Matteo Salvini (Ansa)

la missione asiatica

Equilibrismo, diplomazia e Ponte sullo Stretto: Salvini vola in Cina e Giappone, stavolta davvero

Ruggiero Montenegro

Il vicepremier e ministro della Lega annuncia il viaggio in Asia (rimandato a maggio). Tra Tokyo, Osaka, Pechino e Shanghai per studiare le infrastrutture. Le giravolte sul Dragone e l'apertura sul 5 per cento per le spese militari: "Se possiamo realizzare opere strategiche, ha senso"

E’ il Salvini d’oriente, questa volta per davvero. Una settimana tra Giappone e Cina per studiare  trasporti, ferrovie e mobilità. Incontri istituzionali e risvolti politici, in un complicato equilibrio tra il Dragone e Washington.  Il vicepremier leghista, il ministro dei Trasporti, lo ha annunciato ieri: da lunedì volerà in Asia. In agenda anche gli incontri con i suoi omologhi di Pechino e Tokyo.  Ed è proprio dalla capitale nipponica, dove da poche settimane è  ambasciatore Mario Vattani –  nominato  dall’attuale governo e di cui si era fatto il nome anche per la decisiva poltrona di Washington – che partirà il viaggio del vicepremier, prima di passare a Osaka, città in cui è in corso l’Expo. Lì il vicepremier presenzierà a un evento sulle relazioni italo-giapponesi. Quindi, il 7 luglio, Salvini visiterà il Ponte di Akashi, sullo stretto che porta lo stesso nome: è la seconda struttura sospesa più grande al mondo. E’ stata realizzata dalla Ihi Corp, impresa giapponese specializzata nel settore – ha realizzato opere analoghe in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Romania. Il vicepremier, come rivelato da questo giornale, è interessato a stringere con loro contatti diretti, tanto più adesso che il (suo) Ponte sullo Stretto è tornato d’attualità grazie all’espediente contabile che potrebbe permettere all’Italia di includere anche alcuni investimenti per le infrastrutture  nel computo delle spese militari, così da raggiungere quel 5 per cento richiesto dalla Nato nel vertice dell’Aia. A proposito: dopo giorni di silenzio sul tema del riarmo, ieri Salvini è tornato a parlare, dismettendo i toni antimilitaristi che avevano contraddistinto la sua comunicazione. “Se fra le spese per la sicurezza inseriamo, per  esempio, opere strategiche importanti per l’Italia, c’è un senso”, sono state le parole del leader leghista, che per settimane ha sparato a zero sull’Unione europea e  sul piano  di Ursula von der Leyen. Salvini ha anche aggiunto: “Non ho l’incubo dei carri armati russi in centro  a Milano”.  

Giravolte, cambi di direzione. E una buona dose di equilibrismo come quella a cui dovrà ricorrere il vicepremier leghista nella seconda parte della sua visita, quella dedicata alla Cina. In realtà, come aveva raccontato il Foglio a gennaio – con la conferma dello stesso Salvini – questo viaggio era previsto già per maggio, prima di essere rinviato senza troppe spiegazioni, probabilmente per non irritare la diplomazia di Donald Trump. Il vicepremier è atteso a Pechino e poi venerdì a Shanghai, destinazione finale del  tour asiatico, ricalcando la stessa agenda seguita da Giorgia Meloni nella visita cinese dello scorso anno. A Shanghai, a quanto si apprende, il  leghista visiterà il porto. Ma, filtra dal suo staff, sono in via di definizione altri confronti istituzionali. E come nel caso della premier, non si può escludere un incontro con Chen Jining, segretario del Partito comunista di Shanghai e personalità in ascesa nella nomenklatura che fa capo al leader Xi Jinping.  Per Salvini comunque la missione  segna un nuovo punto nel     rapporto con Pechino, dopo anni in cui il Dragone ha rappresentato uno dei  bersagli preferiti. Posizione ammorbidita, e non di poco, nel tempo. Il 25 giugno Salvini ha fatto visita all’ambasciatore della Repubblica popolare  in Italia Jia Guide, un incontro probabilmente decisivo ai fini dell’organizzazione della prossima settimana. Il  leader leghista, al contrario dei media cinesi, non ha pubblicizzato la sua presenza in ambasciata.  Ma da un po’ di tempo a questa parte, Salvini è sempre più di casa da quelle parti. Per esempio come ospite d’onore a gennaio, in occasione della Festa di primavera – le celebrazioni per il capodanno lunare – con tanto di successivo video social e auguri in lingua cinese.  Certo, di tanto in tanto sono arrivate anche stoccate alla Cina, sulle auto elettriche o per ricordare la strage di Piazza Tienanmen a inizio giugno.

Un colpo alla botte e uno al cerchio, d’altra parte Xi resta  il principale avversario di  Trump  (e forse non è un caso che proprio ieri, nel giorno dell’annuncio del viaggio in Cina,   Salvini abbia visto al Mit l’ambasciatore americano Tilman J. Fertitta). Ma intanto la Cina è diventata oggi per il capo del Carroccio un modello da studiare sulle infrastrutture. Non più “regime” o  “dittatura”, come era solito definirla fino a qualche anno fa, tanto da organizzare nell’estate del 2020 un  flash mob di protesta, in cui si faceva fotografare con il cartello “We stand with Hong Kong”, davanti all’ambasciata cinese. Protestava contro la repressione, chiedeva al governo italiano di farsi sentire con   Xi. Che da allora non pare essere cambiato molto. Ma forse Salvini sì. 
 

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