
Elly Schlein (Ansa)
passeggiate romane
Tra i riformisti e non solo ci si rassegna all'egemonia di Schlein
Chi si oppone alla segretaria, che potrebbe convocare il congresso a febbraio 2026, non ha un candidato. E la stessa minoranza è divisa al suo interno: così al Nazareno si fa strada la convinzione che il Pd resterà saldamente nelle mani di Schlein
I riformisti del Partito democratico si stanno convincendo che Elly Schlein abbia veramente intenzione di andare al Congresso del Pd a febbraio del 2026. E temono molto questo appuntamento soprattutto perché non hanno una candidata o un candidato da opporre alla segretaria. Pina Picierno ha già fatto sapere che non è affatto interessata alla corsa alla leadership del partito. Giorgio Gori si è offerto, ma qualcuno dentro la minoranza dem teme che l’ex sindaco di Bergamo non abbia abbastanza carisma e non riesca a trascinarsi dietro nemmeno tutta l’area dei riformisti. Lorenzo Guerini, che pure avrebbe il profilo adatto per fare il segretario, non ha intenzione di scendere nell’agone.
A tutto ciò si aggiunga il fatto che la minoranza al suo interno è divisa perché una fetta, seppur minoritaria (ma guidata dal presidente del partito Stefano Bonaccini) mira al compromesso con Elly Schlein e alla quieta convivenza con la segretaria. Una prova? Veramente di elementi in questo senso ce ne sono ben due. Primo, alcuni riformisti non solo ritireranno anche le schede referendarie riguardanti il Jobs Act per evitare di non raggiungere il quorum, ma voteranno anche sì in controtendenza con la parte maggioritaria della corrente. Secondo, David Baruffi, che formalmente è il responsabile degli enti locali del Pd per espressa richiesta di Bonaccini, divide serenamente quel ruolo con il fedelissimo della segretaria Igor Taruffi e non si arrabbia nemmeno quando il responsabile organizzativo dem fa a meno di lui nelle trattative in giro per l’Italia.
A preoccuparsi per il corso che sta prendendo il Partito democratico e per l’egemonia di Schlein sul Pd, però, non sono solo i riformisti. L’altroieri, a margine dell’intronazione di Leone XIV si è assistito a una curiosa scenetta: Romano Prodi, Matteo Renzi ed Enrico Letta sono stati visti parlare fitto fitto. Dopo un po’ si è aggiunto anche Mario Monti. Cosa può aver spinto Prodi e Letta, che con il leader di Italia viva non sono propriamente in buoni rapporti, a mettersi a conversare con lui? Il miracolo, racconta chi stava a stretto giro d’orecchie, si dovrebbe a Elly Schlein. In quel capannello, infatti, ci si chiedeva delle sorti del Partito democratico.
Il Pd ormai è sempre più a trazione Schlein. La segretaria sta giocando le sue carte molto bene e l’opposizione interna riesce solo a farsi sentire ogni tanto. Con il congresso dem, poi, la leader si è fatta una polizza per il futuro. Infatti, dovesse anche perdere le elezioni politiche del 2027, essendo stata rieletta un anno prima, difficilmente potrebbe essere defenestrata. Tanto più che la sua linea difensiva è già pronta: io ho vinto elezioni comunali e regionali e ho preso un partito che nei sondaggi era ridotto al 14 per cento e l’ho portato comunque a risalire la china e a conquistare consensi, quindi sono legittimata ad andare avanti. Insomma, non solo tra i riformisti ma anche altrove si sta facendo strada l’idea che il Pd resterà saldamente nelle mani di Schlein e proseguirà il suo processo di allontanamento dal disegno originario per cui era nato.