, porti. Intere aree urbane rese insicure. Comportamenti che non hanno nulla di solidale, insomma, verso la popolazione di Gaza. E che sono solo atti distruttivi. Ecco, di fronte a tali eccessi non può esserci tolleranza”. Dunque? “Dunque i violenti vanno isolati e fermati. Lo sciopero non va usato per trasformare la rappresentanza sociale in rappresentanza partitica. E i fatti di Milano, e di altre città, mostrano quanto questa deriva possa rivelarsi pericolosa, soprattutto quando si ricorre a un linguaggio esasperato”.

Al di là dello strumento, in linea di principio incongruo, ci domandiamo se  le proteste possano sortire effetti concreti. In altre parole: i  liceali milanesi e gli operatori romani dell’Atac marciano davvero sul cosiddetto scacchiere internazionale? “Guardi, quello che posso dire è che la conflittualità permanente non aiuta la causa della pace. Anzi la indebolisce. A mio giudizio, hanno dato prova di vera responsabilità quanti hanno scelto azioni concrete: raccogliere fondi, sostenere i civili, costruire ponti invece di alimentare divisioni. E’ questa la strada della pace. E poi, mi permetta di esprimere sentimenti di gratitudine alle forze dell’ordine per l’opera svolta durante i cortei. E un pensiero di vicinanza agli agenti rimasti feriti”.

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