
il girotondo
Mille giorni di governo Meloni: la politica estera lo salva, ma ha ministri indifendibili
La premier ha scelto la continuità nella politica internazionale, ma resta prigioniera di un governo inadeguato e di una narrazione da perenne outsider
“Questo governo durerà sei mesi”. Questa mia dichiarazione, appesa in bella vista nei padiglioni dell’ultima festa di FdI, oggi, mentre superiamo i mille giorni dalla nascita dell’esecutivo, appare una clamorosa ingenuità politica. Supponevo allora che il programma del governo avrebbe rispettato le dichiarazioni dei leader di destra fatte durante la campagna elettorale. Così ovviamente non è stato. In particolare in politica estera e in materia di conti pubblici la continuità con il governo Draghi è stata, pur con le dovute e notevoli differenze di auctoritas, quasi totale. La posizione sull’Ucraina non ha subito modifiche rilevanti e neppure il rapporto con la commissione europea. Certamente ci sono state frizioni con la Francia dovute ad infantilismo bilaterale e rapporti freddi con la Germania di Scholz ma anche questi inciampi sono stati superati nel tempo. A differenza degli altri leader dell’opposizione ho trovato il contegno di Meloni nel bilaterale con Trump equilibrato e paragonabile a quello degli altri leader europei. La Presidente del Consiglio non ha avuto la tentazione di provare a scavalcare la Commissione sul negoziato per i dazi ed ha tenuto una posizione ferma sul sostegno all’Ucraina. Da ultimo sul dossier riarmo, il più rilevante per il posizionamento dell’Italia nella prossima decade, pur con qualche furbizia italica nel computo del 2 per cento per le spese della difesa, è riuscita a tenere il paese all’interno del meccanismo di costruzione del pilastro europeo della Nato nonostante la riluttanza dell’opinione pubblica. Sul fronte della tenuta dei conti pubblici la chiusura del superbonus e la modifica del reddito di cittadinanza sono certamente risultati importanti.
Anche sulla giustizia l’eliminazione dell’abuso d’ufficio e la separazione delle carriere, in dirittura d’arrivo, sono riforme da lungo tempo attese. Riconoscere i meriti della presidente del Consiglio è doveroso in un tornante della storia drammatico che dovrebbe lasciare poco spazio alla faziosità. Con la stessa obiettività va però detto che l’azione dell’Esecutivo nel suo complesso è del tutto insoddisfacente. La politica economica è improntata a un provinciale dirigismo e a favorire le lobby – dai balneari ai produttori di energia. La politica industriale è nelle mani del più incompetente e incapace Ministro che questo paese ha avuto nella seconda repubblica. L’unico lavoro di Urso sembra essere quello di riunire tavoli da cui escono dichiarazioni trionfalistiche sempre smentite dai fatti. Gli incentivi alle imprese non funzionano e il ministro non è in grado neppure di sostenere un’audizione sui costi energetici senza biascicare parole incomprensibili lette da un testo scritto male. Sorvolo sulle altre amenità ministeriali da Lollobrigida a Santanchè. Questo esecutivo ha una cronica incapacità di far accadere qualsiasi cosa nei settori fondamentali della politica interna. La pochezza della classe dirigente, con lodevoli eccezioni, della destra, è un pericoloso indicatore anche della non volontà di allargare i confini di una tribù che non è oggettivamente all’altezza della capacità politica del “capo”. Questo fatto non è trascurabile. Meloni fino ad oggi si è salvata perché ciò che unicamente ha contato è la politica internazionale. Ma l’ostinazione con la quale tiene ministri indifendibili e la gestione settaria delle nomine alla lunga presenterà il conto anche in termini di gradimento.
C’è un punto psicologico irrisolto nell’agire della premier: la scelta tra essere una valente e agguerrita capa tribù o l’autorevole rappresentante di tutto il popolo italiano, capace di attrarre talenti e giocare in squadra con la società. Nella retorica prevale invece ancora largamente il tono da “underdog” arrabbiato con interi settori del paese non considerati “suoi”. Insomma Meloni dovrà presto decidere cosa vuole fare da grande. Nei prossimi mesi l’onda nera crescerà in tutto l’occidente. La premier seguirà “il richiamo della foresta” o si porrà a difesa della democrazia liberale sia pure dalla prospettiva di una conservatrice europea? Ai posteri…
Carlo Calenda
segretario di Azione