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il colloquio

L'altra pasta della Marche. Massimo Mancini: “La conoscenza, poi le strade”

Manuel Orazi

"Creiamo attrattività nonostante tutto”, dice l'imprenditore agricolo, che scommette su filiera corta e identità agricola per dare futuro a un territorio fuori dai grandi circuiti

“Per carità, le strade, l’aeroporto e le stazioni sarebbe importante avercele in sesto specie perché vogliamo investire sull’hospitality ovvero sulla conoscenza diretta della nostra realtà, ma chi come noi lavora per la creazione di valore lavora per attrarre pubblico nonostante ogni forma di ostacolo. Pensi a ristoranti unici al mondo come Nico Romito, perso nell’Appennino abruzzese, o a certe cantine toscane sperdute: non importa quanto sia difficile arrivarci lungo strade imbrecciate, la gente ci arriverà comunque”. Massimo Mancini, classe 1968, dopo una formazione come agronomo, nel 2009 ha avviato Pasta Mancini produttrice di pasta di alta qualità ad essiccazione naturale con sede a Monte San Pietrangeli, incantato borgo in provincia di Fermo all’interno del distretto calzaturiero (sono nati qui ad esempio Nero Giardini, Pellami Due C e altri terzisti). Anche Mancini proviene da questa realtà con un percorso tipico: nonno Mariano contadino (a lui è dedicata una linea specifica di produzione, i grani antichi), papà Giuseppe impegnato nei campi e nel settore della pelletteria per calzature, mentre Massimo si è laureato all’Università di Bologna sognando di lavorare alla Barilla finendo col divenire un concorrente: “In realtà noi non siamo concorrenti dei 140 industriali perché la nostra produzione è appena lo 0,9% di quella italiana ovvero circa 3,7 milioni di tonnellate annue, la nostra è appena di 2,7 mila tonnellate nel 2024 anche se quest’anno speriamo di superarla arrivando a tremila. Allo stesso modo non considero concorrenti chi fa pasta fresca o all’uovo che di fatto è un altro mestiere. Ciò che ci distingue da tutti è che noi lavoriamo solo il grano duro che coltiviamo direttamente avendo così il controllo totale sulla produzione e perciò della qualità, mettendoci nome e cognome”.


Visto che le vecchie care imprese del passato industriale eroico nel frattempo sono state tutte vendute agli stranieri (Merloni/Indesit, iGuzzini, Poltrona Frau, Benelli, ecc.), nella campagna elettorale della Regione Marche sarebbe il caso di occuparsi delle poche nuove sorte di recente. Dunque Mancini, lei capovolge l’idea secondo la quale se si fanno le infrastrutture le attività arriveranno… “Mah, penso che sia importante creare valore, nel mio caso alla pasta di alta qualità mentre in Italia è ancora considerata una merce qualsiasi nonostante siamo il primo paese produttore al mondo”.  Cosa bisognerebbe fare allora? “Informazione e conoscenza, da studente Erasmus e poi nel mio Mba ho imparato dai francesi quanto il marketing sia importante, parlo di conoscenza pubblica e non accademica pensi ad esempio al grande lavoro fatto in questi anni sul vino in termini di guide, corsi da sommelier, programmi divulgativi, viaggi organizzati con degustazioni, oggi tutti sanno cos’è un Montepulciano o un Verdicchio (giusto ieri è morto Ampelio Bucci) e mentre nessuno sa cosa sia Senatore Cappelli o Gentil Rosso. Le Marche sono una piccola regione ma terza per produzione (13% circa del totale nazionale) dopo Sicilia e Puglia, grazie anche a figure come il genetista Nazareno Strampelli, grazie anche a lui nel nostro territorio abbiamo centri di ricerca ottimi come il Cermis all’Abbadia di Fiastra e la Società sementiera Cgs”. E i dazi? “Non sono chiari gli esiti, chi fa prodotto di qualità è meno impensierito anche perché per ora sono gli importatori ad assorbirne l’impatto, ma di certo non sono un fenomeno positivo”. Per chiudere, per chi voterà alle regionali? “Sinceramente non lo so ancora e vorrei evitare l’argomento”.

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