Il racconto

Vannacci è "lo straniero" di Pontida. La Lega fa muro. Salvini alla vodka: "Mai soldati in Ucraina"

Carmelo Caruso

Zaia fa l'anti Vannacci e difende il Veneto, Giorgetti copre Salvini ("le gerarchie si rispettano") il genarale non vannaccizza Pontida ma sbraca "X Mas a scuola" e "remigrazione". Salvini putineggia e fa la vittima: "Le tv contro di noi"

Pontida, dal nostro inviato. Ora è straniero a casa sua, Vannacci di soggiorno. La Lega fa muro. Non passa. E’ generale ma non è il “capo”. Giancarlo Giorgetti è l’anticorpo, Luca Zaia è il vaccino, Silvia Sardone lo surclassa con “remigrazione, remigrazione”, mentre Salvini sogna il Cremlino: “Non manderemo mai i nostri figli in Ucraina. Non siamo in guerra contro nessuno”. Venezia si è spostata a Pontida. I cori sono per il Doge, Zaia, l’anti Vannacci, che difende il Veneto perché “non è lesa maestà chiederlo, se il candidato non sarà un leghista sarà un problema” e che ricorda al generale: “Le regole si rispettano. Vannacci si deve leghizzare se vuole stare in Lega”.

 

Pontidacci è durata un giorno, il sabato della birreria, delle bestemmie contro Allah, dei cori contro il mondo. Pontida non cade. Giorgetti la difende come Lepanto. La vicesegretaria Sardone si prende i titoli quando urla: “Io non voglio che il popolo di Pontida venga sostituito da quattro mao mao”. Vannacci deve recuperare in corsa e sbraca: “Insegniamo il giuramento della X Mas a scuola”. Si tengono Salvini, che fa il mezzo Vannacci, il Calimero, lui che ha quattro giornali d’area, la Rai in condivisione con Meloni, ma che lamenta: “Altri partiti avranno più soldi e poteri finanziari alle spalle, amici potenti e tv serventi, ma non hanno voi. Voi siete la forza della Lega”. Vannacci è adesso l’Étranger, lo straniero. E’ un fenomeno comunicativo, ma non converte l’umanità padana, lo ascoltano ma non lo osannano neppure quando si esalta con “lo straniero ruba e stupra”. La polenta batte le Decime e Salvini riceve la carezza del “miglior ministro dell’economia del mondo”, il vice padre della Lega, l’uomo che la accompagnerà anche con la carrozzina, come Bossi, dopo Bossi. E’ Giorgetti che si carica, sulle spalle, Salvini e che zittisce il pratone con la disciplina di partito dicendo: “Possiamo sopravvivere solo se abbiamo presenti i valori di un movimento, possiamo sopravvivere soltanto se abbiamo un capo e ci vuole rispetto per la gerarchia altrimenti finiremo come tutti gli altri”. Obbedire, combattere, ma per Salvini, Salvinacci.

 

Non c’è Predappio e non è la dacia del generale perché nota Sammy Varin, la voce di Radio Libertà, il Renzo Arbore della vecchia Radio Padania, “i leghisti si alzano presto, all’alba. Vannacci? Mi sembra che il popolo del generale dorma ancora. Il generale è compatibile con la Lega ma questa ossessione delle Decime deve finire”. Sembra di stare nello Utah di Charlie Kirk: magliette di Kirk, video di Kirk, silenzio per Kirk. Manca l’elfo padano che ogni anno era il folletto amato, il vecchio nonno a cui si chiedeva la foto, ma al suo posto c’è Sergio Copetti con un carroccio di cartapesta. Sono fuggiti gli aiutanti di campo di Vannacci e i leghisti toscani se ne tengono a distanza perché il generale, da sapiente politico, ha preso tutti per il naso. Ha dichiarato alle agenzie che in “Toscana le liste sono state approvate dal direttivo regionale” ma non risulta a nessuno questa approvazione. Imbroglia. E’ ormai un altro.

 

L’anno scorso, da non tesserato, camminava per Pontida come se avesse il frac, impacciato, mentre quest’anno sbevazza come se fosse in un pub irlandese, strappa i biglietti negli stand, offre salamelle timbrate Vannacci e canta “Generale” senza fermarsi, “neanche per pisciare”. Ha avuto un merito. Li ha svegliati. Attilio Fontana, il signor “col cazzo, che ci vannaccizziamo”, lo incontra, ci parla (dice: “Tutto chiarito”) ma sul palco si scatena contro Roma, di fatto il suo governo, contro “il potere centralistico”, contro “la burocrazia romana, la palude romana che rallenta il lavoro di Calderoli”. L’unico striscione pro Vannacci è questo: “Inutile prendersela con il generale dopo aver tradito ogni ideale” ma i leghisti coprono Vannacci con i panni della vecchia militanza, come consiglia Giorgetti, “alzate le bandiere”, lo oscurano con le maglie distribuite gratuitamente “Salvini numero 10”. Vannacci? E’ trattato come un immigrato di lusso, a cui è stato rilasciato il permesso temporaneo, di soggiorno da Salvini. Zaia gli dà ripetizioni di filosofia: “La tua libertà finisce dove inizia la mia”. Fino a quando, Vannacci, potrà continuare a non versare i contributi alla Lega e fare il vicesegretario Lega? Spiega Luca Toccalini, il leader della giovanile che ha assemblato davvero un movimento da far invidia al Pd, almeno per numero: “Guardate che state sbagliando. Vannacci funziona, funziona nelle scuole, funziona come funziona Nicola Fratoianni”. Vicino allo stand delle birre, l’allievo di Paolo Savona, l’economista Antonio Maria Rinaldi, è un altro dei pragmatici: “I partiti si evolvono, Vannacci è un’evoluzione Lega. Ed è bravo a farsi pompare dalla stampa”. Ma si sa anche muovere sul palco. Prende la parola dopo Claudio Durigon, eroico, senza voce, e comincia a danzare, con il microfono in mano. Si studia perfino il giuramento della Lega per calarsi nella parte, cita Manzoni, e poi, sceso dal palco, si ubriaca di Decima: “Il giuramento di Pontida, che sancì la nascita della Lega lombarda, andrebbe studiato nelle scuole così come tante altre cose. Come gli eroi della X mas”. Niente. Non ce la fa. La Decima la indossa come fossero mutandoni. Gioca con l’altra vice Sardone a chi è più radicale contro gli islamici e la sinistra. Vannacci si inventa “sono loro, quelli di sinistra, che non vogliono far servire il prosciutto nelle scuole” e Sardone lo precede con: “I comunisti sono analfabeti della libertà. Ci siamo rotti i coglioni. L’Islam radicale è la spada che usa la sinistra per tagliare la testa dell’occidente” e infine: “Dobbiamo mandarli a casa sì o no? Sì o no?”. E il pratone, coro: “Sììììì”. Ma è scena, è “circo”, direbbe Giorgetti. Alberto Stefani, il candidato in Veneto che si sta sciogliendo al sole, dall’attesa, viene già eletto governatore, per applausi, perché la Lega ha bisogno di amministrare, comuni, province che poi significano posti nelle partecipate, stipendi che si traducono in piccolo potere locale.

 

Si tengono ancora Salvini che annuncia una grande manifestazione per il 14 febbraio “in difesa dell’occidente, delle libertà”, come a Londra, Salvini che ricorda Silvio Berlusconi (ce l’ha con Mediaset quando parla di “tv serventi”) Salvini che vota per le armi ma che urla a Pontida: “Non al debito europeo per comprare le armi, non dobbiamo andare in guerra contro la Russia, ma fare la guerra ai delinquenti”, e che vorrebbe fare come Brecht con le banche: “Invece di guadagnare 46 miliardi per distribuire i dividendi, ne guadagneranno 42 e non credo che avranno difficoltà a fare la spesa”. Chiede che ogni sede Lega diventi sede di raccolta firme per il sì referendum. Si salva ancora, resta capo, ma è il primo a sapere che Vannacci non è compatibile con la Lega e che l’idea di farlo diventare uno speaker di partito è un’illusione. No. Non è compatibile con il governo, non è compatibile questa sua naturale ambizione. L’unico merito di Vannacci è aver mostrato che nella Lega c’è un capo che salva il capo. Pontida non è caduta solo per le parole di Giorgetti: “Noi non siamo come gli altri. Ci vuole rispetto per la gerarchia. Noi abbiamo un capo”. Vannacci è un’intuizione di Salvini, ma Salvini è l’intuizione che ebbero i vecchi leghisti. Passerà, un giorno, passerà. Non è Salvini che resta. Dopo Bossi resterà questa figura a cui una comunità riconosce il potere delle disposizioni ultime, l’ayatollah della Lega. L’ampolla del Po è nella dispensa di Giorgetti.

 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio