
Cambiare la governance?
Morelli unchained. Il sottosegretario leghista che muove pedine in Rai presenta il ddl per riformarla
Ritratto del senatore, ex dj, ex direttore di Radio Padania e braccio armato di Salvini nella tv di stato
Il ddl leghista parla di “valorizzazione delle società controllate”e di “attrarre i privati” pur “mantenendo fermo il controllo pubblico”, di ridefinire in senso “pluralista” la composizione del Cda e di “abolire la figura dell’amministratore delegato”. Morelli si siede in mezzo ai relatori, sguardo dritto alle telecamere, schiena dritta, passo deciso, braccia tese nel completo blu senza una piega
Sguardo diretto alle telecamere, sorriso stampato, schiena dritta, passo deciso, braccia tese nel completo blu senza una piega che fa dimenticare il look décontracté da ex dj poi direttore di Radio Padania: la fisiognomica non sarà una scienza esatta, ma ieri il viso e la postura del senatore leghista Alessandro Morelli – quarantottenne sottosegretario di Stato con delega alla programmazione e al coordinamento della Politica economica nonché responsabile del dipartimento Comunicazione della Lega – parlavano chiaro. Talmente chiaro da anticipare il contenuto tonitruante del ddl salviniano di riforma della governance Rai, presentato ieri in Senato da Morelli stesso con il deputato Stefano Candiani, anche segretario in Vigilanza Rai, dal presidente dei senatori leghisti Massimiliano Romeo e dal capogruppo leghista in Vigilanza Giorgio Maria Bergesio. Un ddl in cui, tra le altre cose, sotto al titolo “valorizzazione delle società controllate”, si parla di “attrarre i privati” pur “mantenendo fermo il controllo pubblico” (cosa che ieri pomeriggio faceva sobbalzare più d’una testa tra Raicinema e Raiplay), di ridefinire in senso “pluralista” la composizione del Cda (membri eletti non soltanto dal Parlamento ma anche dalla Conferenza Stato-Regioni e dall’Anci) e di “abolire la figura dell’amministratore delegato”, con ripristino del direttore generale e sdoppiamento tra quest’ultimo e un presidente con ruolo di indirizzo.
E dunque eccolo arrivare, Morelli, e sedersi in mezzo ai relatori – che gli cedono la parola come fosse lui la vera autorità. E in un certo senso lo è, ma su altro livello, ché il ruolo ufficiale di Morelli, come si è detto responsabile comunicazione della Lega, si estende ufficiosamente oltre: narrano infatti i muri Rai che senza di lui non si possa, dice un insider, “dire manco ‘bah’”, e che pedine e persone si muovano tra divisioni e canali solo se vuole lui, il braccio armato di Salvini nella tv di stato, dove persino i Fratelli d’Italia devono arretrare di fronte all’espansionismo leghista. E insomma: colui che è nato nel milanese a Vizzolo Predabissi ed è cresciuto ai bordi di periferia al Gratosoglio, e che da capogruppo leghista al Comune di Milano, nel 2018, sbalordì il borghese con la proposta di conferimento dell’Ambrogino d’oro alla discoteca Old Fashion (motivo: “È una realtà storica, esiste dal 1933 ed è una delle più sicure in città”), oggi pare trovarsi nella posizione di detentore di un potere informale — ma supremo — rispetto alle questioni che riguardino la Rai, presenze ai vertici dei programmi (o nei programmi) comprese.
E adesso che arriva il ddl, lui, Morelli, parla di “valorizzare i nostri brand”. E se ne intende, ché da assessore nella giunta Moratti ebbe l’idea di lanciare un “brand Milano” per felpe, magliette, cappelli e decorazioni per alberi di Natale, solo che poi finì tutto in polemica con il centrosinistra: molti degli oggetti con logo della città erano stati infatti prodotti in Cina. Acqua passata, per Morelli. Che oggi, presentando il ddl, parla anche di “valorizzare la cultura che il paese eroga in maniera naturale”, frase criptica che in Rai veniva ieri soppesata attentamente. Si capisce però intanto che il bersaglio leghista è la riforma Rai targata Renzi e che Morelli vuol far fare alla tv di stato “un passo avanti” nell’epoca in cui i giovani si informano e si intrattengono altrove (nel ddl è prevista, in prospettiva, una norma sugli influencer, per “garantire una maggiore tutela del pubblico e assicurare la responsabilità dei nuovi attori mediatici”). E, a sentirlo parlare con accento milanese stretto, i milanesi a Roma ricordano, di Morelli, gli scontri in Comune con il dem Pierfrancesco Maran, suo miglior nemico in area Pd radical-chic. Come allora Morelli polemizzava contro Maran e le “multe ai commercianti in piazza”, oggi polemizza contro l’imam di Bologna “che ha cancellato il video del suo sermone in cui diceva cose imbarazzanti”. Rispetto a Salvini, nulla cambia, nel senso della sua fedeltà al capo, dagli anni della prima militanza leghista (nella primissima giovinezza, dopo il diploma da perito tecnico agrario). Quello che è cambiato, con l’ingresso in Parlamento, è l’atteggiamento (e l’abbigliamento): sempre più solenne con il progredire lungo la scala degli incarichi. Ma che cosa vuole fare, alla fine, Morelli? si domandano un po’ sgomenti in Rai. E c’è chi si consola: “Voleva difendere la Scala dai sauditi, figurati se fa arrivare davvero i privati alla soglia di Rai cinema”.