
Il colloquio
“Trump e Putin vogliono fregare Zelensky. La Ue deve restargli vicino”. Parla il generale Camporini
L'ex capo di stato maggiore teme l'incontro di Ferragosto tra Trump e Putin: "Bene lo scatto d'orgoglio dell'Europa, ma alle parole dovranno seguire i fatti: se Kyiv vorrà continuare la guerra dovremmo aiutarla"
“Fra qualche giorno scopriremo che tipo di veleno è stato usato dall’amministrazione Trump nell’impasto per la polpetta da far inghiottire a Zelensky, e a noi europei”. Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore, è piuttosto preoccupato. “L’incontro di Ferragosto tra i leader di Usa e Russia – dice al Foglio – nasce sotto cattivi auspici: concordato nelle sue linee essenziali durante la visita di Witkoff, inviato speciale di Trump, a Mosca, dove è stato accolto e accompagnato da Kirill Dmitriev, secondo le parole del presidente americano servirà a formalizzare un accordo che prevederebbe ‘scambi territoriali’ tra Russia e Ucraina. E quali territori Mosca cederebbe a Kyiv? Forse parte di quelli ucraini che le forze russe sono riuscite, con gran fatica, a occupare fino a questo momento? Come se un ladro volesse guadagnarsi un salvacondotto restituendo parte della refurtiva, ma trattenendone la gran parte? Forse che Mosca sarebbe disponibile a rinunciare al corridoio di Melitopol che consente il collegamento via terra con la Crimea? E’ palese che non di ‘scambio’ si può parlare, bensì di pura e semplice mutilazione del territorio ucraino, senza una contropartita: la formalizzazione di una resa che Trump si appresta a benedire”.
L’Europa cerca di sedersi al tavolo, o almeno di avere una posizione comune a supporto di Kyiv: ieri la nota congiunta anche con il Regno Unito, oggi l’incontro dei ministri degli Esteri Ue. Cosa si aspetta? “Usa e Russia – risponde Camporini – non vogliono la Ue al tavolo. L’ipotetica presenza di Zelensky servirebbe solo a portare avanti un’operazioni psicologica già chiara: poter dire che Usa e Russia sono d’accordo mentre l’Ucraina e i paesi europei a non volere la pace. Zelensky, se andrà, può solo attendersi di farsi dire che cosa è già stato deciso dai due ‘grandi’, senza la minima possibilità di incidere sui contenuti. In poche parole è una trappola”. E l’Europa dunque cosa deve fare? “Quello che sta già facendo. La dichiarazione congiunta sottoscritta in queste ultime ore da Finlandia, Francia, Germania, Italia, Polonia e Regno Unito, oltre che dalla presidente della Commissione nasce dopo un incontro a Londra presso il Foreign office con il vicepresidente Usa J.D. Vance e costituisce una sorta di sussulto di orgoglio dei paesi europei di fronte a negoziati che ostentavano la loro esclusione. Serve tenere una posizione comune e concordata con Kyiv, sottolineando il ruolo decisivo dell’Ucraina nella definizione di un ipotetico accordo, la necessità preliminare di un cessate il fuoco, la piena aderenza al principio dell’intangibilità dei confini, che non posso essere modificati mediante l’uso della forza militare, oltre ovviamente a una pragmatica presa d’atto dell’attuale situazione tattica sul terreno, con una linea di contatto che è ben lungi da soddisfare le ambizioni di conquista di Mosca, infine la disponibilità ad un impegno concreto in supporto di Kyiv. Un sussulto d’orgoglio, tanto più importante dopo l’esito deludente dei colloqui con gli Usa in tema di dazi. Alle dichiarazioni occorrerà però far seguire i fatti: dovremmo fare quello che l’Ucraina ci chiede, anche continuare la guerra se necessario. Si badi che non è solo una questione di formale adesione ai principi del diritto internazionale: viste le molte situazioni di minoranze etnico linguistiche nel continente europeo, l’acquiescenza nei confronti delle pretese russe rischia di far rinascere conflittualità e ambizioni sopite, come quelle di Orbán che non appare alieno dalla nostalgia di una grande Ungheria. Inoltre – prosegue il generale – è necessario emarginare le voci dissonanti di altri membri dell’Unione come quelle di queste ore dello slovacco Fico".
Come spiega comunque l’accondiscendenza di Trump verso la Russia? “Più che alla battuta su una sua ipotetica candidatura al premio Nobel per la pace, guarderei all’interessante ruolo di Kirill Dmitriev, che ha scortato Witkoff nella sua missione a Mosca. E’ l’ad del fondo russo per gli investimenti diretti e responsabile per la cooperazione economica con paesi esteri. Witkoff a sua volta è un grosso imprenditore immobiliare, con ovvii interessi finanziari, prestato alla diplomazia, con un ampio portafoglio che include anche il conflitto a Gaza. Tutto ciò può fare immaginare una potenziale contaminazione tra politica ed interessi anche di natura non solo pubblica.
L’incontro si svolgerà in Alaska, una scelta suggestiva non trova? “Assolutamente sì, l’ego di Trump è certamente soddisfatto dall’avere convinto Putin ad accettare di recarsi negli Usa per questa bilaterale, ma il territorio, allora possedimento zarista, nel 1867 fu oggetto di una compravendita tra lo zar Alessandro II e il presidente Andrew Johnson, il che dà una particolare sfumatura a questo vertice bilaterale”.