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Perché la separazione delle carriere era fondamentale per il governo Meloni

Claudio Cerasa

Da anni, i governi di centrodestra promettono di rendere le carriere dei giudici più autonome rispetto a quelle dei pubblici ministeri e da anni tutti i governi che provano ad andare in quella direzione trovano un ostacolo sulla propria strada. Questa volta ci sono riusciti. Ma c'è altro

La notizia politicamente più rilevante della settimana è senz’altro quella che ha coinvolto la Camera dei deputati lo scorso giovedì, con il via libera in terza lettura alla riforma con la quale il governo intende separare le carriere. La riforma è diventata centrale per la maggioranza di centrodestra per ragioni politiche, tattiche e culturali. La ragione politica è evidente: da anni, i governi di centrodestra promettono di rendere le carriere dei giudici più autonome rispetto a quelle dei pubblici ministeri e da anni tutti i governi che provano ad andare in quella direzione trovano un ostacolo sulla propria strada, e molto spesso quell’ostacolo coincide con una qualche e tempestiva inchiesta della magistratura con la quale il governo desideroso di riformare la giustizia viene fatalmente colpito. La ragione tattica è ugualmente importante: la giustizia, agli occhi di Meloni, è diventata l’unica grande riforma spendibile elettoralmente, più del premierato, più dell’autonomia. La volontà di accelerare su questo terreno è legato anche al fatto che il governo scommette sulla possibilità di poter celebrare un referendum di successo prima delle politiche, rimandando a dopo le elezioni referendum più scivolosi, come quello per esempio sul premierato. La terza ragione è culturale e coincide con una domanda alla quale è necessario rispondere quando si ragiona sui temi del governo: meglio una riforma imperfetta che cerca di cambiare uno status quo all’interno del quale la terzietá del giudice è messa in discussione da una centralità eccessiva dei pm o meglio fare di tutto per tutelare uno status quo che ha smesso di offrire garanzie di indipendenza da tempo? Rispondere alla domanda non dovrebbe essere così difficile.

    


    

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.