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L'editoriale del direttore

L'anti trumpismo italiano sui migranti

Claudio Cerasa

Populismo? Macché. Il modello Meloni, sull’immigrazione, tiene insieme ordine e accoglienza. E il metodo albanese andrebbe studiato non denigrato. L’Economist dà dispiaceri al campo largo e ai suoi giornali di riferimento

Il tema non è il costo: è la direzione. La questione non è il risultato ottenuto: è l’approccio mostrato. Il punto non è la battaglia con i giudici: è il tentativo di trovare un’alternativa tra l’agenda dei diritti e quella dei doveri. Nell’indifferenza più assoluta, in Italia, l’Economist in edicola questa settimana ha scelto di puntare forte, nel suo editoriale introduttivo e nel suo primo approfondimento nello sfoglio, su un dossier che non riguarda lo scontro sui dazi in corso oggi tra le grandi democrazie del mondo, tra Stati Uniti ed Europa, ma che riguarda uno scontro presente oggi all’interno delle grandi democrazie, e in primo luogo all’interno delle democrazie europee. Il dossier può apparire, visti i molti fronti che esistono in giro per il globo terracqueo, come direbbe Giorgia Meloni, secondario. Ma quel dossier in realtà è come una linea di febbre sempre presente, in modo fisso, continuo, logorante, sul termometro delle società aperte. Parliamo, lo avrete capito, del tema dei temi, il tema su cui si divide ancora oggi buona parte della politica europea, Ucraina a parte, e quel tema è ovviamente l’immigrazione

La tesi dell’Economist è forte. L’attuale sistema che regola il diritto d’asilo non funziona più, bisogna prenderne atto, bisogna avere il coraggio di dirlo, bisogna avere la forza di costruire qualcosa di nuovo, abolendo quel che c’è oggi. Il diritto d’asilo, dice l’Economist, non funziona più per almeno due ordini di ragioni. Da una parte, non è più in grado di governare un fenomeno molto diverso rispetto a quello che vi era nel 1951, quando il diritto d’asilo venne istituito: oggi ci sono 90 milioni di persone nel mondo che vorrebbero migrare in modo stabile ma per un cittadino povero entrare legalmente in un paese ricco è quasi impossibile. Dall’altra parte, il diritto d’asilo permette di creare una zona grigia enorme, all’interno della quale si annida l’illegalità attraverso uno schema consolidato: i migranti arrivano dopo mille difficoltà in un paese, fanno richiesta di diritto d’asilo, sanno che la valutazione richiederà anni e nel frattempo, mentre aspettano quella valutazione, possono scomparire e lavorare illegalmente. Gli elettori, nota l’Economist, sono i primi ad aver capito che il sistema non funziona. Non protegge chi ha davvero bisogno di asilo e favorisce l’immigrazione illegale.

La proposta dell’Economist è muoversi all’interno di due dimensioni diverse. Nella prima dimensione, occorre capire che la formula aiutiamoli a casa loro non deve essere necessariamente intesa come aiutiamoli a casa loro per non farli partire da casa loro ma deve essere intesa attraverso una chiave diversa: bisogna capire che ospitare rifugiati in luoghi vicini al loro paese d’origine è molto meno oneroso e gli stessi bilanci dell’Unhcr ci dicono che si spende  meno di un decimo per un rifugiato in Ciad rispetto a uno in un paese ricco. Il passaggio successivo del ragionamento dell’Economist è quello che riguarda da vicino l’Italia. E il ragionamento anche qui è lineare. Se i paesi che sono soggetti più degli altri all’immigrazione la vogliono trasformare in una opportunità, devono aumentare i flussi legali per accoglierli, mettendoli al servizio di chi cerca manodopera che non trova.  Se i paesi che sono colpiti dai flussi migratori vogliono anche frenare gli arrivi, non possono evitare di interrogarsi sugli incentivi che offrono ai migranti irregolari. Se un paese non fa nulla per combattere l’immigrazione irregolare, l’immigrazione irregolare aumenterà. Se fa qualcosa per combatterla, l’immigrazione irregolare potrebbe diminuire. E i paesi che scelgono, per esempio, di inviare in un terzo paese, in un terzo paese sicuro, i migranti che non avrebbero titolo per chiedere asilo, per svolgere le procedure di accertamento, sono paesi che piuttosto che essere considerati xenofobi dovrebbero essere considerati come un esempio da seguire.

L’Economist cita il modello albanese, molto criticato in Italia, sotto attacco della magistratura, non per il suo funzionamento, ma per ciò che rappresenta, o meglio, per ciò che avrebbe dovuto rappresentare in origine. E in principio questo era il modello albanese: un insieme di strutture organizzate in modo tale da non far stare in Italia i migranti maschi, adulti, non vulnerabili, provenienti da paesi inseriti nella lista dei cosiddetti paesi sicuri che dovrebbero essere rimpatriati. Un modello che può piacere o non piacere ma che si trova tra l’altro all’interno del nuovo Patto europeo su asilo e migrazione, che a partire dalla metà del 2026 introdurrà un sistema articolato di regole che disciplinerà, tra l’altro, la cooperazione con paesi terzi ritenuti sicuri, con l’obiettivo di rendere più efficace e coordinata la gestione esterna dei flussi migratori. Il modello Meloni, sull’immigrazione, risponde perfettamente a quello indicato dall’Economist, gestione dei confini, flussi legali, paesi terzi per disincentivare gli arrivi irregolari, e nonostante l’ostilità mostrata dinanzi a quel modello non solo da buona parte dell’opposizione ma anche da buona parte della magistratura, quel modello rappresenta l’esatto opposto rispetto al modello trumpiano sognato dai populisti. Offre soluzioni, non capri espiatori, rovescia il metodo del blocco navale, tenta di governare un fenomeno senza chiudere i porti, prova a farlo con il sostegno dell’Europa e tenta infine di offrire risposte agli elettori non demonizzando l’immigrazione ma mostrando impegno e creatività per combattere l’immigrazione illegale. Non è un modello perfetto, ma è un modello da perfezionare, semmai, non da distruggere, non da sabotare, non da rottamare, perché nonostante ciò che possa pensare l’opposizione anti populista non c’è nulla di più populista che parlare di immigrazione senza rivolgersi agli elettori con una chiave diversa da quella che spesso fa capolino nei palinsesti: se sei un migrante che arriva in Italia, hai diritto a restare in Italia; se non hai il diritto di restare in Italia perché non hai i requisiti per avere il diritto d’asilo, rimpatriarti significa essere razzisti; e se cerchi una soluzione per governare il fenomeno, non stai facendo altro che regalare alla destra l’agenda sull’immigrazione. Il diritto d’asilo non funziona più. Trovare soluzioni per governare un fenomeno epocale è un dovere. Puntare sui capri espiatori è populismo. Cercare soluzioni alternative non lo è. Il tema non è il costo: è la direzione. La questione non è il risultato ottenuto: è l’approccio mostrato. Pensarci, prima della prossima invettiva. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.