Il racconto

Pippo Baudo è già il "Garibaldi bianco" di Militello. La camera ardente diventa il suo festival

Carmelo Caruso

Da Tajani a Veltroni, da Fiorello a Morandi, tv e politica si inchina al conduttore Rai e si propone già di titolargli teatri e cavalli. L'ad Rai, Rossi: "La sua una grande storia d'amore con la tv di stato"

Le chiese, Garibaldi e Pippo Baudo. In vita era “Pippo nazionale” ma da morto è già il “Garibaldi bianco di Militello”. Accadrà presto, accadrà. Vedrete. Inizieranno a celebrarlo, esagerando, con le targhe, le statue, e anche nel paesino più sperduto d’Italia si leggerà: “Qui ha soggiornato Pippo Baudo, scopritore di talenti, il Baudo dei due mondi: l’alto e il basso”. Anche da morto regala alla Rai il Baudo vivo e perfino la bara, al Teatro delle Vittorie, con le rose rosse, sembra la sua televisione, la sua Rai, la scatola magica, che la mamma di Baudo, a Catania, copriva con una copertina “così non prende freddo”.

 

È entrato nella testa della nazione, nelle ninne nanne del trombettista Felice Carella che ricorda: “In famiglia mi dicevano: ‘Felice, se fai il bravo arriva Pippo Baudo’. Era di casa”. Se ne va in questo agosto senza pace, se ne va in agosto perché in Rai i grandi se ne vanno in agosto (lui, Ettore Bernabei, Piero Angela) il lutto come amore definitivo, il funerale che riempie il palinsesto di una televisione disprezzata, processata, dove tutti alla fine sognano di lavorare. Vengono a salutarlo Antonio Tajani, Walter Veltroni, Gianni Letta e non si esclude che a Militello, domani, per il funerale, possa volare anche Sergio Mattarella. Per un giorno intero resta in piedi, a vegliarlo, Simona Agnes, la figlia di Biagio, che siede nel cda Rai, la mancata presidente che mai come oggi meriterebbe di essere presidente. Il dg Rai, Roberto Sergio, si fa vanto di averlo premiato e conosciuto in “tempi lontanissimi”, mentre Edoardo Vianello, con la sua stampella, dice sorridendo: “Non mi ha scoperto lui, ma quanto bene ci siamo voluti e quante paste e fagioli abbiamo mangiato”. In una striscia di Roma, in via Col di Lana, in questo teatro che Lino Banfi propone già, “titoliamolo a Pippo”, Mediaset fa la diretta a braccetto con la Tgr, Mara Venier prende l’altro braccio, quello di Katia Ricciarelli, l’amore della vita, di Baudo, Katia che senza Pippo perde la voce. E’ il tappeto rosso del mondo piccolo ma è anche il lunghissimo Novecento di una tv  che ora si esaurisce sul serio e che, da Arbore a Pingitore, viene definita “irripetibile”, “impossibile”. Fiorello che fa toc toc sulla bara, come a svegliarlo, si inginocchia, e poi, ai giornalisti, spiega che “siamo presi dalla frenesia. Riguardavo i suoi programmi e mi sono chiesto dove stiamo andando. Era la televisione, la Rai dei monologhi lunghissimi, di 15 minuti, oggi basterebbe solo una sigla di cinque minuti e ti dicono: pazzo!”. E’ Fiorello, che era il suo scugnizzo, a suggerire di sostituire il Cavallo Rai con la statua di Baudo, Baudo a cavallo. Fanno già le primarie della “democrazia baudiana”, chi dopo lui, e il più accorto è Carlo Conti che si tira indietro: “Non scherziamo”. Giorgio Assumma, che era l’amico, l’avvocato, il fratello, dice che è vero: “Ultimamente era malinconico” e fa capire che il singhiozzo si era preso anche Baudo, come si prendeva Montanelli, Gassmann, “e però, so che ha chiesto la confessione, poi è morto nel sonno, si è addormentato come un bimbo”. 


Arde Roma, di caldo, ed è buia la camera, ardente, questa stanza dove sul muro campeggia “Grazie Pippo”, con il marchio della Rai, con le foto di Baudo con i baffi, Baudo a Sanremo, Baudo fra papaveri e papere. Dice la cantante Giorgia che più invecchiava e più Pippo si faceva “dolcissimo”, sempre più nonno, BiancoPippo, come i capelli che aveva smesso di tingere, bianchi come quelli di Mattarella, bianchi come il borotalco, il sale, lo zucchero, la cucina, insomma, casa. E’ la prima camera ardente festival, il vero Sanremo nell’estate in cui il comune di Sanremo vuole togliere alla Rai il marchio, e negozia, tratta con l’ad Rai, perché la musica ormai è un summit come in Alaska.

 

Alla spicciolata arrivano Gianni Morandi, Laura Pausini, Paola Turci, Ron, in serata Franco Carraro, Valeria Marini, e per tutti “è Pippo l’amico, Pippo il maestro”, il nome piuma della televisione. Esce dal teatro l’attrice Veronica Pivetti e rivela che Baudo era anche mezzo medico: “Avevamo lo stesso problema di salute. Una domenica sera lo chiamai alle 11 e mezza e lui mi rispose: ‘Ora ci penso io. Ti do il numero di telefono giusto’”. L’illusionista Giucas Casella ha perso la magia, Massimo Lopez rimpiange il “Baudo che fino alla fine mi correggeva e suggeriva”. Ciascuno ha il suo Baudo e sono tutti gioventù baudiana, tutti figli suoi, perché “l’ho inventato io” è ancora il Dop, l’origine protetta, per virtù, la spinta data al talento, le rotelle di Baudo al posto della raccomandazione pigra e svogliata.

 

Forse davvero avrebbe potuto assemblarlo Baudo questo benedetto partito di centro, il Terzo polo, la Democrazia baudiana, Baudo che, ricorda ancora il trombettista Felice, “aveva una cultura enciclopedica” e che con Fiorello non rinunciava a salutarsi alla siciliana, con la parola totalità: “Io gli dicevo ‘Suca’ e Pippo mi rispondeva: forte!”. Lo piange Lino Banfi, vestito di nero, che quasi si difende: “Sono un comico e dunque devo fare ridere, ma oggi non ci riesco. L’ultima volta che ci siamo visti ci siam detti: ci rivedremo, ma non ci siamo dati il luogo dell’appuntamento”. Arriva il vento, una folata, e un’ombra generosa ristora cronisti, fotografi, passanti, indiani metropolitani,  scoppiati dal sole che chiedono ai vip: “Ce famo la foto?”. Avrebbe sorriso anche Baudo di questa camera ardente che a tratti ricorda il circo di Fellini in “Otto e mezzo” e naturalmente avrebbe sorriso della retorica che si impenna  come la temperatura. Mancano solo i mangiafuoco, manca la sinistra, il Pd, ma per strada fanno notare che “per il comune di Roma è arrivata la vicesindaca e per tutti c’è Veltroni”. C’è l’allegria della scena, la sapienza, i professori alla Umberto Broccoli che si fa da parte: “Gli ero così vicino e gli ho voluto così bene che tengo per me il ricordo”.

 

Chiedono ad Assumma se “Baudo potesse fare l’avvocato” e Assumma racconta che l’accordo tra loro due era questo: “Se va male in tv vieni a fare l’avvocato con me. Sarebbe stato un ottimo penalista”. Accanto ad Assumma c’è la figlia che aggiunge: “Pippo guardava sempre meno tv. Lo incuriosiva Tommaso Cerno, lo voleva incontrare”. Anche loro, Baudo e Assumma, si sono trovati, quando l’Italia era tutta da rifare, quando, e lo dice sempre Assumma, “c’era la speranza. Tutto sarebbe stato più felice  rispetto a  quello che ci lasciavamo alle spalle. Io stesso avevo assistito a fucilazioni. C’era la voglia di costruire e poi c’erano i padri a cui poter dire: ‘papà, ce l’ho fatta. Hai visto?’. In via della Giuliana, dove Baudo aveva il suo studio, Pippo conservava ancora  la targa del padre avvocato”. Sì, sono tutti figli di Baudo, lo è Flavio Insinna che trova la frase: “Baudo mi ha insegnato a essere curioso ma soprattutto ad amare il talento degli altri”. Chi ama il talento degli altri, chi è cosi generoso? Chi ha amato la Rai come Baudo? L’ad Rai Giampaolo Rossi la paragona a “una grande storia d’amore. Baudo ha amato la Rai e per ritornarci si fece umile, piccolo. Non riusciva a stare lontano dalla Rai, una Rai che lo celebra e che non smetterà di farlo. E’ andato via, si  è spento alla  Baudo;  in prima serata, di sabato sera”. Gli vorranno dedicare tutti qualcosa ma solo lui ha dedicato alla Rai questi versi composti dall’amico Dino Verde: “Continuerò ad amarti zitto zitto / e non ti lascerò perché sta scritto: il primo amore non si scorda mai / quando l’amore tuo si chiama Rai”. 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio