Il ministro Giuli di fronte a un esercito ideologico arruffato

Giuliano Ferrara

I Germano e i Montanari rovinano le idee con il maneggiarle alla garibaldina, con un tono da regime che inquadra e dispensa bene e male, al quale le istituzioni devono rifiutarsi di opporre il proprio tono, da conservare per le cose serie

La superiorità di Alessandro Giuli sui suoi interlocutori è talmente evidente che ci si domanda perché mai passi il suo tempo a polemizzare con loro. Uno che sa decrittare con maestria i miti italici e mediterranei arcaici, e fa incursioni nel sacro e nel profano da quando portava i calzoni corti, un esperto della sezione aurea e della battaglia di Talamone, uno così può a stento comprendere la dimensione in cui si muove un attore come Elio Germano, reduce da un flop artistico e commerciale come il film su Berlinguer, banale interpretazione sentimentale di un falso mito politico, compensato solo dal ridicolo lobbismo cinematografico di propaganda ideologica caro alla solita gente del solito ambiente, quelli che gonfiano i palloncini dei non autori e dei non attori. Ho visto un trailer e mi sono trovato un po’ in pena per il grande Germano e per la critica che ne loda il carisma da circolo sociale di estrema periferia, luogo perfetto per giocare a ping pong e per altre lodevoli attività comunitarie ma non per la storia del cinema. 

  

Detto con rispetto per la persona, per il suo mestiere e per la comprensione gigantesca di sé che si è sforzato di trasmettere al personaggio interpretato. Ma non di soli sforzi vive l’uomo. La Grande Ambizione non è poi tanto Grande quanto Eccessiva. Capirei una polemica con Moretti, che ne sbaglia tante ma qualcuna l’ha azzeccata alla grande, e che ha a disposizione un linguaggio non troppo elementare e basico. Ma per il resto francamente tralascerei di rispondere all’impegno militante del tax credit quando si hanno per le mani le Soprintendenze, i musei, le biblioteche, la musica, il teatro e Pompei o i rotoli di Ercolano. 

            

Non è questione di sussiego. Il ministero della Cultura, e non è un caso che sia stato istituito da Giovanni Spadolini, un leader quello sì di grande ambizione, è un affare delicato, vale come la politica estera e di difesa, ha una dotazione identitaria possente in un paese come l’Italia, e Giuli è il primo a sapere che non lo si può spendere con gli spiccioli, che vale un lavoro di studio e di scavo destinato a costruire altro che non ponti o sfregi sul palcoscenico scalcagnato del firmamento firmaiolo o, come diceva Mario Scelba, del culturame (una delle definizioni più pregnanti della storia del costume politico nazionale, ché il grande Scelba – lo si ricordi – non è solo l’istituzione della polizia celere e la legge di scioglimento del neofascismo). Il culturame oggi è ovunque diffuso, tutto è cultura e geme l’artista di massa, sempre più incompreso, sempre più tormentato, sempre più ipocrita. Penso che da certi conflitti occorra ritrarsi finché si è in tempo. I Germano e i Montanari sono rispettabili operatori culturali che vanno oltre le esigenze dell’arte e della loro stessa studiosità per affondare in un rancoroso spirito di retroguardia. Sono persone che rovinano le idee con il maneggiarle alla garibaldina, con un vero tono da Ministero della Cultura Popolare, da regime che inquadra e dispensa bene e male, al quale le istituzioni, le più pesanti e importanti, devono rifiutarsi di opporre il proprio tono, da conservare per le cose serie. Il ministro Franceschini, secondo me un’ottima figura di amministratore e politico, questi eserciti ideologici arruffati li teneva a bada con opportune concessioni e dissuasioni, per occuparsi in genere di cose più serie, come faceva appunto Spadolini. Questo ci si aspetta anche dalla superiorità di Giuli, che ricordi loro, come nel famoso quip postfreudiano, che loro non hanno il complesso di inferiorità, sono realmente inferiori.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.