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L'intervista

Lorenzoni, l'ex sfidante di Zaia: “Destra sfilacciata, con Manildo il centrosinistra può vincere in Veneto”

Francesco Gottardi

L'opposizione presenta il piano per la regione inespugnabile: candidato di raccordo, l'ex sindaco di Treviso,  e campo larghissimo. “I pronostici li lasciamo ai gufi”, dice il consigliere regionale. “L’elettorato zaiano è più vicino a noi di quanto si creda. E pure certi leghisti”

Sulla carta è una battaglia persa. “Ma di fatto siamo al secondo tempo della partita”, dice Arturo Lorenzoni. “Io ho giocato il primo, quello più difficile: contro Zaia all’apice della popolarità, in piena pandemia”. Ora invece il centrosinistra veneto punta su Giovanni Manildo, ex sindaco di Treviso. “Una persona di grande spessore”, il passaggio di testimone tracciato dal portavoce dell’opposizione. “Manildo è un profilo di qualità ed esperienza amministrativa, in grado di accorpare tutte le forze progressiste. Per battere la destra dove nessuno lo ritiene possibile ci vuole un campo larghissimo”. Pd, M5s, Avs. Per ora niente Azione e Italia viva. “Ma vedrete, ci saranno anche loro. La scelta è ricaduta su Manildo proprio per la sua capacità di fare sintesi e allargare la base del consenso. I pronostici sono ben noti, ma attenzione: l’elettorato zaiano è più vicino a noi di quanto si creda. E a destra c’è un’alleanza barcollante. Possiamo aprire una nuova stagione”.

Chiamatela leggerezza dell’outsider. Lorenzoni, che tutto perse nel 2020, fa capire insomma che il centrosinistra non ha più niente da perdere. Con un altro candidato di estrazione universitaria, tra il civismo e l’area dem, già capace di beffare la Liga in un capoluogo-simbolo. E’ pure di Conegliano, come Zaia. Credete davvero nell’impresa? “I pessimisti ci sono, tanti preferiscono mollare in partenza”, ammette il consigliere. “Ma certo non noi che ci mettiamo la faccia. E dopo tanto tergiversare, da oggi dobbiamo giocare d’anticipo sui nostri avversari”. Che ancora non hanno un nome da presentare alle urne. “Chi governa ha un vantaggio di popolarità: ci vorrà tempo per convincere l’elettorato che Manildo rappresenta la scelta migliore per il Veneto”.

In questi mesi Lorenzoni aveva fatto a più riprese da sentinella, accusando il campo progressista di reticenza, attendismo, scarso entusiasmo. Come se le vesti del candidato fossero una patata bollente, come se la regione fosse in ogni caso inespugnabile – probabilmente lo è, ma in politica sarebbe peccato capitale ammetterlo. “Non è stato un periodo semplice”, spiega al Foglio. “Tante posizioni da concertare, senz’altro una cappa di ineluttabilità contro cui dobbiamo batterci di continuo. Chi è rimasto a bordo però ne è convinto: senza più Zaia rimangono le praterie”. Eppure è la Lega in primis a non riconoscere a Manildo e soci nemmeno lo status di opposizione: dicono che gli avversari da battere siano Flavio Tosi e Forza Italia, ormai in rotta totale. “Solita provocazione degli zaiani”, sorride Lorenzoni. “Però che ci sia un problema nella loro coalizione, con Tosi a sparare palle incatenate, è un dato di fatto. E possiamo approfittarne”. Anche il Carroccio è un bel rebus. “Con certi colleghi leghisti parlo tutti i giorni: hanno una sensibilità molto vicina alla nostra. Dunque faccio fatica a vederla conformata al blocco meloniano”. O all’ala Vannacci. “Ma infatti. Non c’entrano nulla. I nodi verranno presto al pettine”. Così come il nome dell’erede di Zaia. “E’ tutto un risiko che si deciderà a Roma. Triste ma vero: questi ritardi dimostrano che il futuro del Veneto è subordinato al manuale Cencelli della maggioranza. Difficile dire come andrà a finire. La Lega è disposta a correre da sola? Può darsi. Di sicuro però la popolarità di Zaia è ancora tale che non andrà sprecata”.

ùL’ex sfidante ammette i meriti del Doge. “Comunicativamente un maestro. Ha sempre saputo trasmettere sicurezza ai cittadini, al di là dei contenuti. Perché se dal punto di vista contabile queste tre legislature hanno dato alla regione un’impostazione virtuosa, in termini politici siamo in preda all’immobilismo”. Ed è qui che il centrosinistra può aprirsi un varco, insiste Lorenzoni. “Magari ci si nasconde dietro le Olimpiadi, ma al Veneto serve intraprendenza amministrativa: se le grandi imprese e l’high tech decidono di investire altrove – vedi lo smacco di Intel a Vigasio –, non è certo per fatalismo. Manca qualcosa. E Giovanni Manildo può farvi fronte: qualità del lavoro, sanità, ambiente. Anche l’autonomia differenziata, certo: non dev’essere una prerogativa di destra. Più del centralismo veneto o del paroni a casa nostra, occorre una reale responsabilizzazione dei territori”.
Avanti tutta, allora. Senza etichette di partito, quanto mai rovinose per il centrosinistra. “Da Padova a Verona, per battere le destre il civismo si è rivelato determinante. E’ difficile riproporre questo approccio su scala regionale, ma – conclude Lorenzoni – ci stiamo lavorando: abbiamo un serbatoio di giovani amministratori che può cambiare il vento”. 
 

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