
Il caso
Schlein e la sindrome del 21 per cento. La leader del Pd e il dilemma dei sondaggi
Il Partito democratico dopo un discreto exploit iniziale continua a galleggiare nelle rilevazioni. Pregliasco: "Il Pd sembra poco elastico e non in grado di cambiare ritmo di gioco"
La chiamano sindrome del 21 per cento. Riguarda i sondaggi e investe il Pd. Da mesi ormai, dopo le europee, il partito di Elly Schlein si trova a fare i conti con rilevazioni (per natura non infallibili, certo) che segnalano però un galleggiamento. Il distacco tra il Pd e Fratelli d’Italia è solido e invariato. Virgola più virgola meno, mezzo punto di qua o mezzo punto di là, alla fine la forbice, tra Elly e Giorgia, risulta essere sempre di otto punti. Riflette Lorenzo Pregliasco, fondatore di Quorum e Youtrend: “Il Pd ha un pavimento, come si dice in America, che si aggira tra il 18 e il 20 per cento, calpestato da elettori che lo votano comunque, anche per inerzia”. Questo scenario per Schlein è un limite o un’occasione? Se si pone la domanda ai fedelissimi della segretaria viene offerta una risposta molto più ottimistica, ovvio. Del tipo: abbiamo preso un partito al 19 nel 2022, lo abbiamo portato al 24 due anni dopo, il meglio deve ancora venire. Ma sarà davvero così?
Lorenzo Pregliasco, che non ha ambizioni da controcanto ma che nella vita studia flussi e numeri dalla testa dura, sposa solo una parte di questo ragionamento made in Nazareno: “Di sicuro, rispetto a Enrico Letta, il segretario che l’ha preceduta, Schlein è riuscita a movimentare il consenso, soprattutto all’inizio. Ma visto da fuori il Pd appare come un partito poco elastico, non in grado di rompere gli schemi di gioco né il ritmo”.
In effetti il M5s, se si tolgono dal campo le europee, non è stato cannibalizzato. Nei sondaggi il partito di Giuseppe Conte è dato stabilmente e con agio in doppia cifra. E anche Avs ormai è una realtà consolidata sopra il 5 per cento. C’è troppa sinistra a sinistra e chi dovrebbe trainare – il Pd – con una posizione più tonda non lo fa? Al Nazareno, dove i sondaggi sono attesi tutte le settimane con una giusta ansia, ribaltano ancora questi pensieri spiegando che nelle elezioni locali il Pd spesso e volentieri risulta essere il primo partito, e questo dunque, per quelli del Pd, dovrebbe essere un elemento su cui ben sperare. In generale notano un po’ tutti i sondaggisti, anche chi non vuole apparire, è convinzione diffusa che ormai sia difficile se non impossibile sparigliare e fare impennare un trend verso numeri importanti. Un po’ come fece, dall’opposizione, proprio Fratelli d’Italia, protagonista di una cavalcata delle percentuali che alla fine, dal 2018 a oggi, ha portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. E così intanto tutto sembra restare immutato, basta dare un’occhiata all’ultima Supermedia, elaborata da Youtrend e rilanciata dall’agenzia Agi. Ecco le sensazioni sul piatto FdI 29,8 (+0,6), Pd 21,8 (+0,1) M5S 13,0 (-0,5) Forza Italia 8,6 (-0,1) Lega 8,5 (+0,1) Verdi/Sinistra 6,7 (+0,4) Azione 3,6 (+0,6) Italia Viva 2,2 (-0,1) +Europa 1,8 (-0,3) Noi Moderati 1. C’è in generale una leggera rassegnazione nel gruppo dirigente che ha vissuto tante epoche nel Pd. Quelle che fecero dire a Pier Luigi Bersani di non aver vinto le elezioni con il 25,4 (con una coalizione al 29 e passa), che videro brindare al 41 di Renzi alle europee del 2014, fino ai risultati poco sexy delle politiche del 2018 sempre Renzi e quelle poi del 2022 di Letta. In mezzo la parentesi di Nicola Zingaretti alle europee del 2019 con il 22,7. Intanto gli scienziati dem che consigliano Schlein si domandano: come possiamo far scattare la fase due dopo le regionali? Meglio che cresca in maniera forte solo il Pd allargandosi al centro o a questo punto è facile appaltare la faccenda alla casa dei riformisti? Il dubbio rimane, la sindrome del 21 pure.
