Giorgia Meloni (foto LaPresse)

L'editoriale del direttore

Fratelli di Balena. Perché il centrismo di Meloni è una delle novità più spiazzanti della politica italiana

Claudio Cerasa

Ideologia e pragmatismo. Da quando è arrivata al governo, la premier è stata travolta dalla realtà e la necessità di costruire compromessi non solo tra i partiti della sua coalizione ma anche tra le ambizioni del passato e le necessità del presente l’hanno portata a smussare gli angoli della sua azione politica

Fratelli d’Italia o fratelli di Balena? Nel panorama soporifero della politica italiana vi è da tempo un fenomeno importante e sottovalutato che imbarazza simmetricamente tanto gli osservatori di sinistra quanto quelli di destra e che ha trasformato quello che anni fa appariva come un ossimoro un elemento concreto della vita dei partiti. Le due parole, apparentemente inconciliabili, apparse ieri di fronte agli occhi di molti durante il discorso fatto dalla premier al Meeting di Rimini, sono queste. La prima è “centrismo” e la seconda è “Meloni”. E l’insieme di queste due parole, apparentemente incompatibili, spiega alcuni fenomeni interessanti della politica italiana.

Da quando è arrivata al governo, Meloni, lo abbiamo raccontato più volte, è stata travolta dalla realtà e la necessità di costruire compromessi non solo tra i partiti della sua coalizione ma anche tra le ambizioni del passato e le necessità del presente l’hanno portata a smussare gli angoli della sua azione politica. Il centrismo di contenimento adottato per molti mesi da Meloni, supportato anche da un tratto di prudenza nella gestione dei conti pubblici e da una volontà politica di non impelagarsi in riforme divisive, ha prodotto nel corso dei mesi anche risultati inaspettati, come la stabilità dei consensi al partito guidato da Meloni. E così, in modo silenzioso, quella che appariva essere una strategia difensiva si è trasformata in una strategia d’attacco. C’è da scegliere una figura per rappresentare l’Italia a Bruxelles? Nessun dubbio: spazio alla democristianeria di Raffaele Fitto. C’è da scegliere se scommettere o no su una riforma divisiva come il premierato e una riforma politicamente meno divisiva come quella sulla giustizia? Nessun dubbio: niente traumi e giustizia tutta la vita. Buona parte del merito del centrismo meloniano, ossimoro interessante, è stato legato alla politica del non, e ancora oggi in una certa misura è così. 

 

Meloni non è centrista, ma lo è diventata, per forza di cose, grazie al suo essere molto diversa dall’estremismo di destra modello Salvini e dall’estremismo gruppettaro modello Schlein. Per una lunga fase, il movimento di Meloni verso il centro è stato di risulta, frutto di movimenti altrui, frutto del suo “non essere” più che del suo essere. Negli ultimi tempi però il fenomeno del centrismo meloniano ha assunto caratteri e caratteristiche diversi, spingendo lentamente il proprio partito, Fratelli d’Italia, verso una stagione da Fratelli di Balena (bianca naturalmente). Nelle ultime settimane, con alcuni colpi di biliardo, prima Meloni ha fatto l’occhiolino a un pezzo di elettorato abbandonato dalla sinistra, o in fuga se volete, con la scelta dell’ex segretario della Cisl, Luigi Sbarra, come sottosegretario al Sud, e il rapporto speciale con la Cisl, sono stati le spie di una volontà esplicita da parte di Meloni: fare qualche mossa per provare ad allargare il perimetro del proprio consenso, cercando di attingere anche al mondo centrista. E dopo Sbarra, altro colpetto di biliardo, ecco la mano tesa al mondo autonomista della Svp, la Südtiroler Volkspartei, con cui nel passato costruirono rapporti speciali alcuni grandi leader della Balena bianca: da Moro a Fanfani passando per Forlani, Andreotti e De Mita. Piccole storie, certo, che si coniugano con un tentativo, quotidiano, di dividere il meno possibile, quando si governa, e di coltivare tratti identitari più con le parole, le affermazioni, l’anti wokismo, che con i fatti, con le scelte pesanti. Il centrismo che prima Meloni subiva, che considerava come un effetto indiretto degli errori altrui, è diventato nel corso del tempo, per la premier, un elemento a cui tendere, con cui provare a dare un futuro e una dimensione diversa a quella forma di populismo tecnocratico che da mesi affascina gli osservatori di destra e di sinistra in Europa (non a caso da mesi i conservatori e le destre di mezza Europa, dal Regno Unito alla Francia, vedono nella destra di Meloni, sanguigna all’interno, rassicurante all’esterno, come un modello a cui ispirarsi).

C’è chi dice, e chi spera, che il centrismo di Meloni possa spingere FdI ad avvicinarsi al Ppe, anche in considerazione del fatto che un grande partito italiano per contare in Europa ha bisogno di far parte di un grande gruppo europeo, e più si allontana dai grandi gruppi e più rischia di essere irrilevante. C’è chi questo passaggio lo teorizza, come Raffaele Fitto, commissario europeo. C’è chi lo considera inevitabile, come Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura. C’è chi lo considera doveroso, come il vicepresidente meloniano del Friuli Venezia Giulia, Mario Anzil, che proprio su questo giornale ha detto giorni fa di volere “FdI  verso il Ppe”.

Ma alla fine dei conti quel passaggio, che chissà quando arriverà, se arriverà, è nei fatti. E il fenomeno inaspettato del centrismo meloniano – fenomeno che magicamente non si sovrappone al centrismo di Forza Italia, e che al momento appare esserne complementare – spiega bene la ragione per cui Fratelli d’Italia in Europa è diventato sempre più mainstream e sempre più in sintonia con il partito di Ursula von der Leyen e Roberta Metsola, entrambe molto legate a Meloni. Con il Ppe, negli ultimi mesi, FdI ha votato non solo la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ma anche molti provvedimenti europeisti, e dunque centristi. Il piano per il Riarmo. L’implementazione dei 50  miliardi di euro per il sostegno all’Ucraina. L’approvazione dei meccanismi di condizionalità sul bilancio dell’Unione europea. L’approvazione di un pacchetto assistenziale su armi e fondi per l’Ucraina. Il centrismo di Meloni, fino a poco tempo fa, era un effetto degli errori dei suoi alleati e dei suoi avversari. Oggi appare essere invece una scelta se non di campo quanto meno di metà campo, perché le svolte centriste di Meloni vengono spesso bilanciate da provvedimenti, annunci e narrazioni che non hanno nulla di centrista (vedi il recente voto sul pacchetto sulla sicurezza, costruito a colpi non di buon senso centrista ma di populismo penale) ma accanto ai provvedimenti ideologici vi è la ricerca costante, minuziosa, di dividere a parole, con la narrazione, ma non con i fatti, e la trasformazione della stabilità nell’elemento centrale della narrazione di governo, come testimoniato anche dalla volontà di fare dell’affidabilità sui conti un elemento costante dell’identità del governo, è quanto di più simile ci possa essere alla migliore agenda democristiana del passato (almeno a parole, siamo tra “la democrazia ha bisogno di stabilità come condizione della libertà” di De Gasperi e il “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia” di Giulio Andreotti). Fratelli d’Italia o Fratelli di Balena? Il centrismo di Meloni da ossimoro politico è diventato una delle novità più interessanti della politica italiana. Le contraddizioni restano, e sono tante, ma la formula a matriosca c’è.

E’ un mimetismo politico: identità forte, realismo istituzionale, con un involucro ideologico fuori e un contenuto pragmatico dentro. Fratelli d’Italia sì, Balena bianca chissà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.