
Ansa
Il racconto
Meloni la schietta. E' contro l'occupazione di Gaza, rilancia la riforma della Giustizia. Tajani e Salvini litigano
Ad Ancona, con i leader di Forza Italia e Lega, lancia la volata ad Acquaroli. Attacca giudici e sinistra, difende il suo governo. Uniti ma divisi su Russia e banche. La soluzione pensata dalla premier per il Veneto
E’ una cronaca “balorda”. Mosca-Ancona. Insieme per le Marche, divisi dalla Russia. Meloni fa “la schietta”, dice: “Ce la stiamo mettendo tutta. Siamo credibili, affidabili e schietti”. Si scattano la foto, ad Ancona, con Francesco Acquaroli, candidato marchigiano, ma Salvini abbraccia ambasciatori russi, Tajani è sotto attacco di Salvini (al Federale la Lega dice: “Non vuole tassare le banche perché ha interessi a cui rispondere”). Non ce la fa. E’ Salvinacci. Promette un decreto immigrazione. Ruba il mestiere, ancora, al ministro Piantedosi perché “immigrati ce ne sono troppi, ci sono troppi balordi in giro”. Tajani sale sul palco e propone “pagare tutti per pagare meno” ed è gelo. Salvini rilancia con un minuto di silenzio per Charlie Kirk. Poi è solo Meloni, il “Giorgia la schietta show”.
Si supera, torna in versione yo soy Giorgia, nasconde Salvini, le sue sparate vannacciane. Ripete: “Io non sono ricattabile”. Dice Meloni dal palco, insieme agli alleati: “I giudici politicizzati che vogliono sostituirsi al governo della nazione non ce la faranno” e poi “porteremo a casa la riforma della magistratura, se la confermerete con il referendum, perché serve”. Si scatena perché adesso è convinta, dice FdI: “Nelle Marche si vince, si vince”. Ringrazia la piazza, fa spirito sui giornali: “Scrivono che ci lanciamo i cartocetti fra alleati. Ebbene, fatevene una ragione: continueremo a stare insieme, lo facciamo da trent’anni e non perché siamo costretti ma perché vogliamo stare insieme”. Una giornata da ordalia salviniana si spegne a sera con Meloni. La premier, la schietta spiega: “Siamo fieri della civiltà da cui proveniamo, sono quei valori che possono aiutarci. E’ questo che fa innervosire gli avversari”. La fermano i sostenitori: “Grazie, Giorgia”, e lei: “Grazie a te, Tesoro”. Cita il Telegraph: “Arrancavamo e oggi siamo noi in testa a dare il passo”. Poi passa alla politica estera: “Hamas si rifiuta ancora di liberare ostaggi, ma la reazione di Israele è sproporzionata”. La scelta di occupare Gaza City? “Non la possiamo condividere”. Difende i tre anni di provvedimenti, “spread ai minimi da 15 anni”, parla di libertà: “Ci accusano di voler reprimere il dissenso ma sono loro, la sinistra, che vogliono mettere a tacere le voci non gradite. Non c’è nessuno che in Italia è soggetto a frasi d’odio come la sottoscritta. Io non ho mai usato quei toni”. Cita l’episodio ignobile di Genova, quel consigliere comunale del Pd che ha dichiarato, alla collega di FdI: “Vi abbiamo già appeso una volta”. Predica calma, ma è un attimo, perché, “c’è un business dell’odio. Io non mi faccio dare lezioni di morale da chi vende libri o biglietti dei suoi spettacoli”. Bene tutto, è campagna elettorale. Meloni, voto 10. Ma ora i “cartocetti”.
Tajani spaesato fa il centrista: “Dobbiamo trovare i voti al centro del centro sinistra. Ci sono troppi cattivi maestri. Abbassiamo i toni. Non siamo complici di nessun genocidio, siamo persone perbene”. Ma non è Salvini che si sbaciucchia i russi che bombardano l’Ucraina? Non è Salvini che lo attacca sulle banche e che ripropone l’equazione immigrati=balordi? Da due giorni si è messo in testa che a Pontida bisogna parlare di Charlie Kirk, “che tutti noi, al governo, siamo potenziali Kirk”. Non è la stampa che lancia “cartocetti”. Sentite FdI, dopo aver visto la foto di Salvini abbracciare l’ambasciatore russo: “Salvini ripete le stesse frasi di Vannacci, ma alla Camera vota come vuole Meloni”. E sta rischiando. A Pontida è certo che non sventolerà l’autonomia e neppure la candidatura di Alberto Stefani. Sta maturando sul serio, nella testa di Meloni, con il sì di Salvini, questa soluzione, ritenuta fino a pochi settimane fa un cartocetto dei giornalisti: spostare il presidente Lorenzo Fontana dalla Camera al Veneto, far eleggere Riccardo Molinari (c’è anche questo ulteriore cartocetto: o Molinari o Giancarlo Giorgetti). Pensa Salvini: “Sostituisco un capogruppo”. Un possibile rivale. Un altro ancora. Pensa Meloni: come faccio a spiegare che il mio segretario in Veneto, Luca De Carlo, viene scavalcato, da un ragazzo di 32 anni? Fontana ormai non è un leghista, ma un’“istituzione”. Detto con schiettezza: dopo le Marche, Meloni deciderà una volta per sempre come si sta a tavola con la Lega, se è ancora accettabile farsi dire dalla Lega: “vogliamo il Veneto, la Lombardia e anche il Friuli Venezia Giulia”. Ma questi sono solo piccoli cartocetti. A destra vale sempre una regola: si accarezzano a colpi di schiaffi, ma la sinistra è la loro colla.