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L'intervista

Guido Crosetto: "Salvini esulta contro Macron? Se la Francia è instabile, l'Italia non ha da gioire"

Ginevra Leganza

Il ministro della Difesa spiega perché la caduta del governo Bayrou e la precarietà della politica francese hanno un impatto negativo sull'ecosistema economico europeo 

Se Salvini gioisce, Crosetto non ride. L’idea, infatti, è di star tutti sulla stessa barca o, data la cornice, su una Zattera della Medusa. E se dunque il vicepremier leghista esulta  – “Ennesima bocciatura per Macron!”–  il ministro della Difesa spiega al Foglio perché “l’instabilità francese può avere invece un impatto enorme”. 

“L’instabilità francese può avere un grande impatto”, spiega Guido Crosetto. Anche sull’economia italiana. 

Da più di ventiquattr’ore, a Roma, si parla d’italianizzazione della Francia. Il governo di François Bayrou è caduto, un sorriso alligna tra la componente leghista del governo Meloni, e l’instabilità politica tipicamente cisalpina sembra oramai riguardare Parigi ben più di Roma. 

Ministro Guido Crosetto, ma davvero la precarietà  politica francese non ha alcun riverbero sulla politica interna? Davvero l’Italia beneficia della disfatta altrui?

“No, ovviamente l’Italia non ne beneficia. Ma è soprattutto l’instabilità finanziaria francese che può avere un contraccolpo sull’ecosistema economico europeo”. Instabilità finanziaria che consegue, appunto, al disordine politico. 

“Il motivo per cui gli spread francesi ancora non esplodono – spiega Crosetto – è la protezione offerta dalla Bce, in particolare attraverso lo strumento anti-frammentazione, il Transmission Protection Instrument (Tpi). Nessun investitore vuole acquistare titoli francesi rischiando di essere travolto da un intervento improvviso della Bce. Ma non esistono pasti gratis”. In che senso? “Il Tpi consente di contenere gli spread tra i paesi dell’eurozona, non di tenere sotto controllo i tassi di lungo termine complessivi nel lungo periodo. Se la Francia deraglia verso livelli di debito insostenibili e la Germania smette di essere l’ancora di stabilità fiscale, i rendimenti a lungo termine inevitabilmente saliranno”. 

L’aumento del debito francese rischia dunque di cambiare la percezione del rischio sull’Europa in generale. D’altra parte, la crisi politica può far peggiorare la gestione dei conti pubblici, e posticipare la mitigazione del rischio finanziario da parte del governo francese. A Francoforte il whatever it takes è ancora valido?

“Già oggi nel board della Bce si notano fratture profonde: i membri parlano sempre più come rappresentanti degli interessi finanziari nazionali, non come custodi della stabilità europea. Ciò rende più difficile difendere in modo credibile l’obiettivo del 2 per cento d’inflazione se le misure necessarie per raggiungerlo rischiano di destabilizzare paesi di grandi dimensioni”.

Può fare un esempio concreto?

“Il Tpi è come lo scoiattolo dell’Era Glaciale, che cerca disperatamente di tappare le crepe di un iceberg con mani e piedi. Può fermare un attacco speculativo su un singolo paese, ma non può impedire la rivalutazione complessiva del debito europeo”. 

I mercati europei sono già scossi, poi, dalle mosse fiscali di Washington.

“Sì. Negli Stati Uniti, i rendimenti a lungo termine sono già saliti dopo la bocciatura da parte dei mercati della One Big Beautiful Bill di Donald Trump. Per finanziare la gigantesca espansione fiscale, Trump ha trasformato i dazi in una nuova forma di tassazione, un flusso di risorse dal resto del mondo verso gli Usa. Questo, indirettamente, aumenta il rischio fiscale europeo soprattutto considerato il fatto che la Fed varerà alla fine, a mio avviso, il controllo della curva dei rendimenti”.

Perciò siamo alle prese con un ordito che la crisi politica francese rende ancora più preoccupante?

“Altroché. L’opinione pubblica magari non si aspetta una crisi ‘classica’ del debito, come nel 2010-2012, ma il vero pericolo è una crisi del debito di lungo termine, in cui le banche centrali forniscono liquidità agli stati sacrificando la stabilità dei prezzi”.

Di nuovo, italianizzazione della Francia: c’è poco di cui gioire, o no? Che scenario si apre?  

“Questo è esattamente ciò che mi aspetto: con bilanci pubblici sotto pressione per spese militari, transizione climatica, invecchiamento demografico e assenza di riforme strutturali, i deficit tenderanno a crescere ovunque”. Se Parigi piange, Roma non ride.