
Il racconto
La vera storia del tax credit: 10 governi, ministri di destra, sinistra e tecnici. Un sistema esploso. L'ascia di Giuli
Nato sotto Rutelli, esploso con il Covid, ma non riuscì a fermare il sistema nè Draghi nè Sangiuliano che ha lasciato lo sgravio al 40 per cento. Si dimette il dg Cinema, Borelli al suo posto si fa il nome di Antonio Parente
La verità sul Tax credit, la verità. Nessuno ha chiuso i rubinetti, né la destra né la sinistra, è servito un duplice omicidio per provocare l’indignazione e l’indignazione ha portato alle dimissioni di un direttore del Mic, Nicola Borrelli. Cade la testa di un dirigente che è sopravvissuto alla direzione Cinema del ministero dal 2009 al 2019, per tornarci ancora nel 2020, direttore con i ministri di destra, centro, tecnici, sinistra, Bondi, Galan, Ornaghi, Bray, Franceschini, Bonisoli, al ministero con la destra di Gennaro Sangiuliano e fino a ieri con Alessandro Giuli. Un incentivo nato nel 2007, con Rutelli, degenera fino a esplodere nel 2022 sotto il governo Draghi. Si tenta di fermarlo ma il governo Draghi si dimette, arriva la destra, Sangiuliano, e annuncia che metterà fine a un sistema guasto ma passa un anno e mezzo e il conto del 2023 è di 746 milioni, quasi un miliardo di euro per film fantasma, visti in alcuni casi da 29 spettatori. Solo la morte ha messo a morte il credit.
Diceva Draghi che il Superbonus è stata una della più “grandi truffe della Repubblica” ma il Tax credit come sarà ricordato? Saranno senza dubbio ricordate come le dimissioni al chiaro di luna quelle di Nicola Borrelli, annunciate alle 00,21 del 2 luglio sul sito del ministero della Cultura con un comunicato dal titolo: “Giuli: prendo atto dimissioni Borrelli”. E’ il tempo del “prendo atto” e a suo modo è un’operazione callidissima, astuta. Il ministro Giuli sposta l’attenzione alla Camera e fa cascare la sinistra nella botola del Premio Strega, “non ci vado perché non mi hanno spedito i libri”, promette che “non ci saranno mai più truffe sul Tax credit”, che tutte le opere che hanno usufruito di benefici saranno analizzate, processate, e che ci sarà un audit. L’altro “processo” si tiene al ministero, a Borrelli.
C’è un tribunalino permanente come quello rivoluzionario di Danton che opera ininterrottamente da quando il “popolo” vuole giustizia sul Tax credit, da quando il direttore di Open, Franco Bechis, ha mostrato come fosse facile per un assassino, un artista della doppiezza, farsi liquidare 800 mila euro dallo stato. Le “istruttorie” le prepara il capo della segreteria tecnica del Mic, Emanuele Merlino, e Giuli ora esercita giustizia. Raccontano che Borrelli prova a resistere, come ha provato l’ex presidente di Cinecittà, Chiara Sbarigia, salvo arrendersi di fronte alla notizia dell’assunzione di sua cognata, la cognata di Borrelli, anche lei a Cinecittà. E’ la Cinecittà che, callido, Giuli propone adesso, “fonti Mic”, come sede della finale del Premio Strega, al posto del Ninfeo di Villa Giulia, in linea con “Il Piano Olivetti, volto a valorizzare le periferie” e alla Camera più di un parlamentare dice scherzando che “per fortuna ha citato il Piano Olivetti, con il Piano Mattei si finiva a Mogadiscio”.
Borrelli che viene chiamato dai giornalisti risponde che non può rispondere perché impegnato in una “commissione di concorso”. Cade dunque il direttore che ha visto nascere, pensare il Tax credit, ma lascia, attenzione, così nella lettera di dimissioni di Borrelli “per motivi personali” e ufficialmente non perché lo ha chiesto il governo, anche perché il primo a chiedere le dimissioni è stato Matteo Orfini del Pd. E c’è da scommettere che gli verrà assegnata la parte del “ragioniere del tax credit”, il direttore del grande buco che ha visto passare i 12 film, quelli che il coproduttore di Kaufmann, Marco Perotti, si è visto finanziare dal ministero; oltre 4 milioni di euro. Borrelli lascia e Giuli presto lo sostituirà e si dice al ministero forse con Antonio Parente, il dg Spettacolo, o forse con un esterno, un “Comma sei”, così in gergo. Borrelli ha lasciato ma ora le domande.
Un dg che guida per più di dieci anni la direzione cinema, da più di venti presente al ministero perché non ha denunciato con forza l’impazzimento di un sistema? Il Tax credit nasce nel 2007 con Rutelli ma valeva solo il 20 per cento, cresce con i governi, compresi quelli di destra, e viene modificato da Franceschini nelle sue intenzioni per scrostare contributi selettivi, distribuiti dalle commissioni. Per eliminare una stortura si è finiti per generarne un’altra. Il tax credit, un beneficio fiscale automatico (bastava presentarsi in Banca con il progetto bollinato dal ministero) s’ingigantisce fino al 40 per cento e aumenta il denaro stanziato. Da 423,5 milioni di euro nel 2017 si passa 849,9 milioni nel 2022, fino a 746 milioni nel 2023. Nel giugno del 2022, governo Draghi, scatta l’allarme, si incontrano Anica e Apa (Associazioni produttori audiovisivi) per ragionare su una stretta, abbassarlo almeno al 30 per cento. Draghi si dimette e arriva la destra, che, è vero, denuncia, taglia in parte, ma lasciando invariato lo sgravio, al 40 per cento. Solo dopo il caso Kaufmann si viene a sapere che un film come “Prima di andare via” di Massimo Cappelli ha ricevuto settecentomila euro ma ha raccolto 29 spettatori in sala. Da allora c’è la glasnost, tabelle dettagliatissime; solo da quel momento un paese si domanda: quante opere italiane, finanziate, hanno varcato i confini nazionali? Esiste un titolo riconosciuto, targato Italia, come la Casa di Carta è targata Spagna? Un sistema adulterato da Tax credit ha aiutato il cinema o ha contribuito a far quadruplicare compensi e costi? 11 ministri, 10 governi non hanno avuto la forza di fermare una degenerazione, modificare fino in fondo un sistema, 11 ministri e dieci governi. Anche il coraggio era a credito.