
Meloni premier "a tavolino". La favola estiva di Emiliano & Padellaro
Il presidente della Puglia racconta che Enrico Letta rifiutò il meccanismo della desistenza con il M5s. Il fondatore del Fatto chiede all'ex segretario del pd perché decise di far vincere la destra. Ma con il Rosatellum la desistenza è impossibile
In un paese come l’Italia, la cui storia è costellata di misteri, alcuni segreti vengono svelati nei festival estivi. Antonio Padellaro, giornalista di grande esperienza, scrive sul Fatto quotidiano che Enrico Letta “fece vincere” Giorgia Meloni. Non per l’incapacità di contrastarla, bensì per una decisione presa “a tavolino”. Il segretario del Pd scelse deliberatamente di consegnare il governo alla destra. Questa rivelazione a Padellaro l’ha fatta, durante la festa “Il libro possibile” a Polignano a mare, Michele Emiliano: presidente della Puglia, nonché magistrato. Una fonte doppiamente attendibile, si suppone. Nella testimonianza, il pm-governatore dice che “in piena estate alla vigilia delle ultime elezioni politiche”, mentre Letta lavorava alla costruzione della coalizione, Emiliano si rese conto che l’alleanza con il M5s stava per fallire e così prese l’iniziativa: “Chiamai Giuseppe Conte e Beppe Grillo. Spiegai che con il meccanismo della desistenza in Puglia avremmo vinto dappertutto”.
Emiliano aveva trovato l’uovo di Colombo. Né coalizzati né separati, ma un voto tecnico sull’uninominale: il Pd rinuncia al proprio candidato in alcuni collegi per votare quello del M5s e viceversa. Ora e sempre desistenza. Conte e Grillo gli dissero subito di sì, mentre Letta rispose: “Non facciamo pasticci, non mi complicare la vita”. E fu così che la sinistra perse le elezioni. “Non se ne fece nulla – dice Emiliano – e sono convinto che abbiamo perso le elezioni perché si è deciso a tavolino di far vincere Giorgia Meloni”. Un complotto, escogitato da forze superiori, di cui Enrico Letta fu l’esecutore.
Padellaro, che ha il fiuto della notizia, si rende conto di avere tra le mani una testimonianza che riscrive la storia d’Italia. Per il fondatore del Fatto è il timbro sul “suicidio politico”. “Se esistesse il Coglione d’oro per il caso più eclatante di autolesionismo elettorale andrebbe assegnato a quel candidato progressista che per effetto della rinuncia alla desistenza da parte del caro leader riuscì a perdere per una trentina di voti il seggio andato invece a una tizia della destra”. Perciò Padellaro chiede a Letta di vuotare il sacco. Spieghi perché la vittoria, offertagli su un piatto d’argento da quel gran genio pugliese, gli avrebbe “complicato la vita”: Insomma, chiede Padellaro a Letta, “perché, come denuncia oggi Emiliano, si decise ‘a tavolino’ di far vincere Giorgia Meloni?”.
Non può essere ingenuità, l’ex segretario del Pd è un politico scaltro ed esperto. Così il Fatto ha proseguito la sua inchiesta storico-politica, aggiungendo un tassello geopolitico: “Letta jr. respinse Conte per Kyiv e il no al riarmo”. La vittoria di Meloni fu decisa perché “la premier era su posizioni convintamente filo-Ucraina”. C’è quindi la longa manus della Cia o della Nato: l’atlantista Letta ha eseguito gli ordini di Washington, desistendo dalla desistenza. E’ stato il “fattore K”, inteso come Kiev, a dividere le forze progressiste. Se n’era accorto anche Gustavo Zagrebelsky, ricorda il Fatto, che a luglio 2022 svelò “le vere ragioni dell’anatema della dirigenza del Pd contro i 5s”: non la caduta del governo Draghi decisa da Conte, ma le posizioni del M5s “autonome rispetto al blocco Nato-Europa atlantica-Stati Uniti”. E così il Pd, anziché con Conte, l’accordo tacito lo fece con la Meloni per spianarle la strada verso Palazzo Chigi.
La storiella raccontata da Emiliano, amplificata da Padellaro e puntellata dal Fatto è affascinante, ma sconta un piccolo ostacolo: la “desistenza”, come tutti sanno, era impossibile. E non per una questione politica, ma tecnica. La legge elettorale non lo consente. A differenza del Mattarellum, che prevedeva due schede elettorali diverse e consentiva di andare da soli al proporzionale e fare accordi all’uninominale non presentando il proprio candidato per far convergere i voti su un altro (è il patto che fecero nel 1996 l’Ulivo e Rifondazione comunista), con il Rosatellum non si può fare. C’è una sola scheda, per uninominale e proporzionale, con liste collegate: non è possibile il voto disgiunto, pena la nullità. Ci si può “dividere” i collegi uninominali tra partiti, ma solo se si fa parte della stessa coalizione (che è esattamente ciò che hanno fatto a destra FdI-Lega-FI e a sinistra Pd-Avs-+Europa). Insomma, o si va uniti o si va separati: desistenza non datur. Non è colpa della Nato o di Letta, eventualmente di Ettore Rosato che scrisse la legge elettorale e del Pd che la votò. Nessun complotto. E pertanto il premio estivo lanciato dal fondatore del Fatto, che dal nome va evidentemente assegnato a una coppia, non lo merita nessun “candidato progressista” ma forse il duo protagonista di questa storiella estiva: Emiliano che la racconta e Padellaro che gli crede.